Miguel de Cervantes, il soldato oltre lo scrittore
Miguel de Cervantes Saavedra, alla nascita Miguel de Cervantes Cortinas, è noto soprattutto per il romanzo cavalleresco “Don Chisciotte della Mancia”. Ma non fu solo il grande scrittore del “Cavalier senza paura di una solitaria guerra”, come viene cantato da Guccini e Juan Carlo Biondini.
Fu un giovane impulsivo, pronto a difendere il suo onore e il suo lavoro. Come nel caso del duello con Antonio de Segura che gli costò un auto esilio forzato. Costui sembra dileggiasse i suoi lavori poetici. Il poco più che 20enne Miguel sfidò il rivale dietro l’Alcàzar. Ebbe la meglio, lasciandolo sul selciato con il ventre aperto.
La vittoria pulì l’onta personale. Ma i tribunali lo condannarono al taglio della mano destra. Cervantes fuggì a Roma, dove rischiò di farsi prete, e poi a Napoli. Sotto il Vesuvio si arruolò come soldato semplice nei Tercios Viejos, sperando che ciò gli bastasse per farsi cancellare la condanna. Questi militari erano archibugieri, moschettieri e picchieri. Non erano mercenari. Erano soldati uniti da una stessa religione ed etica riconducibile alla difesa della loro patria e famiglia.
Era il 1569, l’Italia era da poco uscita (con la pace di Cateau-Cambrésis nel 1559) da quelle che passarono alla storia proprio come “Guerre d’Italia” per gran parte del XVI secolo, e il giovane Miguel de Cervantes era di stanza nei Cuarteles Españoles di Napoli. Il suo aspetto curato e fine faceva a cazzotti con quello del resto delle truppe. Sia in senso letterale che figurato. Perché il suo carattere era avulso all’accettare prese in giro e angherie dei rozzi compagni. Per questo più di una volta si ritrovò al centro di risse.
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Era arrivato lì dopo un breve soggiorno a Roma, dove rischiò di prendere gli ordini ecclesiastici. Ma per amore di una taverniera veneziana conosciuta a Trastevere decise di non seguire la presunta vocazione. Nella città in cui giunse il corpo esanime della sirena Partenope, l’autore del Don Chisciotte cominciò a scrivere versi sparsi e a improntare un romanzo cavalleresco su un personaggio che, leggendo di continuo proprio libri di questo genere, uscì fuori dalla ragione. Era il suo modo di prendersi gioco del mondo che disprezzava. La nobiltà spagnola, in particolare quella castigliana.
La sua vita napoletana continuò a scorrere tra una serata nelle taverne e una scazzottata con i rozzi camerati d’armi. Finché nel 1571, dopo la difficoltosa gestazione della Lega Santa, non arrivò il momento di affrontare i Turchi. La famosa battaglia di Lepanto.
“Oh benedetti quei secoli nei quali non si conosceva la furia spaventevole degli infernali strumenti di artiglieria, l’inventore dei quali io reputo che ora trovi nell’Inferno il premio della sua diabolica invenzione; per la quale fe’ sì che un infame e codardo braccio dia morte ad un valoroso cavaliere!”. Così nel “Don Chisciotte della Mancia” Miguel de Cervantes descrisse le novità della guerra moderna. La polvere da sparo stava man mano sostituendo lo scontro corpo a corpo, una buona dose di coraggio di affrontare il nemico faccia a faccia.
Lo scrittore-soldato dimostrò tutto il suo valore sulla Real di don Juan de Austria e Marcantonio Colonna, alla quale venne in soccorso dalla Marquesa di Diego de Urbina. Lo scontro con la Sultana comandata da Muezzinzade Alì fu mitico. Nonostante il furore dei giannizzeri il Pascià cadde con una palla in fronte. La sua morte diede più vigore all’attacco europeo.
Ma fu sulla Marquesa, mentre si trovava sul cassero con la toledana in pugno per respingere l’assalto turco, che il destino gli si fece avverso. Se in Spagna rischiò di vedersi tagliare la mano destra per un duello vinto, qui mentre duellava con il nemico di una vita, un proiettile gli distrusse la mano sinistra. Un altro invece andò a finire sul fianco, fortunatamente senza finire nei polmoni.
