L’inquietudine di vivere controcorrente in “Chari”, nuovo brano di Malarai
Penna incisiva e voce sospirata, un urlo interiore al male di vivere, il cuore che scoppia è il motore della grinta di Malarai, che torna con il nuovo singolo “Chari”, alla cui produzione troviamo Riccardo in arte Stewie.
Un altro singolo di denuncia per Malarai, una richiesta d’aiuto per tutti coloro che si sentono imprigionati in uno stereotipo che la società impone, che si sentono gravare sulle spalle il peso di ogni singola scelta, e nel momento in cui fuoriesci dall’idea che loro hanno di te diventi presto sbagliato e fuori posto. Una voce rotta che riflette perfettamente l’anima irrequieta della giovane artista autodidatta. Un dialogo con Chari, la sua musa, supplicandola di continuare a tenere accesa quella luce che la fa scrivere ogni notte.
Il singolo si apre con un dialogo con la madre, che preoccupata per il futuro della figlia si domanda il motivo per cui passa le notti alla bohémien. “Cara mamma, ho passato la notte dove i sogni corrono”, ovvero ho inseguito i miei sogni anche quando cala la luce, ho scritto un’altra notte intera. Si apre poi un ossimoro, l’artista che rappresenta il buio, l’anima tormentata si trova di fronte all’amore, al bene e lo scaccia, lo scaccia dicendo di non essere riuscita in tutto questo tempo ancora ad amarsi, e finché non riuscirà a farlo non potrà amare veramente nessun altro.
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Il ritornello si apre dinnanzi all’ennesima delusione, l’artista inciampa, cade sotto lo sguardo disperato di una madre che vorrebbe di meglio per un figlio, poi si rialza, da sola, ma ricade e questa volta le lacrime della madre le bagnano i piedi, scalzi ad indicare una metafora della purezza della sua arte. L’immagine ricorda un peccatore, sporco dei suoi mali inginocchiato di fronte a Dio, al bene. Poi l’artista invoca Chari, la sua musa, pregandola di darle la forza di rialzarsi e scrivere ancora.
Nella seconda parte l’artista paragona gli incubi ai sogni spiegando così la sua scelta artistica: “gli incubi rappresentano il non farcela, il non riuscire a trovare un posto nel mondo ma sono comunque più belli che essere prigionieri di un qualcosa che gli altri scelgono per te, rappresentano dunque anche il sogno di un’artista di fare della musica il motore della sua vita”.
“Chari”, spiega Malarai, “va vissuto come un’evocazione di continue immagini visive che passano nella mente dell’ascoltatore, se così accade Chari, questa volta, mi ha guidato bene!”.
Malarai si definisce un’inguaribile ribelle, lo vediamo anche nella sua Chari al verso “scusa se non so stare al mio posto” da cui traspare sempre questa voglia di fuggire, di rompere gli schemi e di fare ciò che gli altri non si aspetterebbero facessi. L’autrice ha sempre sostenuto che il motore dell’arte fosse il dolore, la sofferenza , quel “letto rotto” che rende le notti migliori, che fa assaporare il peccato e poi lascia l’amaro in bocca per la paura di affezionarsi.
La paura di essere felici, di non provare più quei sentimenti tristi che muovono la penna e ascoltano Chari. Ci spiega l’artista “Chari” si chiude con un finale che lascia spazio a due interpretazioni, da una parte vi è l’artista che non ha raggiunto i suoi sogni e morirà senza aver soddisfatto le sue aspettative, dall’altra la giovane sarà come vogliono gli altri, avrà un lavoro che definiscono rispettabile e che le permetterà di comprare un attico, dentro il quale morirà senza che nessuno si ricorderà mai di lei”. Ed è proprio in quest’ottica che notiamo la voglia di diversificarsi di Malarai, resa possibile grazie a una scrittura originale e incisiva che le permette di toccare le corde più intime e traballanti di ognuno di noi. La nostre paure, i nostri dolori, le nostre delusioni non sono altro che lo stimolo che spinge ad andare oltre quel limite che la nostra mente ci ha imposto.
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Chari è un invito a guardarsi dentro e a lasciarsi guidare dai propri sogni anche se sembrano bui e tenebrosi, perché se un sogno non spaventa vuol dire che non stai sognando abbastanza in grande.