Pan il Capricorno: un mito greco in Egitto|ArcheoFame
Siamo ormai nel pieno della stagione del Capricorno, piccola costellazione (la più piccina dello zodiaco) incastrata tra l’Aquario e il Sagittario, che oggi risulta molto difficile da vedere a occhio nudo ma che era perfettamente chiara e visibile alle civiltà del passato. Basti pensare che ne parlavano già alcune tavolette cuneiformi Babilonesi e i Sumeri, che le diedero il nome di Suhur-Mash-Ha, “il pesce-capra”.
Ma quali sono le origini mitologiche di queste stelle? Ecco la storia che ci hanno raccontato gli antichi greci.
L’ordine cosmico stabilito da Zeus è messo alla prova dai terrificanti Titani. I Titani sono esseri immortali come gli dèi olimpici ma appartengono alla generazione precedente di quella di Zeus; essi, i Titani, sono infatti figli diretti di Gea, la terra, e Urano, il cielo, che invece erano i nonni degli dèi che abitavano l’Olimpo, figli invece, di Rea e di Crono (il più giovane di tutti i Titani). I Titani, gli anziani, mal sopportavano il dominio della generazione più giovane, tentarono quindi di sovvertire la gerarchia celeste ormai costituita conquistando l’Olimpo. La battaglia che si scatenò fra dèi olimpici e Titani è nota come titanomachia e durò, secondo Esiodo, ben dieci anni.
Fondamentali nella vittoria della squadra olimpica nella titanomachia furono i Centimani, altri mostri figli di Gea e Urano, dotati di cento braccia e cinquanta teste. Grazie a tutta la forza di quegli innumerevoli arti, furono scaraventate pietre a pioggia sui Titani che, unite alle saette continuamente scagliate da Zeus, furono ricacciati nelle viscere della terra ovvero nel Tartaro: le infinite e sotterranee tenebre.
Gea, mai doma, genera in terra di Cilicia un ultimo figlio, proprio insieme alla personificazione del Tartaro, il suo nome è Tifeo/Tifone. E anch’egli deciderà di attaccare l’Olimpo.
Una creatura talmente terrificante che gli dèi stessi ebbero una grandissima paura a vederla. Tifeo infatti scagliava continuamente pietre e fiamme dalla occa contro le case degli dei sul monte Olimpo, tanto che questi furono costretti a fuggire lontano, fino in Egitto, per cercare riparo. A questo punto del mito entra in scena Pan, il Capricorno.
Pan era il dio dei boschi con sede nella bucolica terra di Arcadia, metà uomo e metà capra. Dal nome del dio deriva la parola “panico”: egli infatti appariva all’improvviso a chi attraversava i boschi, e con un grido inumano generava istantaneamente un terrore irrazionale e devastante in chi lo ascoltava: il panico, appunto.
Quando anche Tifone arriva in Egitto per inseguire le divinità in fuga, Pan arriva ad aiutare gli sventurati dèi. Suggerisce loro di trasformarsi in bestie feroci per sorprendere il mostro:
Ovidio nelle sue “Metamorfosi” ci narra che Giove diventa un ariete, Apollo un corvo, Dioniso una capra, Artemide un gatto, Era una vacca, Afrodite un pesce e Ermes un ibis.
Tifone viene finalmente sconfitto e alla fine della battaglia pan si allontana lanciandosi in un fiume trasformando la parte inferiore del suo corpo in quella di un pesce: Zeus resta particolarmente colpito dalle insolite sembianze del Dio e, anche per ringraziarlo del fortunato suggerimento, scolpisce la capra-pesce nelle stelle.
Quando i Greci entrano in contatto con la cultura egizia vengono sicuramente colpiti dalle strane diviità di questo popolo, con terrificanti sembianze animali che era senz’altro una novità per i Greci, i cui dei avevano sembianze antropomorfe. Probabilmente la trasformazione degli dèi in animali in questo mito fu il loro modo di spiegare la strana natura zoomorfa delle divinità egizie.
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