Fortuna volle che il valoroso poeta usasse la mano destra per scrivere, permettendogli di lasciare ai posteri i suoi scritti. Operato a Messina tornò per un breve periodo a Napoli, dove sembra che si intrattenne con donne e continuando nelle scorribande notturne per difendere il suo onore. Decise di imbarcarsi prima possibile per la Spagna. Fu insignito del grado di Alférez e si imbarcò nel 1575 sulla galea El Sol. Durante il viaggio, però, la sua imbarcazione fu fatta prigioniera dai corsari turchi guidati da Dali Mami, l’albanese che con Uccialì aveva inferto le maggiori perdite alla Lega Santa.
Divenne schiavo e portato ad Algeri. Durante la prigionia gli venne l’idea di scrivere la tragedia “El cerco de Numancia”, ispirato alla vicenda degli abitanti Numantini che cercarono di resistere ai romani guidati da Scipione Emiliano. L’idea di libertà, anche a costo della morte, di quel popolo spagnolo fu per Cervantes sempre motivo di ispirazione.
In 5 anni di prigione ad Algeri, Miguel tentò più di una volta la fuga, finché nel settembre del 1580 i frati Trinitari di Algeri consegnarono il riscatto per la sua liberazione. Aveva 33 e portava con sé la brutta copia del “Los tratos de Argel”, dove descriveva la dignità di alcuni prigionieri nonostante le angherie subite dai carcerieri. Tra riferimenti a Dante e struttura narrativa in stile aristotelico, l’opera non ebbe mai il successo che l’autore sperava. Forse, per l’epoca, fu troppo incentrata sull’analisi psicologica dei personaggi.
Sbarcato in Andalusia, nel porto di Denìa, due giorni dopo, si diresse a Madrid, nutrendo ben poche speranze dopo essere venuto a conoscenza della morte del suo “protettore” don Juan de Austria. Ritrovò la sua famiglia, ormai povera e ridotto allo stremo.
Continuò a sopravvivere scrivendo commedie. Ebbe numerose relazioni da cui nacque anche la figlia Isabel. Ma il suo istinto lo portò ad abbandonare la sua nuova moglie e tutta la sua famiglia. Partì alla volta di Siviglia dove divenne esattore e pubblicò il poema pastorale “La Galatea”. La fortuna però non gli andò incontro. Ma il lavoro affidatogli non lo faceva stare in pace con se stesso. Riscuotere le tasse, per gonfiare le tasche del Governo che voleva rifornire la famosa Invencible Armada nel prossimo conflitto con gli inglesi, non faceva per lui. Interpretando a modo suo le sacre scritture, si ritrovò a requisire i beni di preti e vescovi. Il risultato fu quello di ottenere ben due scomuniche.
L’apice lo raggiunse quando fu arrestato per 7 mesi con l’accusa di aver sviato importanti somme dalle imposte. Accusa infondata e voluta al clero. In questo periodo nacque l’idea del “El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha”. L’opera non gli diede benessere in vita. Scarcerato decise di partire per Valladolid dove ritrovò la moglie Catalina e la figlia Isabel, ma la sua esistenza tormentata non era finita. Nel 1605 rimase ferito in duello, dietro casa, il cavaliere dell’Ordine di Santiago, tale Gaspar de Ezpeleta. Miguel de Cervantes lo soccorse, ma il moribondo morì due giorni dopo senza rivelare chi lo avesse colpito. Fu incolpato, inizialmente, proprio lo scrittore. Nonostante fosse stata accertata la sua innocenza la sua reputazione era ormai caduta in basso.
Tornò a Madrid, nel quartiere delle Muse, zona rinomata per la residenza di molti scrittori in voga all’epoca. Morì nel 1616 lasciando dietro di sé un alone di mistero. Si pensa infatti che il suo corpo si spense lo stesso giorno di William Shakespeare. In realtà non fu così. In Spagna era in uso il calendario gregoriano, in Inghilterra quello giuliano. Quindi morirono a distanza di una decina di giorni.
Quel che è certo è che Miguel de Cervantes nacque il 29 settembre del 1547, il giorno di San Michele Arcangelo (in spagnolo Miguel). Colui che sconfisse l’angelo più bello, Lucifero. Michele è arcangelo sia per gli ebrei che per i cristiani ma anche per i musulmani. Per quest’ultimi, aguzzini del nostro Miguel, l’arcangelo sarebbe stato inviato da Allah per istruire Maometto dettandogli il Corano. Il destino, sin da subito, decise di giocare con il creatore dell’hidalgo più famoso del mondo.