Netflix The Gift: i misteri del sito archeologico di Göbekli Tepe
“Il curdo solitario, in quel giorno estivo del 1994, aveva compiuto la più grande scoperta archeologica degli ultimi 50 anni”
“The Gift” è la seconda serie di produzione originale turca a marchio Netflix. Il debutto risale al dicembre 2019 e dal 10 settembre 2020 è di nuovo on-line con la seconda stagione. Kelly Luegenbiehl, vice presidente delle produzioni originali internazionali di Netflix, come riportato da TvSerial, ha dichiarato:
“Crediamo che la nostra seconda serie turca originale con Beren Saat, trasporterà una nuova emozionante storia dalla Turchia al mondo. Il nostro viaggio è iniziato a Istanbul con The Protector e continua con la nostra nuova serie che introduce il patrimonio naturale, culturale e storico dell’Anatolia da Gobekli tepe a Nemrut al nostro pubblico globale”.
“Per quanto interessante a livello di trama e sceneggiatura il vero merito di questo prodotto è appunto quello di aver acceso i riflettori su uno dei siti archeologici più antichi e misteriosi del pianeta: Gobekli Tepe. Sito incluso nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO, è situato a nordest dalla città di Şanlıurfa nell’odierna Turchia, al confine con la Siria. Di fatto il più antico luogo di culto mai scoperto, datato tra l’11.500 e l’8000 a.C, è costituito da un santuario monumentale megalitico, contenente dei cerchi concentrici all’interno dei quali sono incastrati degli stani megaliti a forma di T, alti tra i 3 e i 6 metri. Su questi enormi massi abbondano le più disparate raffigurazioni di animali e di molti uomini che sembrano runiti in assemblea”
“Circa 12.000 anni fa quindi, un gruppo di cacciatori e raccoglitori dell’età della pietra ha costruito prima della ruota, prima della scrittura, prima della ceramica, un gigantesco santuario composto da blocchi megalitici del peso di 40 tonnellate l’uno. Per gli studiosi il sito rappresenta un punto di svolta della storia umana: sarebbe questo il luogo in cui l’uomo scelse di diventare stanziale, di riunirsi in comunità, di trasformarsi da cacciatore in agricoltore. La storia della scoperta è già di per sé un’avventura fantastica”.
Sul resoconto di Tom Cox nel Daily Mail si legge: “Per il vecchio pastore curdo era solo un altro giorno caldo che bruciava, nella pianura orientale della Turchia. Al seguito del suo gregge verso le aride colline, superò l’albero isolato di gelso, che la gente del posto considerava come ‘sacro’. Le campane delle pecore tintinnavano nel silenzio. Poi notò qualcosa. Accovacciato, spazzolò via la polvere e scoprì una strana, grande, pietra oblunga. L’uomo guardava a sinistra e a destra: c’erano altre pietre rettangolari, piantate nella sabbia. Decise d’informare qualcuno al villaggio, forse le pietre erano importanti.”
Fu un pastore qualunque, dunque, a restituire all’umanità la più preziosa scoperta archeologica degli ultimi decenni.
Ian Hodder, del programma archeologico della Stanford University, ha detto a proposito del sito: “Molte persone pensano che questo possa cambiare tutto. Cambia completamente le carte in tavola. Tutte le nostre teorie erano sbagliate. Le teorie sulla “rivoluzione del Neolitico” hanno sempre sostenuto che tra 10 e 12 mila anni fa agricoltori ed allevatori hanno iniziato a creare villaggi, città, lavori specializzati, scrittura e tutto ciò che sappiamo delle antiche civiltà. Ma uno dei punti salienti delle vecchie teorie è che sia nata prima la città e solo dopo i luoghi di culto. Ora, invece, sembra che la religione sia apparsa prima della vita civilizzata ed organizzata in centri urbani; anzi, che sia quasi stata il motore primario per la creazione della prima città“.
Gli archeologi Gil Haklay e Avi Gopher dell’Università di Tel Aviv hanno pubblicato qualche tempo fa un nuovo rapporto su Göbekli Tepe: “le scoperte più recenti suggeriscono che i cacciatori-raccoglitori neolitici che costruirono enormi monoliti 11.500 anni fa avevano una maggiore conoscenza della geometria, una struttura sociale molto più complessa di quanto si pensasse in precedenza e che venivano utilizzate tecniche di pianificazione complesse che in precedenza erano considerate impossibili all’epoca”.
Il punto è, perché questi uomini decisero di costruire questo santuario così complesso in un tempo così remoto? Perché poi alla fine della sua vita, intorno all’8000 a.C. lo ricoprirono volontariamente?
Sempre secondo Tom Cox : Klaus Schmidt, arecheologo e direttore scientifico della missione, disse che, a suo parere, questo posto era il sito del biblico giardino di Eden. Più in particolare: “Gobekli Tepe è un tempio dell’Eden“. Pare infatti che circa 10000 anni fa, il deserto curdo era un ‘luogo paradisiaco’, come dice Schmidt. Quindi, che cosa ha distrutto l’ambiente? La risposta è: l’uomo. Più precisamente l’agricoltura, con le sue implicazioni di disboscamento, deviazioni dei corsi d’acqua e impoverimento del terreno.
“Quando abbiamo iniziato l’agricoltura, abbiamo cambiato il paesaggio e il clima e così Adamo, il cacciatore e raccoglitore, ha dovuto abbandonare il suo paradiso”.
Anche le fonti antiche collocherebbero proprio in questa parte di Anatolia abitata dai curdi, l’ubicazione del paradiso sulla terra: il Libro della Genesi indica che l’Eden è a ovest dell’Assiria, in antichi testi assiri, si parla di un ‘Beth Eden’ cioè una casa di Eden, un piccolo regno nei pressi di Gobekli Tepe.
Ma davvero era questo il luogo che i nostri antenati consideravano il “paradiso terrestre”?
Il deterioramento di questo luogo causò ai suoi antichi abitanti uno stress evidentissimo sia dai dati antropologici che dai ritrovamenti archeologici della regione. Parlano chiaro le evidenze di sacrifici umani del sito neolitico di Cayonu, gli dei avevano cacciato gli uomini dal loro giardino, bisognava placarli. Così per lo stesso motivo Gobekli Tepe fu sepolto, una sorta di penitenza: un sacrificio all’ira divina che aveva gettato via dal paradiso i cacciatori.
Non finisce qui. Un’altra scoperta fatta nel sito è decisamente interessante e assai più inquietante. Furono infatti rinvenuti una serie di bassorilievi, tra cui uno in particolare detto “stele degli avvoltoi” che parebbe rappresentare uno sciame di comete che si sarebbe abbattuto sulla terra in quel periodo. La fine del mondo ci sarebbe dunque già stata e avrebbe cancellato dal pianeta una civiltà superiore responsabile anche della costruzione delle gigantesche strutture di Gobekli Tepe.
Graham Hancock, da Edimburgo, ha scritto molti libri su questo tema e nell’ultimo, «Maghi degli dei: la saggezza dimenticata delle civiltà perdute», ha sostenuto proprio la tesi che intorno al 12.000 a.C. l’impatto di una cometa abbia posto fine a una società molto evoluta, che ha lasciato tracce di sé nella perfezione delle piramidi di Giza e in altri inspiegabili monumenti ciclopici sparsi per il pianeta.
Eden? Prova della fine del mondo? Oltre le speculazioni la ricerca archeologica continua ininterrotta nel sito che da pochissimo tempo è anche aperto al pubblico e visitabile. Sarà presto la scienza a svelarci i misteri ancora celati sotto la terra della valle di Harran.