Quella geniale e lucida follia di Franco Battiato: Andrea Scanzi omaggia il visionario della musica italiana
Un elogio e una celebrazione, un tributo e un racconto: così si presenta “E ti vengo cercare“, spettacolo teatrale incentrato sul percorso artistico di Franco Battiato, che debutterà al Teatro Lyrick di Assisi il 17 marzo alle 21.15. Mattatore della pièce è Andrea Scanzi che, analogamente a quanto fatto con Giorgio Gaber, Fabrizio De André, Ivan Graziani e Pink Floyd, ne ripercorre la carriera con particolare attenzione al (lungo) periodo d’oro che va da “L’era del cinghiale bianco” a “Gommalacca”, senza però dimenticare le sperimentazioni degli esordi e al tempo stesso gli ultimi lavori discografici, le cover e le tante collaborazioni.
Ma come si racconta un artista che ha fatto dell’imprevedibilità il suo principale trademark? É lo stesso Scanzi a darci maggiori informazioni.
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Come si onorano la memoria e l’arte di uno tra gli interpreti più personali della storia della nostra musica?
Prima di tutto spero che mi riesca bene, ma questo sarà lo spettatore a dirlo. Visto lo spessore dell’artista, poi, è un dubbio lecito da avere. Non ha fatto differenza quando si è trattato di portare sul palco De André, Graziani o Pink Floyd. Ciò che si fa, deve essere fatto con amore, va sentito nel cuore, non si può fare tutto solo per soldi, ci vogliono grande competenza e passione, requisiti che possiedo in quanto grande amante di Battiato.
Ma è fondamentale essere curiosi, puntare a svelare nuovi elementi e dettagli della biografia dell’uomo e della carriera del musicista, non solo a narrare quelli già noti che aggiungerebbero ben poco a quanto già risaputo. Serve il desiderio di scandagliare tutta l’opera senza soffermarsi esclusivamente su ciò che è inflazionato o mainstream. Battiato, dal canto suo, ha avuto trenta vite, sia umane che artistiche. Addentrarsi nella sua musica è un viaggio infinito.
Rivoluzionario e sperimentatore, eppure amato da un pubblico eclettico e trasversale. Quale è stato il segreto del suo successo?
Oltre a essere curioso ed eclettico, dimostrando le sue visioni artistiche all’interno di un arco temporale lungo quaranta e più anni, Battiato ha puntato a esplorare ogni orizzonte che poteva. Ma c’era un talento di fondo incredibile, direi sovrumano, che lo ha sorretto durante la carriera. Ci sono alcuni momenti in cui lo ascolti e percepisci immediatamente dei lampi di genio. Vedi letteralmente una supernova di talento che gli è piombata addosso. In “Povera Patria” o “Gli uccelli”, giusto per citarne due, dimostra di essere un precursore. Sono brani che mettono i brividi, anche solo a pensare al tempo nel quale sono stati scritti. Di un’attualità esemplare.
Franco Battiato è stato poeta e cantante, scrittore e giornalista. Tu, che conosci bene il valore delle parole, nello studiarne il lirismo, quali messaggi hai colto?
La sua capacità di adattamento a qualsiasi contesto musicale. Fin dalla fine degli anni Sessanta che collaborava con Gaber, a quando poi è diventato autore di avanguardia capace di entusiasmare gente come Brian Eno, fino ad arrivare agli anni ’80 e poi avanti ancora. Ha sempre sperimentato, riuscendo anche ad adattarsi a tutti i generi musicali più o meno noti. E poi ha letteralmente modificato la canzone cosiddetta leggera.
Non c’è nessuno che ha cambiato la forma della canzone pop come lui. Prendiamo dischi come “L’era del cinghiale bianco” o “La voce del padrone”: pop orecchiabile, radiofonico, eppure ha inserito concetti filosofici di straordinario impatto. “Centro di gravità permanente” è un brano apparentemente leggero ma al tempo stesso incredibilmente denso di significati e rimandi filosofici.
Ha tenuto l’alto mascherandolo da finto basso. Ciò gli ha permesso di diventare mainstream, ma è necessario esplorarlo al meglio per rendersi conto della ricchezza incredibile dei suoi testi. A teatro questo suo bipolarismo artistico e creativo lo puoi raccontare, in tv no, i tempi sono diversi.
