Il Piccolo Principe, l’opera di Saint-Exupéry non invecchia un giorno
Il nome di Saint-Exupéry è legato indissolubilmente a “Il Piccolo Principe”.
La “fiaba per adulti” per eccellenza è ancora oggi tra i libri più tradotti al mondo, dietro solo alla Bibbia e al Corano. ll romanzo, uscito per la prima volta il 6 aprile del 943 a New York, è una delle maggiori manifestazioni dell’io dell’autore, il quale affermava che “bisogna vivere per poter scrivere”. La maggior parte delle sue opere, difatti, prendono spunti autobiografici, trasformate in cronache romantiche di fatti realmente accaduti. Forse proprio per questo finì per fare di tutta la sua vita un romanzo.
Gli insegnamenti del Piccolo Principe
Il racconto più noto di Saint-Exupéry è senza dubbio “Il Piccolo Principe”, una favola dedicata all’amico Léon Werth. Ma non all’amico adulto, bensì al bambino, una dedica retroattiva, un testo per l’infanzia che perdura in ogni età.
Le sue opere sono l’esaltazione del senso del dovere, dell’amore per la vita, ma anche la capacità di affrontare la morte. Quella di Saint-Exupéry è una letteratura di eroismo, di sublimazione dell’amicizia e della fratellanza. Tutti temi che ritroviamo ne “Il Piccolo Principe”.
“Non si vede che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”
Questa è sicuramente la frase più famosa dell’autore francese. Nota anche a chi non ha mai letto il romanzo e ha sfogliato a caso qualche sito di aforismi o pagina facebook.
Saint-Exupéry volle così sottolineare la vera bellezza delle persone nascosta in ciò che tengono segreto. Sono le cose nascoste a renderle uniche. Ciò che non è immediato e difficile da raggiungere e che possiamo scoprire davvero solo se vogliamo approfondire il rapporto con una determinata persona e se ci impegniamo ad esserle amici.
D’altronde il principe ci insegna che non sempre le cose sono come sembrano. Le nostre percezioni potrebbero non corrispondere alla realtà. Bisogna perciò approfondire costantemente, dedicarsi alla ricerca e al desiderio di espansione della conoscenza.
Nel suo capolavoro lo scrittore francese sottolinea l’importanza del rapporto con il prossimo, nel confronto.In questi tipi di rapporto è fondamentale dare più importanza alle azioni invece che alle parole. Un concetto espresso anche da un altro grande poeta e scrittore: l’americano Ezra Pound, che si riferiva più alle idee che alle parole.
Il piccolo principe nel suo incontro con un geografo conosce un uomo che rifiuta di esplorare il proprio mondo perché è troppo occupato a fare ricerche su luoghi lontani. In un mondo che corre rischiamo di lasciarci sfuggire i dettagli. Saint-Exupéry calca la mano sull’importanza di conoscere innanzitutto se stessi per poi confrontarsi con gli altri e con il mondo.
L’altro, il prossimo, le persone che ci circondando. Il racconto dello scrittore francese sottolinea come l’uomo vorrebbe sempre avere vicine le persone che ama. Ma per il loro bene bisogna imparare a lasciarle libere. Anche a costo di lasciarle andare via perché trattenerle significherebbe intrappolarle. Lasciarle andare può essere la più grande dimostrazione d’amore. Ecco perché alla fine della storia il pilota e narratore permette al piccolo principe di abbandonare la Terra e di tornare sul suo pianeta.
La vita di Saint-Exupery
Nato a Lione il 29 giugno del 1900, trascorre un’infanzia felice nei castelli di famiglia nonostante la morte del padre, scomparso quando lui ha soltanto 4 anni. A 15 anni subisce un altro dramma: la morte del suo migliore amico François di cui dirà: “Se fosse stato un costruttore di torri, mi avrebbe chiesto di realizzare la sua torre. Se fosse stato padre mi avrebbe affidato l’istruzione dei suoi figli. Se fosse stato pilota di guerra mi avrebbe affidato il suo giornale di bordo. Ma era solo un bambino e mi ha lasciato un motore a vapore, una bicicletta e una carabina”.
La sua grande passione, prima della scrittura, era il volo. Una passione così smisurata da riuscire ad avere il battesimo dell’aria all’età di 12 anni, in un’esperienza subito riversata in letteratura scrivendo, appena sceso dall’aereo, un poema. Riuscì così a intrecciare i topoi della sua vita: il volo e la narrativa.
Nel 1927, in piena rivolta marocchina assicurava i collegamenti postali Tolosa-Casablanca e Dakar-Casablanca con caposcalo Cab Juby. Capitava che i piloti di alcuni aerei precipitati o abbattuti a fucilate dai mauri fossero presi in ostaggio e liberati su riscatto, oppure uccisi. Il recupero dei dispersi nel deserto, a cui Saint-Exupéry partecipò più volte, fu sempre un’avventura estrema. È proprio a partire da questa esperienza di volo nel deserto che scrive il suo primo romanzo, “Corriere del Sud” (1928), che riscuoterà subito un grande successo.
