L’altro Messico: il 17 novembre 1983 nasce l’EZLN
A 37 anni da quando il Messico emarginato ha provato ad alzare la testa
Il 17 novembre del 1983 sulle montagne del Chiapas, in Messico, venne fondato l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
L’Ezln dunque, la cui bandiera nera ha al centro una stella rossa e il cui motto recita ancora oggi “Para todos todo, nada para nosotros”. Per tutti tutto, nulla per noi.
Anarchici, anticapitalisti, indigenisti, anarco-comunisti, rivoluzionari. Sono molte le categorie a cui questo movimento messicano è stato associato. La definizione che però preferiscono, stando alle parole del subcomandante Marcos nella conversazione con il giornalista Ignacio Ramonet, è quella di ribelli che rivendicano dei cambiamenti sociali. Perché “un rivoluzionario vuole sempre trasformare le cose cominciando dall’alto, mentre il ribelle sociale le vuole cambiare dal basso”.
Il subcomandante, perché “il vero comandante è il popolo”, è stato la guida dell’EZLN fino al 2014, anno in cui ha deciso di togliersi idealmente il passamontagna che, insieme alla pipa, ha sempre caratterizzato l’immagine nelle sue uscite pubbliche.
Il passamontagna simbolo di protesta, di ricongiunzione per tutti gli anonimi, in particolare gli indigeni messicani, che non hanno che i loro atti, la loro morte, per farsi sentire.
Il suo volto coperto fu il suo modo per far vedere gli invisibili, per far riscoprire i loro sogni. Un gesto di protesta, dunque, volto a far togliere al governo la propria maschera.
La storia di questo movimento, delle sue ragioni, è la storia dei settori più emarginati del Messico indigeno, dei più rassegnati. In basso guarda e dal basso parte. “L’altro Messico” per usare le parole di Marcos per indicare i circa 15 milioni di discendenti dei Maya e Aztechi che ancora oggi vivono ai margini della società e delle città.
L’EZLN verrebbe da dire che sia sempre esistito. E’ il popolo. Sorto da questo ai suoi valori sottostà.
Nato dalla polvere del Messico, prendendo in prestito il titolo del capolavoro di Pino Cacucci.
Guidato per più di 30 anni da Marcos, la cui identità è avvolta dal mistero sebbene le autorità lo identifichino in Rafael Sebastian Guillen Vicente, ex ricercatore di filosofia dell’Università di Città del Messico, questo movimento nasce ispirandosi soprattutto al celebre rivoluzionario Emilio Zapata.
Ripercorrendone nel 2000 lo stesso itinerario percorso il 6 dicembre 1914 durante la Rivoluzione Messicana, il subcomandante condusse l’EZLN a Città del Messico a nome di milioni di indios.
“Eccoci! Siamo la dignità ribelle, il cuore dimenticato dalla patria”. Con questa celebre frase nella piazza Zocalo infiammò i cuori delle centinaia di migliaia di sostenitori lì presenti.
Il suddetto movimento promuoveva, e tutt’ora promuove, l’integrazione e non l’indipendenza, la volontà di essere indios messicani. Ha una chiara visione politica del mondo, sicuramente antiglobalista, ma altrettanto riluttante a governare. Punta al riconoscimento di pari diritti per le etnie indigene messicane “senza perdere le identità né i suoi valori culturali e, soprattutto, senza perdere la ricchezza che nasce dallo scambio culturale”.
Lo zapatismo, sempre secondo Marcos, “non significa chiusura, e infatti non vuole assolutamente ricostruire le paratie stagne che separavano rigidamente i popoli gli uni dagli altri”.
L’ormai ex subcomandante è stato una figura pressoché unica, in un certo senso romantica. Ancorato a quel Messico che ormai rischia di scomparire relegato ai margini del tessuto sociale.
Come quegli abitanti del Jalisco che si autodefiniscono “charraderos, galleros e tequileros”. Un insieme di rodei, galli e tequila.
La tequila che da quelle parti ha una doppia vita. Da una parte quella destinata al mercato europeo e statunitense e che i messicani non si sognerebbero mai di bere. Dall’altra quella delle produzioni artigianali, molte volte indios, che, parafrasando Cacucci, conserva in sé immagini che mescolano futurismo al rococò, scene di baccanali con giunoniche vestali dai glutei floridi che danzano sfrenate in mezzo a fiumi di tequila.
Storie e leggende che nelle cantinas de Mexico puoi ascoltare a iosa. Lì dentro puoi trovare la vera alma de Mexico. Posti dove nessun messicano ti lascerà bere da solo purché tu sappia agarrar la onda. Più o meno saper cogliere la situazione dell’ambiente. Altrimenti rischieresti di finire con una bottiglia rotta in testa. Lì nelle cantinas sono da poco ammesse alcune donne, ma a loro detta “non ci sono poliziotti che meritino di bere al mio tavolo”.
La divisa legata al governo, negli strati più bassi della società messicana, non è ben vista. Sono ancora vive nella memoria le immagini delle repressioni di Atenco o Oaxaca, con bambini uccisi e donne violentate.
Di questi racconti ce ne sono tanti da ascoltare, tra un bicchiere di pulque piuttosto che di tequila. Uno degli alcolici più antichi, il pulque lega la sua storia alla leggenda dell’india olmeca Mayahuel che, per essere accolta fra gli dei, intagliò fino in profondità un’agava maguey estraendone un liquido zuccheroso, detto aguamiel, acqua di miele. Facendolo fermentare, suo marito ottenne una bevanda che regalava uno stato paradisiaco. Il pulque divenne così una bevanda di culto, usato da sacerdoti e il cui consumo è addirittura regolamentato dallo Stato.
Il Messico è colmo di queste storie. Come quella raccontata dal subcomandante Marcos riguardo le giunte di buon governo, i Caracoles (letteralmente conchiglie), nati dagli accordi di San Andreas con il Governo.
La conchiglia, secondo Marcos, era il simbolo di guerra, rappresentava la forza e lo scudo di un’antica guerriera indigena, e tramite la quale chiamava a raccolta altri guerrieri così da giungere alla vittoria.
Gli indigeni cominciarono così ad utilizzare questo oggetto per convocare le riunioni per far arrivare genti lontane per discutere da vera comunità.
Ed ora la conchiglia si è trasformata in simbolo di questo richiamo per gli indios. Per essere comunità e uniti verso chi li vuole emarginati dalla vita politica e sociale del Messico.
Dunque 37 anni fa nasceva l’EZLN, la dignità ribelle di un Messico sì leggendario ma che aspira a continuare a scrivere la sua storia.