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L’esoterismo, la teoretica filosofica e la meditazione orientale sono passioni dalle quali ha estratto testi spesso complicati e criptici. E’ stata forse questa la sua forza, cioè l’aver trovato ispirazione da universi sconosciuti ai più?
Esattamente. Tutto questo lo ha reso unico. A lui piaceva complicarsi la vita. Apparentemente non era commerciale, ma sicuramente ha portato avanti un percorso molto atipico. Voglio sperare che lui abbia una dimensione internazionale, però non so quanto un americano o un inglese abbiano realmente avuto modo di comprenderne lo stile e il lirismo, anche per via di una sorta di barriera linguistica esistente.
A volte faccio un parallelismo: amo l’Ivano Fossati degli anni ’80 e ’90 perché aveva un’attenzione musicale unica. Da qui tutta una serie di discorsi sulla concezione di cantautore. Battiato lo è stato davvero? Cosa c’entra, lui, col cantautorato classico? C’entra, certamente, ma è anche vero che si tratta di un’etichetta limitante. Musicalmente, anche come uso della parola, è un unicum. Classificarlo è complicato e probabilmente anche inutile, visto la quantità di suoni che ha saputo portare alla nostra attenzione.
Siamo realmente sicuri di aver compreso Franco Battiato e la sua opera?
No. Io sono scettico per natura, e me ne accorgo anche quando faccio dei post. L’analfabetismo funzionale esiste eccome, siamo un paese superficiale e che legge anche poco. Quando ti trovi davanti degli artisti enormi che hanno anche larghe sfaccettature, la maggior parte del pubblico si ferma al mainstream ed a ciò che è maggiormente conosciuto.
Battiato come Gaber e De André: non posso accettare che ci si soffermi esclusivamente al noto perché c’è un universo di rivoluzioni che in molti non sanno. “L’ombra della luce”? sono convinto che la sappiano in pochi, ad esempio. Negli anni ’70 ha eseguito brani e note che ha capito solo lui, talmente era avanti. E anche ora, a distanza di tutto questo tempo, è da scoprire con nuovi occhi e rinnovate attenzioni.
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L’ultima parte della carriera ha visto il sodalizio artistico con Yuri Camisasca. Quale, secondo te, è stata l’influenza che lui ha avuto su Battiato?
Onestamente non te lo so dire, ma so che si stimavano molto. C’era un gran rapporto ed è quindi probabile che abbiano sviluppato un certo feeling anche nell’ultima parte della sua vita. Devo dirti, però, che quel Battiato non lo avevo considerato come quello che tocca le vette celestiali di “Gommalacca”. L’ho perso di vista perché non ho avuto la reale comprensione della sua evoluzione artista come con le cover di “Fleurs”.
Adesso, invece, piango come un bambino quando ascolto “Amore che vieni, amore che vai”. E’ un rammarico averlo scoperto dopo. Sono legatissimo ai venti anni che vanno da ’78 al ’98 ma, soprattutto, ali anni Ottanta; non riesco a immaginare come sia riuscito a fare ciò che ha fatto in un decennio dove molti cantautori si sono fermati o si sono sputtanati. Lui, invece, è andato oltre e ha continuato a esplorare universi sconosciuti e forme musicali di rara complessità. La verità, alla fine dei conti, è che non ci sarà mai più un Franco Battiato. Sotto tutti i punti di vista.
Andrea Scanzi ha ragione. Franco Battiato è ancora un universo inesplorato di cui conosciamo solo la patina di superficie: quella tangibile, concreta, apprezzabile anche da chi, per pigrizia, disinteresse, scarsa curiosità, non vuole avventurarsi in un viaggio interspaziale alla scoperta di una “supernova di talento”, come il giornalista l’ha definito. Ma si può sempre recuperare, e lo spettacolo che il giornalista porterà sui palchi italiani è, ora come ora, la migliore possibilità per adempiere al gravoso compito di fare ammenda e lasciarsi trasportare dalla lucida follia del genio siciliano.
Accanto a Scanzi, a cantare e suonare alcuni dei brani più significativi di Battiato, troviamo Gianluca Di Febo, leader dei Terza Corsia e dei Floyd On The Wing. Nello spettacolo sarà anche Battiato stesso, grazie a foto e a video che contrappunteranno il racconto. “E ti vengo a cercare” è una maniera garbata per raccontare, e ringraziare, un gigante che ci ha insegnato com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire.