Musica e neuroscienze: ecco perché le canzoni pop piacciono di più
“Se si intende per Neuroestetica una disciplina che studia i rapporti tra arte e cervello, e in particolare quali sono le basi neurobiologiche della produzione e fruizione dell’arte stessa, sicuramente la musica rappresenta un campo di azione e di studio interessantissimo. La prima cosa da dire è che noi siamo ‘animali musicali’ in grado di fare delle operazioni musicali molto complesse, perché abbiamo capacità innate di capire la musica. Questo ci viene da un lato da un bagaglio naturale, perché noi abbiamo delle strutture cerebrali in grado di capire le sintassi musicale, dall’altro c’è la cultura, cioè noi siamo arricchiti ogni giorno da una esperienza di ascolto, che inizia nel grembo materno, che ci permette di creare nella nostra testa una discoteca di brani musicali”.
Così il dottor Enrico Grassi, neurologo presso l’Unità Operativa di Neurologia dell’ospedale di Prato, nel corso di una intervistata rilasciata alla Dire in occasione del 62esimo Congresso Nazionale della SNO (Scienze Neurologiche Ospedaliere), in programma a Firenze fino a domani.
Ma perché ci piace la musica? “Perché ci dà una reazione edonica, di piacere– ha risposto l’esperto- noi, attraverso un brano musicale, abbiamo una risposta neurochimica con la produzione di dopamina che va a irrorare il circuito del piacere (‘reward’), un circuito antichissimo che si attiva non solo per la musica, ma anche per esempio davanti ad un magnifico dipinto, a seguito di una relazione sessuale, di un pasto che ci soddisfa particolarmente, per una vincita economica o per l’assunzione di droghe”.
Andando più nel dettaglio, ci si può chiedere perché una musica ci piaccia e un’altra no: “Fondamentalmente c’è un sottile e complesso equilibrio tra novità e tradizione. Mi spiego meglio: ogni volta che ascoltiamo una musica ci creiamo un patter interpretativo– ha spiegato il dottor Grassi- è il nostro cervello che lega le note che sono isolate come onde sonore nello spazio. Cerchiamo quindi sempre di predire quale sarà la nota successiva a quella che ho appena ascoltato”.
Quindi se i patter interpretarvi “sono troppi semplici, cioè se noi indoviniamo sempre la nota che viene dopo, la musica ci apparirà sì comprensibile ma anche estremamente noiosa. Se invece i nostri patter interpretativi sono sempre disattesi, cioè se la nota che noi ascoltiamo è sempre diversa da quella che ci aspettiamo, diventerà molto difficile interpretare il brano. È quello che successe alla prima mondiale de’ ‘La sagra della primavera’ di Stravinskij- ha ricordato il neurologo- che si tramutò in una bagarre. Quindi è importante bilanciare attentamente e non infrangere troppo le aspettative ma almeno un po’ violarle, perché altrimenti il nostro cervello o si acquieta oppure si inalbera perché non riesce a dare un’interpretazione a quello che ascolta”.
C’è però ancora una nota importante da sottolineare: il nostro cervello impara a conoscere la musica, lo stesso brano di Stravinskij, che alla prima fu un “fiasco”, qualche decennio dopo finì nel film di animazione ‘Fantasia’ della Walt Disney. “Questo perché il cervello è plastico ed impara ad ascoltare musica che, ad un primo ascolto, non veniva capita”.
È questo, dunque, il motivo per cui la musica ‘pop’ piace di più? “Sì, non tutta però: ci sono fondamentalmente dei brani che piacciono più o meno, non c’è solo l’aspetto melodico ma anche l’aspetto del ‘groove’, cioè il piacere di muoversi a tempo con la musica. Questo è evidente soprattutto nella musica in cui la componente ritmica è prevalente: qui deve esserci un bilanciamento tra il grado in cui una musica è sincopata e la predittibilità con cui posso muovermi. È chiaro: tanto più il ritmo è sincopato, tanto più sarà difficile muovermi a tempo e predire i movimenti che dovrò fare. Anche qui di nuovo si crea un equilibrio tra le due componenti- ha concluso infine il dottor Grassi- che rende una musica più fruibile e interpretabile”.