Ray Gelato, intervista al padrino dello swing
Ray Gelato è un artista di altri tempi. Schietto ed educato in perfetto stile British, parla con la stessa voce antica e gentile con cui, tramite i suoi pezzi, racconta il passato. Nonostante ci si trovi davanti ad un pezzo grosso della musica contemporanea – uno di quelli che, per intenderci, ha suonato con Paul Mc Cartney e si è esibito per la regina Elisabetta – spiazza con la sua estrema umiltà, che deriva da un’onestà intrinseca.
Le influenze di Ray Gelato sono molteplici, e molto classiche: “ci sono tante cose che mi hanno influenzato come artista e come persona. Prendo molto ispirazione dalle serie televisive e dai film, oltre che dalla musica. Certo, ci sono Frank Sinatra, Ray Charles… ma ci sono anche i film degli anni settanta, come Taxi Driver”.
Ma quindi cos’è lo Swing? Qualche anno fa ci avevi detto che era la musica della comunicazione. Tutta la musica è comunicazione… in che senso ne stavi parlando?
“Nello swing hai musicisti bravi, che fanno musica complessa. Sono vestiti bene, hanno un’immagine curata, piacevole. E lo swing è fatto per ballare. Il beat è molto definito… ta-ta-tarara. Non è come il Jazz, una musica complessa, fatta per un pubblico complesso. Lo swing è talmente catchy che non ti permette di accorgerti della sua complessità. E la sua complessità, sta proprio in questo”.
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Il Lockdown ha colpito anche in Inghilterra, dice. E ha colpito forte.
“Locked Down But Not Out” é la storia di quello che abbiamo passato tutti durante questo lockdown. Prendete una Bergamo con uno Stefano D’Orazio che scrive una canzone sulla cittá che “ritornerá a splendere”, cercando di mantenere un tono ittimista che per lu inon é servito.
Prendete il terrore e la depressione che hanno caratterizzato le vite di tutti nell’Europa del 2020.
Trasponeteli nella penna di un artista affermato, che con I suoi “The Giants” riesce a regalare un prodotto originale e intenso, che da voce a milioni di persone in Europa.
“Siamo riusciti a raccontare il lockdown, nonostante non potessimo vederci. É stato un modo completamente diverso di lavorare: noi, abituati a trovarci insieme e organizzare tutto all’antica, ci siamo trovati a inviarci reciprocamente tracce registrate con il cellulare. Sí; con il cellulare. Sappiamo perfettamente in che ordine si devono sovrapporre le varie tracce, e cosí abbiamo creato l’album trovandoci ognuno in posti diversi. É stata un’esperienza assolutamente da matti. Fortunatamente, il nostro produttore é bravissimo e ci ha aiutato a mettere insieme tutto”.
Mentre Ray racconta la sua esperienza ci si sente quasi soffocati, ripensando al periodo appena trascorso; al misto di paura, incertezza, e speranza.
“Però no, non è un album oscuro, è un album intriso di Speranza: penso che sia più che altro questo che si evince ascoltandolo. La musica, paradossalmente, è stata un modo per ritrovarsi – anche a distanza. Penso che nell’aria ci fosse la sensazione palpabile che, prima o poi, quella situazione sarebbe finita. Anche perché, in qualche modo, questo terribile periodo lo abbiamo girato a nostro favore: senza lockdown, l’album non sarebbe mai nato.”
Quindi i social media sono un bene per la musica? Senza questi, questo album non sarebbe mai nato.
“In questo senso, assolutamente sì. Ci sono dei lati buoni nell’evoluzione mediatica; e questo è uno. Ci sono stati alcuni momenti in cui non succedeva nulla, a livello musicale: alcuni eventi sui social mi hanno salvato a livello di esposizione. Per quanto riguarda lo streaming sulle piattaforme… come Spotify… ecco, quello no. La cultura musicale è cambiata: ormai I live show non hanno più il valore di prima. Non è più necessario spendere soldi per I dischi. Però, d’altro canto… sempre più gente conosce la mia musica. Si tratta di un compromesso, ma comunque quando ho iniziato era diverso”.
Da Millennial, verrebbe da chiedersi in che modo la Londra degli anni ottanta fosse diversa a livello musicale. L’Inghilterra é sempre stata un mito – sempre, anche nel 2021, sotto lockdown – per chiunque avesse il mito della vita artistica incastonato nella mente. Cosa ne pensa un artista che ha raggiunto tutto il raggiungibile nel suo campo, diventando uno degli ultimi testimoni della scena Jazz e Swing?
“Io non ho raggiunto tutto quello che potevo raggiungere, assolutamente no. Non sono Frank Sinatra”.
Come fai a dire questo?
“Io non ci vivo piú con la mia musica”.
Le finanze sono importanti.
“Sí. Io tra qualche anno smetterò – ovvio, continuerò a suonare, a fare tour. Per me stesso, perché è la mia vita. Ma con la musica non ci puoi più vivere. Quando ho iniziato, nella Londra di qualche anno fa, era diverso. Ma adesso non si può più fare: la professione dell’artista non è più una professione. Puoi suonare con tutti I pezzi grossi di questo mondo, per tutti I pezzi grossi di questo mondo, ma alla fine se ci vivi a stento, hai successo solo a metà. Non ti guardi indietro e ti dici – ce l’ho fatta. E sì: questa, oggi, è la vita dell’artista”.
E che artista. E quanti ancora dovremmo sentirne.
“I social media, anche in questo senso, mi hanno salvato. Senza internet non saremmo mai riusciti a registrare un album in lockdown, o a fare tutti I progetti live con (Alessia la manager, ndr)”
In un pigro pomeriggio di settembre, inaspettatamente, la chiacchierata con Ray Galato davanti al te delle cinque si trasforma in una delle riflessione più vere e sull’evoluzione del panorama musicale negli ultimi anni.
Si è sentito parlare a lungo di lockdown, di artisti che guadagnano meno di quanto dovrebbero, di artisti part-time. Ma se n’è sentito parlare troppo poco da chi l’arte contemporanea ha contribuito a crearla, e soprattutto con troppa poca onestà.