Quando spedimmo Totò nello Spazio
A cavallo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 ci ritrovammo, come Paese, a vivere una fase economica straordinariamente felice per la nostra cinematografia. Nasceva in quegli anni un modo diverso di pensare al cinema, la via italiana che abbracciò anche il filone della fantascienza.
Oggi sembra impensabile, ma c’è stata un’epoca in cui anche l’Italia, questo minuscolo stivale a sud dell’Europa, ha avuto da dire nel cinema fantastico e sci-fi, e non voleva scherzare – anche quando voleva far ridere.
Non hanno passato la prova del tempo i meravigliosi film di Antonio Margheriti, sopravvissuto solo in qualche citazione tarantiniana, né quel capolavoro che è “Terrore nello Spazio” di Mario Bava (ma lo trovate su Prime Video in versione restaurata). Però, come si diceva, il cinema di fantascienza italiano è questione serissima, e lo è anche quando il protagonista di una delle epopee interplanetarie è Totò.
Nel 1957 viene lanciato lo Sputnik e l’anno dopo, Totò, ancora nel pieno delle forze, gira ben sei film e firma con Steno (Stefano Vanzina) il suo, ancora memorabile, cinquantaduesimo: Totò nella Luna. Affiancato da Lucio Fulci, Ettore Scola e Alessandro Continenza (che aveva già curato “La morte viene dallo spazio”), Steno dà forma alla sceneggiatura del film, che vede Totò nei panni del Cavalier Pasquale da Poggio Mirteto, proprietario della piccola casa editrice ‘Soubrette’, nella quale lavora il fattorino Achille Paoloni (Ugo Tognazzi) che sogna inutilmente di pubblicare un romanzo di fantascienza scritto da tempo e rimasto nel cassetto.
Achille ha però un dono di cui è all’oscuro: nel suo sangue scorre una sostanza, il glumonio, derivata dal latte di scimmia, che gli consente di poter viaggiare abilmente nello Spazio. Prelevato dunque dall’FBI dopo un fraintendimento, Achille e il Cavalier Pasquale dovranno vedersela con la lotta per la conquista dello Spazio, una misteriosa forza straniera e i due ‘cosoni’, dei cloni dei nostri protagonisti mandati da una civiltà aliena nella speranza di far fallire la spedizione e mantenere gli umani fuori dalle missioni spaziali.
Ed è dai ‘cosoni’ in poi che il film di Steno non resta più soltanto una commedia di grande livello ma diventa anche una parodia: il riferimento è a “L’invasione degli Ultracorpi”, che nel 1957 aveva ottenuto notevole successo in Italia e che raccontava dei ‘baccelloni’ con cui gli esseri umani vengono sdoppiati. Ecco allora che mentre Achille si prepara in bagno per passare la prima notte di nozze con la sua Lidia, arriva un ‘fagiolone’, un vero e proprio pisello gigante, che si apre e fa uscire una copia tutta nuda di Achille.
Questa soluzione originale è soprattutto la chiave di svolta che ha permesso a “Totò nella Luna” di diventare il più memorabile film di fantascienza comico della via italiana, non solo grazie alle straordinarie capacità attoriali ma anche e soprattutto per merito di quei riferimenti cinematografici immediati per il pubblico di allora, che si divertiva nel vedere Totò giocare con i successi del cinema straniero recente, e con quella memorabile collezione Urania che è stato il battesimo alla fantascienza per molti appassionati del genere.
Era e rimane un modo molto sano di raccontare il cinema italiano con uno spirito internazionale, ma non mancarono le critiche. Per esempio, in un bel libro su Totò, Alberto Anile ci tenne a sottolineare come “gli anellidi siano gli alieni più economici della storia del cinema”. Anche la pin-up interpretata da Sandra Milo fu messa sotto analisi:
“Totò nella luna” è l’unico film che mette insieme la fantascienza e le pin-up, due trademarks degli anni ’50. E però li contrappone: le pin-up da una parte come materiale da fruizione per adulti maturi, e la fantascienza come sciocchezzuola per ragazzini. In una sequenza un disegnatore di copertine di fantascienza è addirittura rappresentato come omosessuale”, scrive Riccardo Esposito in un lungo saggio, “Il cinema di fantascienza nella piccola Italia degli anni’50”.
Il film avrebbe dovuto avere anche un sequel, “Totò in orbita”, che purtroppo non vide mai la luce. Ma il percorso per recuperare – e va fatto – il cinema di fantascienza italiano deve passare per forza da qui.