“Quando cavalcavo i mammut”, scontro generazionale nelle pieghe del nostro tempo: intervista a Paolo Romano
Il cinquantenne Luigi Giavatto, più solo che single, impiegato al Tribunale, parte per un breve viaggio in Sicilia col vecchio padre: l’occasione attesa una vita per risolvere un rapporto indecifrabile, la chance di superare un totem di incomprensioni. Ma presto questa avventura si dilata per digressioni e flashback, vita possibile e vita sognata. Sullo sfondo la Roma caotica di uffici e burocrazia, specchio dell’inazione del protagonista. Si gioca su queste dinamiche “Quando cavalcavo i mammut” il libro di Paolo Romano (ed. Scatole Parlanti), scrittore e giornalista che vive e lavora nella capitale.
Nell’alternarsi di stili e piani narrativi, vanno in scena la storia di una nevrosi e la fragilità di un uomo senza qualità, sempre minacciato dall’ingombrante fantasma paterno e l’idea della sopravvalutazione del sesso nelle relazioni umane. Rapporti disastrosi con le donne, l’adolescenza, gli intrallazzi, le corsie d’ospedale, diventano una girandola dal finale inatteso.
Un volume che approfondisce, attraverso il rapporto di un figlio adulto con l’anziano padre in uno scombiccherato road trip in Sicilia, i cambi storici dei costumi e dell’etica. Un’ottica interessante anche alla luce di un contesto socioeconomico quotidiano carico di incertezze sulla previdenza alla crisi del mercato del lavoro. Scenari che, tornati in primo piano con il dibattito in corso in Europa sulle misure anti Covid, hanno allargato ancora di più il gap tra attuale classe dirigente e giovani.
Giornalista, blogger (l’Espresso, HuffPost), Romano è anche appassionato di musica: “Da 40 anni la ascolto”, scrive di se stesso, “poi l’ho pure provata a suonare auto censurandomi sulla soglia del professionismo. Qua ne parlo un po’, aspettando le critiche. Intanto, vivo con otto chitarre e un bell’amplificatore a valvole, che mio figlio manipola curioso”.