“Raw”: la cruda e (con)vincente verità di Julia Docournau
Julia Docournau è senza dubbio una delle artiste più interessanti degli ultimi anni. Classe 1983, la regista parigina si è aggiudicata la Palma d’oro al 74° Festival di Cannes per il suo horror intriso di metallo e sangue “Titane”.
Un rapporto ambiguo tra uomo e macchina che il collega francese, Leos Carax (anch’esso in gara in questa edizione del Festival di Cannes con “Annette“) aveva già rappresentato sul grande schermo nel 2012 con il suo “Holy Motors.
Presentato in anteprima al Festival il 13 luglio 2021 e uscito nelle sale francesi il giorno successivo, la Docournau, con la sua pellicola vietata ai minori di 16 anni, incanta e terrorizza ancora una volta con il suo cinema che divide e spiazza.
Se si dovesse descrivere il lavoro della giovane regista in poche parole, si potrebbe affermare che è un cinema estremamente potente, intelligente e mostruoso. Non facile da guardare, certo, ma carico di una mostruosità che, come la stessa artista ha affermato, può contribuire a smuovere le coscienze.
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“La mostruosità è un’arma, una forza per spostare i muri della normalità che ci separano. C’è tanta bellezza, emozione e libertà da scoprire. Grazie per aver lasciato entrare i mostri”, ha dichiarato la regista dopo aver ricevuto l’ambito premio.
Con questa recente vittoria, Julia Docournau diventa la seconda donna, dopo Jane Campion (Lezioni di piano), a conquistare la Palma d’oro all’importante festival francese.
Aspettando dunque di vedere in sala la seconda opera della talentuosa regista, vale la pena ripercorrere il suo film debutto del 2016, “Raw – Una cruda verità”. Distribuito nelle sale francesi l’anno successivo, la pellicola in Italia venne direttamente distribuita in home video.
E ciò, all’epoca, fu un vero peccato, dal momento che per il pubblico italiano non fu possibile gustare sul grande schermo, con tanto di sacchetto affianco alla poltroncina, qualora ci si sentisse male di stomaco, un’opera che incantò per l’abilità registica della giovane artista, ma che destabilizzò e fece scappare non poche persone dalle sale, a causa delle scene estremamente cruente.
“Raw – Una cruda verità” è un horror che racconta le vicende di una giovane ragazza, Justine (Garance Marillier) una volta davanti alla verità sulla propria natura, soffocata da tempo.
Justine, viene da una famiglia di veterinari, padre, madre e la sorella maggiore Alexia (Ella Rumpf), tutti fermamente vegetariani e amanti degli animali. Portando avanti la classica tradizione di famiglia, la protagonista si iscrive alla facoltà di veterinaria, frequentata anche dalla sorella maggiore, presso l’Università di Liegi (Belgio).
Una volta giunta all’istituto, la ragazza, insieme a tutte le altre matricole, viene coinvolta in una dinamica di nonnismo da parte dei veterani dell’università e ad episodi di iniziazione, i quali accetti di compiere o il rifiuto porterà all’esclusione.
Il tema di repulsione della carne, da parte di Justine, viene esplicitato fin da subito nella pellicola, ma assieme a questo, anche una profonda curiosità e attrazione. Questa viene consolidata nel momento in cui, la protagonista, viene obbligata ad ingerire, come rito d’iniziazione, un pezzo di fegato crudo di coniglio.
E se questo gesto, inizialmente devasta Justine, sia psicologicamente che fisicamente, portando anche ad una violenta reazione cutanea, ben presto conduce la protagonista faccia a faccia con la propria vera natura. Questo episodio altri non è che l’inizio del suo risveglio verso una fame di carne e di sangue arcaica.
Da questo momento la fame diventa il centro della pellicola. Una fame che va concepita in un senso più ampio e non solo attraverso l’azione dell’ingerire cibo. Fame di sesso, di amore, di considerazione e di possedere l’altra persona, sperimentando un senso di controllo e di potere mai provati prima.
Tutti questi sentimenti vengono sperimentati, per la prima volta, da una ragazza taciturna e per niente sicura di sé, la quale è sempre stata messa in disparte dai pari e dalla sorella.
“Raw”, all’interno di ambientazioni fredde, spoglie e fatiscenti, racconta di pulsioni soffocate attraverso l’atto del cannibalismo, conseguenza di una latenza interiore, attraverso un viaggio verso la maturità e la crescita.
La prima opera di Julia Docournau si presenta come una pellicola portatrice di una fotografia magnifica ed estremamente curata in ogni dettaglio, capace di turbare e sconvolgere lo spettatore ad ogni fotogramma.
In mezzo al pattume che viene propinato oggigiorno, soprattutto quando si parla della categoria Horror, la Docournau è stata capace di creare un prodotto che, pur non rinunciando a sangue e carne in gran quantità, porta tematiche intelligenti e attuali, le quali vanno a denunciare una società intrisa di perbenismo e maschere che spesso, questa, obbliga ad indossare.