Marco Bonini, un artista a tutto tondo: “Le storie che racconto sono come figli, impossibile preferirne una”
Attore, sceneggiatore, produttore cinematografico e anche scrittore. Classe 1972, Marco Bonini è in tutte le librerie con il suo primo romanzo “Se ami qualcuno dillo”, edito Longanesi, che narra una storia familiare di crescita e redenzione che vede come protagonisti Marco e suo padre Sergio, in un percorso di trasformazione emotiva a tratti anche divertente.
L’artista romano ha firmato con Edoardo Leo la sceneggiatura del pluripremiato “Noi e la Giulia”, vincitore di due David di Donatello, due Nastri d’Argento e del Globo D’Oro della stampa estera come migliore commedia dell’anno. È, inoltre, tra i protagonisti della fortunata trilogia di Sydney Sibilia, “Smetto quando voglio”. Avremo, inoltre, modo di vederlo in questi mesi nei maggiori teatri italiani con lo spettacolo “Mr Dago Show”.
“Se ami qualcuno dillo” è il tuo primo romanzo. Come nasce l’idea del libro?
Parte da un evento accaduto a mio padre, cioè l’infarto, e da come ne sia scaturita una rinascita. Lì ho capito che quella storia aveva un potenziale simbolico molto importante. Essendoci una storia ed essendoci dei personaggi importanti era automatico che con il lavoro che faccio decidessi di renderla pubblica. L’elemento autobiografico è irrilevante, la storia è di interesse pubblico e riguarda la liberazione emotiva maschile, dalla prigione del maschilismo e del patriarcato. Si tratta di una questione importantissima perchè la violenza sulle donne o il bullismo e tutta la questione della discriminazione di genere affonda le radici sull’identità di genere che è quella che ci passano i nostri genitori. E quando questa identità si modifica per un evento detonatore, allora c’è già una storia che va raccontata.
Pensi che il libro possa mutare in una sceneggiatura?
Al momento sto tentando di farlo diventare un film, ma ancora non ho certezza che ci riuscirò. Quello che ho in mente è un qualcosa leggermente diverso dal romanzo, ovviamente. Ma quando c’è una storia con rilevanza pubblica e ci sono personaggi importanti con una carica emotiva rilevante, è un delitto non raccontarla.
Puoi già dare un giudizio sull’accoglienza da parte del pubblico?
Sono rimasto sorpreso. Il feedback dai lettori e dalla critica mi ha fatto molto piacere. Solo giudizi esaltanti, quindi, e sono davvero contento perché ciò vuol dire che ho trovato anche la giusta direzione, unendo tra tutti gli ingredienti anche la comicità. Ho scritto un libro molto intimo ma che facesse anche ridere. A volte anche ridere e piangere contemporaneamente. Mi sembra di aver fatto centro.
Come si combina la comicità all’interno del romanzo?
La commedia malinconica, tragicommedia o commedia tragica – questi i diversi modi in cui la chiamo – è l’unico stile che mi interessa perché ha una radice storica. E’ una forma di pedigree della narrazione italiana. Basti pensare alla Divina Commedia, ad esempio, dove l’elemento comico è intrinseco nel titolo ma anche nella storia. Da Dante fino a Virzì si sono susseguiti epigoni della narrazione italiana che sono narratori di commedia. Dai premi Oscar ai premi Nobel.
La danza può essere considerata il tuo primo incontro artistico, come mai hai preso un’altra strada?
Perché non ero tanto bravo (ride ndr). La mia insegnante diceva che ero troppo alto per quanto poco bravo. Con la mia altezza sarei dovuto diventare un ètoile. Poi perché per me è importante raccontare delle storie. Che lo faccia in teatro, con la danza, in tv, al cinema o con un romanzo, l’importante è che io racconti storie. Mi sento un cantastorie.
Ed è anche quello che è successo il 25 novembre in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, giorno in cui è uscito il nuovo videoclip dei “Bube & Mazzacani della soffitta”, di cui hai fatto parte come protagonista e ballerino…
E’ un esempio di quello che dicevamo. Quel video racconta la storia della liberazione della donna e anche dell’uomo. E’ stato un momento molto importante perchè la danza è tematica, perchè fa parte anche di uno stereotipo maschilista. La danza è un modo di rompere uno stereotipo. Per me è stato davvero bellissimo tornare a ballare, erano 30 anni che non lo facevo. Mi piaceva l’idea di tornare sul palco e danzare. In quest’occasione l’ho fatto con una ballerina classica e per un tema decisamente di valore.
Adesso sei in tour con un tuo spettacolo “Mr Dago Show”, di che si tratta?
E’ la storia di un cabarettista ebreo antifascista che scappa da Roma dopo le leggi razziali e si rifugia in America. Lì trova un altro ostacolo, una legge sull’immigrazione non ariana restrittiva. La cosa tragicomica è che lui non è ariano per gli italiani perchè ebreo, ma non può entrare in America perchè non è ariano per gli americani ma perchè italiano. Affronta lo stesso tipo di insulto, non ariano, per due motivazioni diverse, per entrambe le sue identità: quella di ebreo e quella di italiano. Quindi viene discriminato per due ragioni apparentemente opposte. In tutta questa storia, in cui addirittura il protagonista salva Roosvelt da un attentato antifascista, la narrazione è affidata al musical. E’ un modo per raccontare una storia inedita, la resistenza antifascista a Ney York e i fascisti italo – americani, realtà presente ma molto poco raccontata, un pò commedia musicale e un pò cabaret.
La tua passione è raccontare storie: ve ne è una cui sei legato particolarmente?
Le storie sono un pò come i figli, mi son piaciute tutte. “Mr Dago” mi piace molto, perchè articolata e perchè mi ci sono dedicato per 15 anni, ad esempio. E’ una storia cui sono molto legato. Ovviamente anche “Se ami qualcuno dillo” o il mio primo film con Edoardo Leo “18 anni dopo”, sono molto significativi. Sono anche affezionato a “Billo – Il grand Dakhaar”, un piccolo film che non ha avuto molto successo di pubblico, ma è stato acclamato a livello internazionale. Non so scegliere una storia in particolare, perchè mi piacciono tutte.
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