Nel cuore della Tuscia: il Parco dei Mostri di Bomarzo
“Voi che pel mondo gite errando, vaghi di veder meraviglie alte et stupende, venite qua, dove son faccie horrende, elefanti, leoni, orsi, orchi e draghi”.
È con queste parole che il principe Pierfrancesco II Orsini, detto Vicino, signore di quelle terre dal 1523 al 1585, confonde e ammonisce i visitatori del “Sacro Bosco” di Bomarzo. Quello che sorge sulle alture della Tuscia, alle pendici di un vero e proprio anfiteatro naturale, prende il nome di “Parco dei Mostri” proprio in virtù di quelle particolarità che lo rendono un luogo magico, ricco di mistero, fascino e storia ma unico nel suo genere.
All’interno del complesso, sito in un’ampia e fitta zona boschiva, trovano dimora sculture fantastiche e grottesche, talvolta inquietanti. Figure mitologiche, animali fantastici e mostri dall’aspetto minaccioso si alternano a costruzioni edili che, ignorando volutamente le regole prospettiche ed euritmiche, si fondono con l’ambiente circostante.
Il percorso diventa così un viaggio nel mistero. L’itinerario da seguire non è frutto della casualità e conserva sempre una ben delineata logica simbolica ed esoterica.
Frotte di storici e studiosi hanno dibattuto sull’origine di questa simbologia, e il viatico fiabesco attraverso quelle rocce che prendono la forma di terribili creature, riporta a tematiche ben radicate nella letteratura cavalleresca. Non è un caso che il Parco dei Mostri sia noto anche come “Sacro Bosco”. Col termine Sacro, nei poemi cavallereschi si andava proprio a indicare quegli aspetti magici e stregati che spesso e volentieri guidavano i cavalieri nel loro percorso verso la luce e la salvezza.
Stesse tematiche che ritroviamo in poemi come l’Orlando furioso dell’Ariosto o Il Canzoniere di Petrarca. Si pensi anche, per arrivare ai tempi più moderni, alla stessa nobiltà d’animo e alle difficoltà che il cavaliere deve superare, ponendosi di fronte al proprio “Io”, ne La storia infinita di Michael Ende.
Ecco quindi che a guardia del cammino troviamo le Sfingi. Donne dal corpo di leone che richiamano più genuinamente lo stile egizio e dedicate all’Imperatore Augusto. “Chi con cigli inarcate et labbra strette non va per questo loco, manco ammira le famose del mondo moli sette” recita quella di sinistra. “Tu ch’entri qua pon mente parte a parte e dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte” è quanto si legge nell’iscrizione sulla destra.
È l’inizio del viaggio che ci porta al cospetto delle Erme (statue che invocavano la protezione del Dio greco Ermes), quindi ad incontrare il primo vero mostro del parco: Proteo (noto anche come Glauco). Il dio marino mutaforma simboleggia il mondo, e i simboli araldici degli Orsini indicano il dominio della casata sullo stesso. Assistendo alla lotta tra i due giganti Ercole e Caco, si incrocia, tra le altre, una delle più celebri statue del Parco dei Mostri.
LA TARTARUGA
La grossa tartaruga si adagia su una pietra a forma di prua, fissando le fauci di una balena antistante, pronta a inghiottire la preda. Sul suo guscio si erge il simulacro di una donna rappresentante la Vittoria Alata. Se l’animale simboleggia la longevità ed è l’unione tra cielo e terra, la Nike è l’apice di questa allegoria.
CASA PENDENTE
Oltrepassati il Pegaso , Ninfeo, Venere e il Teatro, si arriva ai piedi della casa pendente, una delle maggiori attrattive del complesso. La bizzarra costruzione è eretta su di un masso inclinato, proprio a cercare l’asimmetria. L’intenzione degli Orsini era quella di creare un senso di smarrimento e vertigine negli ospiti. Il richiamo è all’inclinazione dell’uomo verso il peccato, in assenza della fede che tende a riequilibrare gli ordini.
ORCO
È quindi passato il Nettuno e le restanti raffigurazioni che ammiriamo la più rappresentativa delle statue di Bomarzo. La bocca di Ade? Forse. L’ingresso del mondo sotterraneo? Può darsi. Certo è che trovarsi al cospetto della grande testa dalla bocca spalancata può essere un’esperienza orrorifica. “Ogni pensiero vola”. È la poetica dantesca che appare sulle labbra della scultura e che fa da anticamera all’impotenza del visitatore davanti al destino. Studiosi dell’epoca riportano che, in origine, la scritta riportasse il verso: “lasciate ogni speranza o voi che entrate”.
Ma come nasce il Parco di Bomarzo? Il complesso fu ideato dallo stesso principe Orsini nel 1522 e dedicato alla memoria della moglie, Giulia Farnese, morta prematuramente. Commissionato all’architetto Pirro Ligorio e realizzato nel 1547, il parco è disseminato di terribili statue che guidano il visitatore attraverso un autentico labirinto, catapultandolo in un viaggio spirituale volto ad incontrare e superare le proprie paure, per elevarsi a un livello superiore.
Dalla morte dell’Orsini, avvenuta nel 1585, il parco è rimasto sopito fino alla metà del novecento, periodo in cui, grazie all’intervento di intellettuali quali Goethe, Dalì e Michelangelo Antonioni, ha trovato nuova cura e splendore.
Raggiungere Bomarzo è piuttosto semplice. Il parco è ovviamente situato nelle immediate prossimità dell’omonimo borgo in provincia di Viterbo e, proseguendo lungo l’Autostrada del Sole A1, è consigliato prendere le uscite per Orte (provenendo da sud) o Attigliano (per chi arriva da nord).
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