L’esperienza di volo sulle Ande gli ispira anche il secondo romanzo, “Volo di notte”. Uscito nel 1931 con la prefazione di André Gide, gli valse il conseguimento del prestigioso Premio Fémina e la consacrazione come scrittore.
Passa la vita constantemente con l’amico fraterno Léon Werth o in qualche locale a bere qualcosa con l’altro caro amico Léon-Paul Fargue. Intanto , dopo altri romanzi, con “Terra degli uomini” nel 1939 consegue un’altra prestigiosa riconoscenza: il Gran Premio dell’Accademia di Francia.
Fu inviato di guerra in Spagna nel 1936 e inviato speciale in Russia per seguire i processi stalinisti. Lavorò come sceneggiatore di film. La sua vita fu a metà tra quella di un dandy e quella di un avventuriero, tanto che sulla sua morte si raccontano mille leggende che lo hanno fatto entrare nel mito .
Saint-Exupéry e Nietzsche
Il 31 luglio 1944 parte per la nona ed ultima missione, con l’obiettivo di sorvolare la regione di Grenoble-Annecy. Non tornerà più. Fu dato per disperso. Lasciò una lettera a Renée de Saussine, la sua Rinette amica del cuore: “Mi porto Nietzsche sotto il braccio. Mi piace infinitamente quel tipo. E questa solitudine. Mi stenderò sulla sabbia a Cap Juby e leggerò Nietzsche”. Quel Nietzsche che morì lo stesso anno in cui nacque Saint-Exupéry.
Riguardo il periodo nel Sahara spagnolo scrisse: “Vivo da eremita nell’angolo più sperduto dell’Africa, in pieno Sahara spagnolo. Un fortino in riva al mare, la nostra baracca a ridosso, e nient’altro per centinaia e centinaia di chilometri![…] i capi mauri mi conoscono bene. Disteso sul loro tappeto osservo, attraverso un lembo della tela, la sabbia calma, punteggiata di dune, il terreno ingobbito, i figli dello sceicco che giocano nudi al sole, il cammello legato accanto alla tenda. E ho una strana sensazione: non di distacco, non di isolamento, ma come di un gioco che passa”.
Questa atmosfera influì senza dubbio sulla trama di un altro suo capolavoro: “Cittadella”. In una zona imprecisata del Nordafrica un Caid berbero ammaestrava il figlio che, avendone preso il posto dopo il suo assassinio, rievoca la gioventù trascorsa all’ombra del padre carismatico. Il Gran Caid avendo ricevuto dalla divinità il potere di creare aveva facoltà di liberare le coscienze asservendole all’ordinamento della comunità. Saint-Exupéry immagina così una sorta di Zarathustra del deserto, intenzionato a condurre l’uomo fuori dal vortice del nichilismo attraverso alcuni valori precisi.
Questi erano però attinti, diversamente dal profeta nietzscheano che invoca valori nuovi, a quelli arcaici e alla sapienza ad essi correlata. La questione metafisica, cioè la presenza di Dio, è aggirata dal vivere come se Dio esistesse. Perché così facendo si vive bene e, se Dio esiste, si conquisterà la grazia eterna. “Che importa che Dio non esiste! Dio dà all’uomo il divino. La tua piramide non ha senso se non termina in Dio… Perché in un primo tempo Dio dà un significato al tuo linguaggio e il tuo linguaggio, se acquista significato, ti rivela Dio”. Perché “se non c’è nulla al di sopra di te non puoi ricevere nulla se non da te stesso. Ma che cosa puoi ricevere da uno specchio vuoto?”.
Jean-Claude Ibert scrisse di lui: “Il pensiero di Saint-Exupéry è filosofico, ma talmente sottomesso alla poetica che sfugge ad ogni sistema, e dirige quella difficile operazione che consiste nel conglobare vita e conoscenza in un medesimo atto di creazione. Saint-Exupéry, a differenza di altri scrittori contemporanei che ‘subiscono’ o hanno ‘subito’ il mondo moderno, lo hanno “pensato”. È a questo titolo che si è innalzato spesso a livello di intellettuale dei più influenti filosofi di questo mezzo secolo, mentre con la stessa disinvoltura dei poeti più grandi penetrava in quell’universo ove il sensibile eccede l’intellegibile”.
Morì dunque lasciando un alone di mistero, tanto da lasciar fantasticare su di lui. Come se nel penultimo capitolo de “Il piccolo principe” avesse lasciato un messaggio.“Sembrerò morto, ma non sarà vero”.
Il suo principe rimane dunque un simbolo di chi crede ancora nella bellezza dei sogni e dell’amor puro. Come un novello Cyrano de Bergerac che, prendendo in prestito le parole di Francesco Guccini, era “solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna”. Così il piccolo principe che invita a sognare, ad andare oltre le apparenze.