Per favore, lasciate in pace i Nirvana
“Hello, hello, hello, how low?”
Dio benedica Fiorello. Altro eterno ragazzo capace di reinventarsi nell’arco di decenni, di capire il momento, di fermare il tempo. Ma se c’è un’immagine dalla mia mente al mio stomaco che mi restituisce immediatamente la sensazione di mal di macchina – e anche un po’ di claustrofobia – è quella dell’autobus di gita delle superiori con la cassetta in loop di un album misto tra cover e canzoni originali che seguivano i due orrori a 33 giri come “Veramente falso” e “Nuovamente falso”.
Chilometri di autostrada col magone del ritorno a casa e con queste canzonette pop a basso costo, con tanto di affronto agli Scorpions e a Wind of Change, ribattezzata “Ridi” in uno stile che faceva più che altro pensare a una hit di Zalone.
Ok, va bene. Ma che c’entra Fiorello con il topic evocato dal titolo? Beh, non molto, in verità anche se di recente lo abbiamo visto in mantello nero e corona di spine, prestare il fianco proprio ad Achille Lauro sul palco di Sanremo.
Ma non è per questo che lo abbiamo chiamato in causa: ricordare il volto di Fiorello incastonato in un ritratto rinascimentale, come lo vedi nella copertina di “Veramente falso” rende il senso del grottesco che alcune semplificazioni stilistiche del nostro Achille nazionale ti restituiscono, anche con la complicità di qualche critico musicale ammiccante.
Non bastavano i suoi “omaggi” a David Bowie, oppure a Sid Vicius (con buona pace dello spirito punk). Ora, nel suo ultimo videoclip che accompagna l’uscita del singolo Marilù, c’è pure un neanche troppo velato richiamo a Kurt Cobain. Bowie, Vicious, Cobain. Tutta gente che, ahimé, non può più lamentarsi pubblicamente. L’unico omaggiato in vita che ha potuto farlo, Renato Zero, l’ha toccata piano: “Io cantavo la periferia, non ero un clown”
In una clip diretta da Leandro Emede – i nomi dei responsabili bisogna farli per dovere di cronaca – il nostro Achillone Lauro De Marinis compare su un palco insieme ai membri della sua band, Gregorio Calculli, Marco Lanciotti e Raffaele Littorio. Un lavoro girato in uno studio di posa, il VideoProject di Cologno Monzese.
Truccato da vera rockstar (ma è tutto finto – anche le occhiaie), il nostro esperto di non trasgressione si muove in una scena che richiama alla mente – non senza far venire il mal di testa – il celebre “MTV Unplugged” registrato nel novembre del 1993 a New York (ne fu tratto anche un disco, il primo pubblicato dai Nirvana subito dopo la morte del leader, nel novembre del 1994). Quell’Unplugged fu l’atto finale di una band capace, consapevolmente o inconsapevolmente, di riscrivere i paradigmi del rock negli anni novanta. Colori, atmosfere, con tanto di fiori sul palco, ti riportano lì. E pazienza se Marilù non è Polly. Ma neanche la sigla di Pollyanna (con buona pace anche di Cristina D’Avena).