Patrizia Cavalli, «Non chiamatemi poetessa ma poeta»
Patrizia Cavalli, nata a Todi nel 1947, è scomparsa oggi all’età di 75 anni, era una poetessa italiana, amata da tante generazioni. In un’intervista al Corriere della Sera, alla domanda “Perché si fa chiamare «poeta» e non «poetessa»?”, ella rispose: «Perché poetessa fa ridere, dai. Non mi è mai passata per la testa l’idea di farmi chiamare poetessa. Sembra quasi una presa in giro».
Dal carattere forte ed energico, Patrizia Cavalli è stata una dei “poeti” contemporanei che meglio è riuscita a raccontare la vita della natura, con particolare attenzione non solo a ciò che è vivente, ma anche a ciò che è privo di anima, attraverso delle minuziose rappresentazioni di case, stanze, stanzette, con uno speciale riferimento alla vita degli oggetti, protagonisti noncuranti eppure assidui interlocutori – «Ah smetti sedia di esser così sedia!», scriveva in una raccolta del ’92 –.
Ancora l’abbiamo letta e riconosciuta, nelle sue poesie d’amore in cui – più scientifica che sentimentale – Cavalli ci ha messo ripetutamente di fronte ai misteri del cuore: come e perché ci innamoriamo? «C’è nell’amore volontà di amare»? Quanto aggiungiamo di nostro a un volto amato, a furia di pensarlo? E vale la pena tormentarsi tanto, o è meglio dedicarsi «al fisso amore», ad un «amore stanco», e per ciò stesso «perfetto»?
Ed è qui, collegandola al termine “perfetto” che andremo ad inserire la poesia proposta oggi. Il mio felice niente, tratta dalla raccolta “Vita Meravigliosa” edita da Einaudi nel 2020, è una poesia che racchiude gran parte dei pensieri che tormentano le donne. Molti sono dei giudizi assillanti nell’assurda ricerca di perfezione dettati dalla superbia, dalla competizione perenne che una donna vive dentro se stessa, una voglia di riscatto, di perfezione. La perfezione è un disastro, è apparenza, è la casa pulita, il vestito lindo sopra un corpo sfatto. Proprio per questo la poesia ha il potere di dire ciò che abbiamo bisogno di sentire e quella di Patrizia Cavalli lo dice con franchezza, musicalità e molle ebbrezza, con un sferzata d’energia.
Il mio felice niente tratta da “Vita Meravigliosa”, Einaudi, 2020.
Se posso perdonare, allora devo
riuscire a perdonare anche me stessa
e smetterla di starmi a giudicare
per come sono o come dovrei essere.
Qui non si tratta di consapevolezza
ma è la superbia che mi tiene stretta
in una stolta morsa che mi danna.
Eccomi infatti qui dannata a chiedermi
che cosa fare per essere perfetta.
Tenersi all’apparenza, forse descrivere
soltanto cose in mutua tenerezza.
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