Malinconia tra la gente e politica delle fake news, ma il teatro e la risata non saranno mai in ginocchio
E’ diverso. Il ritorno a teatro è diverso. Che sia sotto a un palco, in qualità di spettatore, o sopra di esso, in qualità di attore/attrice, rispetto a sei mesi fa è tutto cambiato. Quando le luci della ribalta si posano sul pubblico manca quella omogeneità che dovrebbe caratterizzare una folla, quella compattezza che fa dei presenti in sala uno di quegli assembramenti che ogni protagonista del mondo dello spettacolo vorrebbe avere sotto agli occhi al momento della propria esibizione.
Debora Villa ha fatto dell’intrattenimento la sua vita e il suo credo. Il ritorno sui palcoscenici italiani è coinciso con “Recital 20 di Risate“, pièce che raccoglie il meglio del suo repertorio ventennale: dalle gag sull’universo femminile e sulla varia umanità alle favole raccontate con graffiante cinismo comico. Passando per Adamo ed Eva, Debora ci racconterà cosa succede ad una donna quando raggiunge i “nannaranannann” anni. Uomini, donne, affanni, sogni, illusioni, frastuoni, emozioni co(s)miche, tra favole e cronache.
“Si respira un’aria melanconica. Le persone tra il pubblico, anche se hanno voglia di divertirsi, arrivano da un momento difficile. Avverto il loro calore, questo si, ma c’è un velato distacco, come quando si esce da una tempesta”, ci spiega quando le chiediamo quali sensazioni prova prima di andare in scena. Poltrone distanziate, presenti con le mascherine e gel disinfettanti in mano o pronti all’uso alla prima occasione, sarà difficile abituarsi a tutto questo, anche se per ora è normalità. Una normale anormalità. “Appena salgo sul palco mi prendo qualche minuto e provo a sdrammatizzare, tentando di accorciare le distanze con gli spettatori. Come? Parlando del lockdown di quello che abbiamo passato, vissuto e tocco temi come i complotti, come i canti dal balcone o le opinioni dei virologi. Un consiglio: guardare un tabù in faccia, e affrontarlo a viso aperto, aiuta a ridimensionarlo“.
Ciò che avverte nel pubblico, però, è un’aria rarefatta, “come se non ci si fosse resi conto che stiamo tornando alla vita, come se fossimo con i remi in barca in attesa di una possibile seconda ondata. Fattore, questo di una possibile seconda ondata, che impedisce di programmare il calendario artistico per i prossimi mesi in quanto, se mai dovesse realmente accadere, determinerebbe un secondo crollo dell’apparato culturale che sarebbe nettamente più rumoroso del primo. L’impossibilità di guardare a lungo termine non è un dettaglio, ma esattamente ciò su cui si fonda l’attività culturale in generale, sia essa musicale o, come in questo caso, teatrale. Il periodo che stiamo vivendo è considerato come una sorta di rinascita, come una “prima volta”. Chiediamo a Debora se questo pensiero trova riscontro nella realtà e se quindi, rispetto agli esordi e alle difficoltà degli inizi, trova dei punti in comune. Se c’è qualcosa di similare o di già vissuto.
“Non ho mai smesso di andare in apprensione prima di uno spettacolo, ogni volta è come se fosse l’esordio. Negli anni ho imparato a gestire le emozioni, non sono più terrorizzata come un tempo. Prima mi procuravo anche del dolore fisico, pur di spostare l’attenzione del cervello su altri fattori rispetto all’ansia. Non mi sento mai appagata, ogni pubblico è diverso e l’alchimia che si crea è sempre singola. Ora viviamo una fase in cui gli spazi sono diversi, l’approccio al palco ha subìto un contraccolpo e siamo in attesa di un qualcosa che potrebbe accadere come non accadere mai. Non sappiamo praticamente nulla del futuro e cerchiamo di dare il meglio in ogni show.
Ridere aiuta a vivere meglio. Il sorriso e la risata sono medicine e antidoti ai tempi grigi che stiamo vivendo. “Recital 20 di Risate” è un’occasione, dunque, non solo per trascorrere una piacevole serata di svago e intrattenimento, ma anche per riflettere su alcune tematiche di stretta attualità che non sempre trovano le giuste attenzioni all’interno della nostra società. Come la stessa artista tiene a precisare, non c’è volontà di pontificare ma solo di portare in scena tutte le idiosincrasie dell’essere umano. “Mi metto in prima linea con autoironia e sdogano la presa in giro di tutto e tutti, ma non della persona. Dissacro le dinamiche interpersonali dell’essere umano, maschile e femminile. C’è rispetto per l’individuo e, mettendo in gioco i suoi difetti, porto sempre avanti i suoi valori. Il pensiero espresso acquisisce significato diverso anche col passare del tempo. Non voglio che le persone tornino a casa stanche, bensì leggère e appagate, ma con un piccolo retropensiero che è appunto un ‘non facciamoci del male'”.
