Massini infiamma i giovani al Concertone: “Sono antiSfascista. Digos, identificateli tutti!” – [discorso integrale]
Quello del 2024 è stato un Concertone del Primo Maggio emblematico dell’era del politically correct, salvo per il discorso di Stefano Massini che ha così esortato la Digos: “Identificateli tutti!“, indicando il pubblico in fermento.
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Della prima edizione che ha visto il coinvolgimento della dirigenza Rai indicata dal governo (accanto ai tre sindacati confederali organizzatori Cgil, Cisl e Uil) si è detto che sembrava “più Sanremo, che il Primo Maggio“. Un effetto esplicitamente voluto dagli organizzatori che avevano dichiarato che non ci sarebbero stati monologhi ma che “la narrazione” sarebbe stata “affidata ai musicisti“.
Dopo la denuncia di Fedez contro le censure imposte dalla Rai nel 2021, l’attacco del fisico Rovelli al Ministro della Difesa nel 2022 e lo stop al discorso di Scurati in occasione del 25 aprile, si può affermare che al Concertone di quest’anno è filato tutto liscio. Un po’ troppo secondo chi ha visto nei brevissimi interventi dei cantanti un certo contegno e fin troppa correttezza e cautela.
Certamente apprezzati i Negramaro che affermano “Ricominciamo tutto dalla pace“, la bandiera della pace di Leo Gassmann, le parole di Dargen D’Amico, BigMama che esorta a non mollare, Noemi che parla di disparità o Ermal Meta di diritto all’istruzione. O ancora Achille Lauro che chiede di mettere via i telefoni e legge la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo con alle spalle la scritta “Libertà è partecipazione“.
Ma a infiammare veramente il Concertone è stato Stefano Massini, che ha spudoratamente dichiarato di aver dovuto firmare dichiarazioni di responsabilità per la Digos, prima di essere libero di parlare con sincerità ad un pubblico che, secondo lo scrittore e autore, andava identificato tutto. Perché i 50/60mila giovani – quasi tutti under 30 – presenti ieri al Circo Massimo hanno accolto con orgoglio e applausi l’unico artista che ha avuto il “coraggio” di parlare loro con cruda sincerità di morte sul lavoro, di antifascismo e di un sistema indifferente.
Un sistema che sembra sempre più dimenticare e sottovalutare quella generazione che rischia la vita durante le ore di alternanza scuola-lavoro (o Pcto, come vogliasi chiamarla), che si ritrova faccia a faccia con la polizia antisommossa nelle università, per cui dichiarare di essere antifascista non è più un’ovvietà ma una presa di posizione. Una generazione a cui non viene concessa abbastanza fiducia per diventare qualcuno nel mondo del lavoro, che rischia di morire prima di accedere alla pensione.
C’è tutto questo nella forte reazione del pubblico del Concertone che risponde più che positivamente al discorso di Stefano Massini, sul palco con Paolo Jannacci per cantare la sotria di un giovane papà morto sul posto di lavoro – brano presentato al Festival di Sanremo 2024.
Nelle parole di Massini, prima dell’esibizione, è ben riconoscibile il riferimento all’episodio avvenuto lo scorso dicembre alla Prima della Scala di Milano, quando uno spettatore fu identificato per aver gridato “Viva l’Italia antifascista“. Ma anche un rimando al più attuale caso Scurati in Rai.
Il video del discorso integrale non è presente su Raiplay, mentre su Youtube o sui social compaiono solo alcuni spezzoni. Abbiamo trovato l’intero discorso su Tik Tok: di seguito riportiamo la trascrizione e il video.
Il discorso integrale
“Ciao a tutti. Allora, a guardarvi mi si ferma il respiro, perché mi hanno detto che siete 50/60mila e ho pensato che oltre a essere bellissimi da guardare, siete anche terribili da guardare. Perché, se vi guardate intorno siete esattamente quanti sono gli italiani che negli ultimi 50 anni sono morti mentre andavano a lavorare: 50/60mila, una media di 1000 l’anno. E per un Paese che “è una Repubblica fondata sul lavoro”, ogni persona che muore sul lavoro è una catastrofe, è una carneficina, è un massacro.
E anche se siamo dei vili ipocriti, quando ci scandalizziamo del fatto che gli operai muoiono tutti insieme in una sola volta, dovremmo scandalizzarci per la morte di ognuno. Io ribadisco e lo voglio dire stasera forte e chiaro: ogni volta che qualcuno muore sul lavoro è una catastrofe, è una strage, è un massacro, è uno sfascio.
Sì, io sono contro questo massacro, sono contro questa carneficina, sono contro questo sfascio. Sono anti-sfascista. Si può dire antisfascista? C’è una S! C’è una S! Non ho detto antifascista, ho detto antisfascista. Perché oggi in Italia se dici che sei antifascista, ti identifica la Digos. Allora, se mi permettete, scusatemi ma siccome mi hanno fatto firmare un sacco di fogli dicendo che mi prendevo la responsabilità, vorrei dire alla Digos: identificateli tutti! Tutti!
A Subiana sono morti nel fuoco dentro l’acqua: perché le morti sul lavoro sono contro le leggi della fisica. Non solo contro le leggi della fisica, sono anche contro le leggi della biologia perché ti dicono che nella vita muori una volta sola, invece non è vero. Chi muore sul posto di lavoro, muore due volte: la prima volta muore quando viene stritolato, carbonizzato, bruciato, intossicato; la seconda che muori, muori ogni volta che ti dicono che la colpa è la tua, che sei morto per un incidente, che sei morto senza responsabilità di nessuno. Si dice che chi muore, muore una volta sola, ma chi muore sul lavoro muore due volte, anzi muore tre volte: la prima volta è quando muore, la seconda è quando dicono che era colpa tua, la terza volta è quando non gliene frega un caz*o a nessuno e ti fanno magari un trafiletto sul giornale.
Vi voglio dire che di quei due che sono morti nelle ultime ventiquattr’ore… Uno in provincia di Bari, a Gioia del Colle, l’altro vicino Treviso: a 69 anni gli si è ribaltata la macchina su cui lavorava, una gru. Che poi soltanto Dio saprà dirmi come mai in Italia a 69 anni tu debba stare a manovrare una gru, invece che stare in pensione, ma questa è un’altra storia!
In Italia si può morire sul lavoro due, tre, quattro volte: la quarta volta è quando ti rendi conto che sei morto invano, perché lì per lì c’è cordoglio, c’è sofferenza, ma poi della tua morte non gliene importa niente a nessuno e continueranno a morire. E da uomo diventi fotografia.
Come quell’operaio di cui vedete la fotografia, qua, che sta con suo figlio. Aveva due mesi, questo bambino, si chiamava Michele, quando l’operaio è morto, bruciato vivo come in un lampo. E da quel momento quest’uomo ha guardato suo figlio Michele soltanto da dentro una fotografia.”
Per il video del discorso, clicca qui.