Raffaello, il pittore “divino” per cui si oscurò il cielo
Raffaello Sanzio, il pittore che plasmò l’ideale di bellezza classica del Rinascimento, nacque a Urbino probabilmente il 28 marzo del 1483.
Sulla data di nascita ci sono dubbi poiché per taluni, come Giorgio Vasari, “nacque adunque Raffaello in Urbino, città notissima in Italia, l’anno 1483, in venerdì santo a ore tre di notte”. Il venerdì santo del 1483 cadeva il 28 marzo.
Altri invece, interpretando l’epitaffio di Pietro Bembo “Quo die natus est, eo esse desiit VIII Id. Aprilis MDXX” (“Venne a mancare nello stesso giorno in cui nacque, nell’ottavo giorno prima delle idi di aprile del 1520″,cioè il 6 aprile ), si soffermano sul “quo die” (“lo stesso giorno”). La disputa è se Bembo intendesse il “6 aprile” o il “venerdì”. Dal momento che però il 6 aprile del 1520 cadde di martedì alcuni interpretano la frase in riferimento al numero e non al giorno della settimana.
La vita
Se la data di nascita è ancora dibattuta, di certo non lo è la sua fama né la sua importanza nella storia dell’arte mondiale.
Figlio di un pittore, Giovanni Santi, il cognome Sanzio deriva dalla forma latinizzata Sanctius. Tradizione vuole che fu proprio suo padre ad iniziarlo alla pittura e a mandarlo a studiare presso la bottega di uno degli artisti più in voga dell’epoca: Pietro Vannucci “il Perugino”.
Le sue doti artistiche furono evidenti sin da subito. A 17 anni ottenne il suo primo contratto come “maestro” per una pala d’altare in una chiesa a Città di Castello. La fama delle sue doti cominciò a diffondersi in tutta Italia. Ricevette in poco tempo commissioni a Firenze (dalle famiglie Doni e Dei), in Umbria, nelle Marche. Fino a ricevere la chiamata del papa Giulio II per un incarico in Vaticano.
Qui creò una sua squadra per non dover rinunciare anche ad altri incarichi. Tra gli artisti che prese al suo fianco ci furono Perin del Vaga e Giulio Romano. Fu un talento precoce dunque. Nel dipinto “Sposalizio della Vergine” del 1504 l’influenza del Perugino si fa più esplicita riprendendo due opere del maestro: una tavola omonima ora esposta al Museo delle Belle Arti di Caen e la “Consegna delle chiavi” dipinta su una parete della Cappella Sistina.
Il suo periodo fiorentino fu dettato anche dalla volontà di ammirare da vicino Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti. Del primo, in particolare, ammirò la discussa “Battaglia di Anghiari” che riprodusse su alcuni fogli oggi conservati a Oxford. Ma il legame con Perugia rimase ben stretto tanto da mantenere i rapporti con la nobildonna Atalanta Baglioni che lo incaricò di realizzare un dipinto in memoria del defunto figlio Federico detto Grifonetto. La scena rappresentante la Madonna nell’atto di svenire dinanzi al corpo morto di Cristo è un’allusione alla sofferenza della committente per la dipartita del figlio. Un particolare di questa opera è una somiglianza con il movimento di una donna che richiamerebbe il “Tondo Doni” di Michelangelo.
Tra i capolavori di Raffaello quelli che hanno maggiore fama sono gli affreschi nei quattro ambienti delle stanze Vaticane: la stanza dell’Incendio, della Segnatura, di Eliodoro e quella di Costantino. Il lavoro si protrasse per circa 12 anni, fino alla sua morte, tanto che la stanza di Costantino fu completata dai suoi allievi in base ai suoi progetti.
Nella stanza della Segnatura troviamo la “Disputa del Sacramento”, dipinto diviso in due registri: nella parte superiore l’artista rappresentò la Chiesa trionfante, in quella inferiore la militante. In questa seconda parte, considerato il recente Dantedì, merita una menzione la raffigurazione di Dante Alighieri (sulla destra). In questo ambiente Raffaello dipinse anche la “Scuola di Atene” e il “Parnaso”. Nella stanza dell’Incendio invece l’opera ritrae l’incendio del 847 nel rione Borgo esaltando l’allora papa Leone IV che con la sua benedizione spense il rogo.
Fu anche uno straordinario ritrattista, in particolare della nobiltà romana, e realizzatore dei disegni per dieci arazzi sulle vite dei santi Pietro e Paolo per la Cappella Sistina.
Le donne e l’amore per Raffaello
Ebbe sempre grande successo con le donne essendo di bell’aspetto e di modi affabili. Nelle “Vite” di Vasari viene descritto come “persona molto amorosa e affezionata alle donne” nonché amante dei “diletti carnali”. Il suo grande amore, tra i tanti attribuitigli, fu quello per Margherita Luti, detta “la Fornarina” (in quanto figlia di un fornaio).
Leggenda vuole che i due si innamorarono al primo sguardo che avvenne durante una passeggiata di Raffaello che la vide affacciata ad una finestra. Di lei, dopo la morte dell’artista, si sono perse le tracce forse per un ritiro in convento. Date le sue abilità come ritrattista la ritrasse ne “La Fornarina” . Un recente restauro ha evidenziato un anello poi cancellato, come a voler nascondere un matrimonio segreto. Il pittore di Urbino era infatti fidanzato ufficialmente per convenienza con la nipote del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena.
Proprio in una lettera con costui, il 3 aprile del 1516, Pietro Bembo annunciava una gita a Tivoli con Raffaello, Baldassarre Castiglione (che commissionò alcune opere all’urbinate) e poeti Navagero e Beazzano. Un mese dopo quella visita l’artista stese la prima bozza della lettera a papa Leone X in cui spiegava che gli uomini furono la causa della rovina di Roma. I marmi antichi venivano usati per fare la calce. L’arte classica veniva distrutta da quella tedesca, dal Gotico. La sua intenzione, concorde con quella papale, era di “rinascere” dagli antichi, per salvaguardare i resti dell’antica Roma.
Gli ultimi anni
L’ultima grande opera di Raffaello fu sicuramente la “Trasfigurazione”, realizzata negli ultimi 2 anni di vita e commissionata dal cardinale Giulio de’ Medici. L’opera fu posta a capo del letto di morte di Raffaello. “Si fa giudizio comune degli artefici che quest’opera tra tante, quant’egli ne fece, sia la più celebrata”. Così il Vasari descrisse l’opera che nei secoli fu studiata anche da Goethe e ispirò Nietzsche sulla condizione umana, sul dolore e sulle benedizioni divine.
Raffaello si spense a Roma a soli 37 anni il 6 aprile del 1520. La sua morte fu quasi improvvisa anche se già da qualche giorno una febbre lo aveva colpito. Morì di Venerdì Santo. Il collezionista d’arte di Marcantonio Michiel narrò la disperazione dei presenti, della città e anche del papa. Nella sua lettera l’intellettuale scrisse di una crepa apertasi nel palazzo Vaticano e l’oscurarsi del cielo. Ciò, oltre ad essere morto lo stesso giorno di Cristo, non fece altro che aumentare l’idea di artista “divino”.
La sua tomba è all’interno del Pantheon a Roma, come da sua richiesta, a testimonianza dell’importanza e della fama che acquisì in vita grazie alle sue opere. L’epitaffio fu scritto presumibilmente da Pietro Bembo:
“Qui giace Raffaello, da lui, quando era in vita, la natura temeva di essere vinta, ora che egli è morto teme di morire con lui”.