Piccoli gesti Per grandi parole: l’estrema delicatezza di Pegah sulle note di Baraye
Allora io vi chiedo: esiste un paradiso forzato?
I capelli scuri legati in una coda di cavallo, un incredibile vestito borgogna con scollo e spacchi sensuali ma non troppo, gli occhi scuri – circondati da un delicato trucco dello stesso colore – che raccontano e colpiscono già prima che Pegah Moshir Pour inizi a parlare.
“Mi chiamo Pegah, italiana di origine iraniana,” – si presenta l’attivista e consulente dei diritti digitali – “nata tra i racconti del Libro dei Re cresciuta tra i versi de La Divina Commedia. In Iran non avrei potuto presentarmi così vestita e truccata, né parlare di diritti umani sul palco, sarei stata arrestata o forse addirittura uccisa. Per questo, come molti altri ragazzi e ragazze, ho deciso che la paura non ci fa più paura e di dare voce a una generazione cresciuta sotto un regime di terrore e repressione, in un paese bellissimo, uno scrigno dei patrimoni dell’umanità.”
Pegah Moshir ha preso in contropiede il pubblico del Festival con un emozionante e sincero resoconto della situazione in Iran. Prima di tutto un monologo sulla situazione dei suoi coetanei nel Paese che ha dovuto lasciare all’età di 8 anni, prima del trasferimento in Italia.
Leggi anche: Sanremo 2023, seconda serata: dai tre tenori al Freestyle di Fedez
«La parola paradiso» ha continuato l’attivista e divulgatrice «deriva dall’antico termine persiano pardis, che significa giardino protetto. Allora io vi chiedo, esiste un paradiso forzato? Come si può chiamare un posto in cui un regime uccide persino i bambini? Dal 16 settembre 2022, da quando Mahsa Jina Amini, una ragazza colpevole solo di essere sospettata di non indossare in modo corretto il velo, è stata uccisa dalla polizia morale, il popolo iraniano sta sacrificando con il sangue il diritto a difendere il proprio paradiso».
Già così Pegah ha in pugno il pubblico in sala e a casa, ma decide di toccare le corde del cuore con il linguaggio tipico di Sanremo: elogia il potere della musica “per spiegare meglio il dramma che i miei coetanei stanno vivendo nel nostro Paese, usando la melodia e le parole di una canzone sulle libertà negate”.
Arriva sul palco l’attrice, conduttrice e performer Drusilla Foer per declamare il testo di Baraye. A settembre la canzone (il cui titolo si traduce con la preposizione “per“) di Shervin Hajipour ha realizzato oltre 40 milioni di visualizzazioni in soli due giorni ed è subito diventata un inno alle proteste in Iran, scoppiate lo scorso settembre dopo la morte di Mahsa Amini.
Il brano che ha ispirato l’intervento sanremese di Pegah aveva presto attirato le attenzioni del governo, che ha arrestato Hajipour per rilasciarlo ben un mese dopo (fortunatamente). Nei mesi successivi Baraye ha permesso a Shervin Hajipour di vincere ai recenti Grammy Awards 2023 nella nuovissima categoria “Miglior canzone per il cambiamento sociale“.
Il testo della canzone, contemporaneamente specchio e megafono del grido di lotta e resistenza delle donne e degli uomini in Iran, è stato scritto musicando i tweet che i ragazzi hanno scritto sulle libertà negate. :
Per ballare nei vicoli
Per il terrore quando ci si bacia
Per mia sorella, tua sorella, le nostre sorelle
Per cambiare le menti arrugginite
Per la vergogna della povertà
Per il rimpianto di vivere una vita ordinaria
Per i bambini che si tuffano nei cassonetti e i loro desideri
Per questa economia dittatoriale
Per l’aria inquinata
Per Valiasr e i suoi alberi consumati
Per Pirooz e la possibilità della sua estinzione
Per gli innocenti cani illegali
Per le lacrime inarrestabili
Per la scena di ripetere questo momento
Per i volti sorridenti
Per gli studenti e il loro futuro
Per questo paradiso forzato
Per gli studenti d’élite imprigionati
Per i ragazzi afghani
Per tutti questi “per” che non sono ripetibili
Per tutti questi slogan senza senso
Per il crollo di edifici finti
Per la sensazione di pace
Per il sole dopo queste lunghe notti
Per le pillole contro l’ansia e l’insonnia
Per gli uomini, la patria, la prosperità
Per la ragazza che avrebbe voluto essere un ragazzo
Per le donne, la vita, la libertà
Per la libertà
Per la libertà
Per la libertà
Ma questa anafora di “Per…” che diventavano sempre più difficili da mandar giù non bastavano. Tra un verso e l’altro si inseriva la voce di Pegah Moshir creando un coro a due voci che correvano su due binari paralleli giocando a passaggi con lo stomaco. Un’alternarsi di voci quasi martellante che ha creato una performance per cui è difficile trovare aggettivi.
Leggi anche: Jafar Panahi ancora in carcere: il regista iraniano in sciopero della fame e della sete
Le parole di Pegah (da leggere un rigo la volta, incatenate al testo di Baraye):
In Iran si rischiano fino a 10 anni di prigione se si balla per strada o si ascolta musica occidentale.
In Iran è proibito baciarsi e stare mano nella mano con la persona che ami.
Si paga con la vita il desiderio di esprimere la propria femminilità.
Più di 20 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà senza soldi per mangiare e sono moltissimi i bambini sfruttati, che chiedono l’elemosina e vivono raccogliendo i rifiuti.
ll regime uccide i cani sia di proprietà che di strada.
Nella prigione di Evin ci sono più di diciottomila tra intellettuali, dissidenti e prigionieri politici che spariscono nel silenzio.
In Iran ci sono più di 1 milione di profughi afgani, perseguitati senza possibilità di ricostruirsi una vita.
In Iran essere omosessuali è punito con l’impiccagione.
Difficile commentare una tale esibizione con parole che non sembrino superflue. Ci hanno pensato i gesti: le voci e le mani di Drusilla e Pegah che si uniscono (in) Per le donne, per la vita, per la libertà. Gli occhi e il sorriso di Pegah che sembravano esplodere e il sorriso complice e rassicurante di Drusilla.
Ma più di tutti la mano di Pegah Moshir Pour che quasi senza farsi notare e con un’estrema delicatezza scioglie i suoi capelli al grido dell’ultimo Per la libertà.
Leggi anche: Angelo Duro a Sanremo: tra trasgressione e ipocrisia, scandalo e gelo