Femminismo, sessualità e apertura mentale sono temi portanti del Recital. Ma gli italiani sono ancora spaventati da essi? Li vedono ancora come tabù? “Direi di si, di pregiudizi ce ne sono ancora moltissimi, come quelli verso l’amore Lgbtq+, e i preconcetti sono duri a morire. La critica – ammesso che sia normale rivolgerla verso l’intimità altrui – è tale se non è offensiva o ingiuriosa, e anche questa è una prassi difficile da sradicare. Da questo punto di vista direi che lo spettacolo si commenta da sé per i valori in grado di esprimere e per gli spunti di riflessione che lascia nel pubblico una volta che questi è tornato a casa. Le critiche delle donne mi fanno incazzare ancora di più. C’è anche chi ha paragonato l’amore tra due persone dello stesso sesso che vogliono mettere su famiglia a quello dei rapporti con animali. Ma di cosa stiamo parlando? Davvero facciamo sul serio? Vogliamo davvero tornare nel Seicento? Così se una donna esprime valori di libertà e rispetto per il prossimo la puoi bruciare viva come una strega. Mi sconvolgo perché il nostro politico più mediatico e va detto meno concreto di tutti: Matteo Salvini lotta come una furia per impedire che venga approvata la legge contro il reato di omofobia ma dichiara apertamente che il revenge porn è una scelta sessuale! E’ un’aberrazione e non si può più tollerare. E’ ora di finirla”.
Prima di chiudere l’intervista, il discorso scivola inevitabilmente verso la politica che sta tessendo le sorti della nostra società. E qui, Debora, fa fatica a trattenersi. La verità, però, è che non vuole farlo perché vuole urlare al mondo il suo dispiacere e la sua rabbia per la deriva intellettuale e culturale che i nostri rappresentanti istituzionali hanno intrapreso. Dispiacere e rabbia, ma anche preoccupazione. “Salvini sta capitanando una propaganda pericolosissima che sta fomentando odio con fake news quotidiane e che, per questo, dovrebbe andare in galera. Ecco cosa dovremmo approvare subito una legge che condanni chi promuove, crea e divulga notizie false. Perché modificano il tuo modo di percepire la realtà e hanno il potere di cambiare il tuo pensiero”.
“C’è un tema sconvolgente di cui pochi si occupano, quello di chat agghiaccianti di pedopornofilia con omicidi, con gruppi di bambini che ne uccidono, stuprano e violentano altri”. il tutto gestito da minorenni. ( ricordo a tutti che la pedofilia è una piaga che ha una portata a livello mondiale). “I femminicidi sono passati di moda nei loro discorsi ma sotto lockdown moltissime donne sono state costrette a stare a casa con i loro aguzzini. Quando una donna viene stuprata da un extracomunitario ci si occupa tantissimo del criminale, se è italiano ci si preoccupa di come era vestita la vittima se era ubriaca etc… e con questo credo di aver detto tutto”.
“I fascisti, chiamiamoli col loro nome, sono persone che si nascondono dietro una falsa ideologia. Se hai bisogno di falsare la realtà per affermare di avere ragione significa che hai torto! Ma si tutelano a vicenda, da Salvini a Trump. Quest’ultimo ha messo al bando gli antifascisti come fossero terroristi. Sta uscendo lo schifo più assoluto. La maggior parte delle persone nel mondo non la pensa così, bisogna cambiare”. Il fascismo non è un opinione è un reato. E aggiungo per fugare ogni dubbio che sul vocabolario il contrario di fascista è democratico”.
E’ tempo di salutarci, ma prima di farlo, mi preme chiederle un parere su una mia curiosità: perché la stand up comedian stenta ad affermarsi nel nostro Paese? “Perché copia quella americana e perché non è radicata nella nostra cultura. Dovremmo rifarci a Gaber, a Dario Fo e a Paolo Rossi. Va detto che Paolo Rossi si è ispirato tantissimo agli stand up comedian americani ma li ha miscelati col proprio sangue. Spesso e volentieri ci sono contenuti molto moderni ma poco nostri. Anche se riconosco molte nuove leve davvero brave, Sofia Gottardi e Frank Gramuglia che è più scrittore che attore ma da tenere d’occhio. Comunque sono giovani e stanno cercando la loro strada e so che la troveranno di sicuro”. Non dimentichiamoci dei nostri artisti però. Ripartiamo anche da qui, allora, dalla riscoperta della nostra arte comica, che non è seconda a nessun’altra.