Netflix Italia sembra la Rai, ed è un male tragicomico
L’ultima mostruosità targata Netflix Italia, che porta il nome di “Sotto il sole di Riccione“, è solo uno dei tanti (ahimè) campanelli d’allarme su come il colosso dello streaming abbia deciso di investire nel nostro paese. Ciò merita una doppia riflessione: la prima è relativa il modo di vedere – da parte di Netflix – il nostro approccio alla tv, mentre la seconda riguarda il perché preferisca non rischiare troppo in favore di un’appagante “italianità” molto spesso in linea con la fiction RAI o con i cine-panettoni di Vanziniana memoria.
Perché Netflix in Germania crea una serie avveniristica sui viaggi nel tempo – anche se, strutturalmente parlando, molto confusa – come Dark, e da noi, invece, partorisce “Baby” o “Summertime” che nel loro tentativo di essere “Élite” si perdono in una sterile parodia de “I Liceali“? Perché in Spagna abbiamo il caso mondiale de “La Casa de Papel” e da noi un “Suburra” che non ha praticamente nulla del film madre, perdendosi troppo in pseudo imitazioni di “Gomorra” e “Romanzo Criminale“?
La Spagna fa la versione iberica di “Sex and the City” con “Valeria“, il Belgio punta sul genere sci-fi catastrofico con “Into The Night” , Netflix GB ha da anni in produzione la serie antologica sulla regina Elisabetta “The Crown“, ha recuperato “Black Mirror” tra alti e bassi, cerca di innovare nel versante teen con “Sex Education“, e noi cosa abbiamo se non il tentativo maldestro di scimmiottare “Les Revenants” nella sua opaca versione altoatesina con “Curon“? Per non parlare, poi, della disastrosa “Luna Nera“…
Spostandoci sul versante film non va meglio, anzi, potremmo affermare tranquillamente che al peggio non c’è mai fine. Purtroppo “Sulla mia pelle” è un unicum rispetto a produzioni disastrose come “Lo Spietato“, “Rimetti a noi i nostri debiti” o la già citata Gerry Cala’ new generation “Sotto il Sole di Riccione“. Non riusciamo a smuoverci da stereotipi e modelli che la nostra tv e il nostro cinema hanno avuto per anni. E continuiamo ad avere. Netlix preferisce osare in Germania o in paesi audiovisivamente più vicini a noi come la Spagna, piuttosto che dare carta bianca a uno sceneggiatore italiano con produzione italiana.
La scelta dell’ormai ex direttrice di RAI Fiction, Eleonora Andreatta, di approdare alla prima sede italiana (a Roma, ndr) di Netflix come vice presidente delle serie originali italiane, risponde in gran parte alle sopra citate riflessioni e domande. Il colosso dello streaming mira già da anni a prendere l’usato sicuro del grande pubblico delle famiglie di Rai Uno, nell’ottica della sua mutazione fortemente generalista e mainstream degli ultimi anni, al fine di creare un prodotto che possa essere di qualità e apparentemente distanziarsi dal termine “fiction”, rimanendo comunque dentro l’italianita’ rassicurante di mamma RAI.
È come se volesse fare “L’Amica Geniale” non riuscendo però a slegarsi dall’impianto fiction di Lele Martini e Don Matteo. Perché se infatti è intuibile la strategia di Netflix nel riprendere dinamiche teen con un linguaggio fortemente giovanile (a volte miscuglio di suoi cult dal respiro internazionale per apparire ostinatamente contemporanea), è palese però come si cerchi di arrivare a un linguaggio universale con scritture frettolose e, peggio ancora, mediante una recitazione scadente, non facendo niente per distaccarsi dal tipico melodramma tanto caro al modello fiction Rai.
La strategia produttiva nel nostro paese, quindi, è in gran parte colpa della cultura dello “sceneggiato famigliare“, ormai radicato negli anni dalla tv pubblica, grazie al quale si è purtroppo operata una differenziazione terminologica ma sopratutto contenutistica tra “serie” e “fiction”. Dando però attuazione a una sorta di HBO europea fuori dai nostri confini, e facendoci morire di Rai Fiction e di “Sotto il sole di Riccione”.
Articolo a cura di “Donny Brown”