La cultura è sparita dai Dpcm. L’urlo disperato degli operatori: “quale sarà il nostro futuro?”
Aggiorniamo il conteggio. Siamo oltre gli 81 giorni. Quelli che intercorrono tra la pubblicazione di questo nuovo articolo e il Dpcm che il 24 ottobre aveva disposto per la prima volta la chiusura di teatri e cinema. Siamo anche alla vigilia di un nuovo Dpcm di contrasto al coronavirus, che tra le altre cosa proroga lo stato d’emergenza per la pandemia da Covid-19 fino al 30 aprile.
La situazione, dal punto di vista dei luoghi della cultura non cambia. Da domenica quasi tutta l’Italia rischia di finire in zona arancione, con Lombardia, Emilia Romagna e Sicilia che rischiano addirittura le misure più stringenti da zona rossa. Confermati il coprifuoco, lo stop all’asporto dalle 18 (sarà consentito solo il domicilio). Ristoranti e bar aperti fino alle 18 nelle zone gialle, chiusi nelle altre. Negozi aperti nelle zone gialle e arancioni. Con indice Rt maggiore di 1 si finisce in area arancione, maggiore di 1,25 in area rossa. In arancione finiranno anche tutte quelle Regioni classificate a rischio alto secondo i 21 parametri, anche se l’indice Rt è minore di 1.
Confermata la chiusura di palestre, piscine, cinema, teatri. Da valutare la riapertura di alcuni musei nelle zone gialle.
Il Dpcm prevede anche l’istituzione della zona bianca, in cui riaprirebbero palestre, piscine, teatri, cinema, ristoranti e bar h24. Ma per ora non ci rientra nessuno: riguarderà le Regioni con uno scenario di tipo 1, un livello di rischio basso, indice Rt inferiore a 1 e un’incidenza settimanale dei contagi per due settimane consecutive inferiore a 50 casi ogni 100mila abitanti. Un’utopia per il momento.
E intanto, cosa succede a chi campa con gli spettacoli?
Ha colpito tutti la storia di Adriano Urso, pianista per vocazione e rider per necessità colpito da un infarto mentre stava effettuando una consegna. Una vicenda tragicamente simbolica che la dice lunga sulla condizione di molti artisti e operatori culturali.
Gestori che continuano a pagare spese senza avere la benché minima possibilità di lavorare, allo stato attuale. Per non parlare dei soldi buttati per le operazioni di sanificazione, con dispositivi che stanno “marcendo” dentro alle sale. Come abbiamo scritto tempo fa, il problema potrebbe essere legato alle code all’ingresso o al botteghino. La prenotazione obbligatoria degli spettacoli potrebbe essere una soluzione, magari con un sistema elettronico che garantisce l’arrivo scaglionato nella struttura.
Definita l’indennità di discontinuità per i lavoratori dello spettacolo, nell’ambito del disegno di legge, depositato in Senato e alla Camera per lo “Statuto sociale dei lavori nel settore creativo, dello spettacolo e delle arti performative” che protegge con un reddito di discontinuità i lavoratori intermittenti dell’industria culturale.
Ne dà notiziail Sole 24 ore che fa riferimento a un testo portato avanti da Francesco Verducci vicepresidente della Commissione Cultura a Palazzo Madama, ed dal deputato dem Matteo Orfini. Con questa proposta si cerca di riportare al centro del dibattito politico e dell’agenda del paese il settore dello spettacolo a lungo trascurato. Qui il nostro articolo.