Arsène Lupin, da 116 anni simbolo dei ladri gentiluomini
Baffetto fino, monocolo, tuba in testa e bastone. Nell’immaginario comune è questa l’immagine di Arsène Lupin. Il “ladro gentiluomo”, per utilizzare la definizione coniata dal suo autore Maurice Leblanc, esordì sulla rivista francese “Je sais tout” il 15 luglio del 1905.
La sua figura è ispirata a Marius Alexandre Jacob, anarchico e ladro geniale. Nel romanzo “In ogni caso nessun rimorso”, di Pino Cacucci, Jules Bonnot (altro anarchico e ladro innovativo francese) divenne autista di sir Arthur Doyle. Il padre di Sherlock Holmes. Durante un viaggio i due si ritrovarono a parlare proprio di Lupin. L’autista non riuscì a trattenersi e volle difendere l’onore di un suo collega. In questo libro, ancora una volta, i destini del ladro più famoso del mondo si incrociano con quella del celebre investigatore.
“Marius Jacob è l’uomo che ha messo a segno almeno trecento colpi ai danni delle più ricche personalità di Francia, e senza che la polizia abbia mai capito come. Arsène Lupin è lui. Maurice Leblanc non ha fatto altro che documentarsi sulle sue imprese, infarcendole di champagne e donnine svenevoli, tutto qui”.
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Le parole del leader (riconosciuto a posteriori) della banda Bonnot delineano perfettamente il personaggio nato dalla penna dello scrittore nato in Normandia. Più precisamente a Rouen, la città che insieme a Le Havre e Dieppe forma il “Triangolo Cauchois”. Quella terra in cui Leblanc ambientò le avventure del ladro gentiluomo.
La regione a nord della Francia si ritrova anche in alcune scene della fortunata serie Netflix “Lupin” con Omar Sy.
Affascinante, irraggiungibile, amato dalle donne e ammirato dagli uomini. Idolatrato dai giovani. L’Arsène Lupin di Leblanc fu una commistione di successo.
Riuscì a rendere il pubblico dipendente dalle peripezie del suo personaggio. Quasi a diventarne esso stesso schiavo. Ricordato solo per quei romanzi e piece teatrali.
Il Robin Hood della Belle Époque non usava armi. Era intelligente, astuto, camaleontico. In grado di camuffarsi. Di riuscire a prevedere ogni mossa di Gaminard, il tenace poliziotto che esordì, dopo poche pagine, con l’arresto del nemico di sempre.
Già, perché Lupin fece il suo primo passo nella storia della letteratura con il suo arresto. Ma è lui a dirigere il gioco. A comandare. Ad essere regista e protagonista di ogni situazione. Ogni fatto è studiato. Nulla è mai affidato al caso. Né tantomeno rimane vittima degli eventi.
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Anche il suo arresto è pianificato. Come per prendersi gioco del suo rivale. Ma anche per un ego smisurato.
Il ladro più amato della storia è stato e continua ad essere questo.
Un fuorilegge ma dai modi talmente gentili da essergli concesso quasi tutto. Non è così avido come il suo “nipote” Lupin III protagonista del manga conosciuto in tv. Né così schiavo di una donna.
Ancora oggi i libri di Maurice Leblanc sono fonte di ispirazione e di successo garantito. Basti vedere la serie Netflix divenuta la prima produzione francese ad entrare in top10.
La sua storia è un mix tanto vasto e ampio di ingegno, arti marziali, capacità di trucco, conoscenza della chimica, della fisica, della linguistica che nessuno degli altri personaggi dei romanzi avrebbe potuto vantarsi di conoscere il suo vero volto. E probabilmente anche della sua personalità.
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D’altronde era sempre un passo avanti a tutti. Come il ladro da cui nacque. Colui che seppe sfruttare il gracidare delle rane in funzione di copertura. Quel francese che fu arrestato e mandato alla Guaiana solo per un errore dei suoi complici.
E proprio davanti ai giudici, nel 1905, dichiarò le motivazioni della sua attività criminosa.
In pieno stile Lupin.
“Se mi sono dato al furto non è per guadagno o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco conservare la mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità di uomo, invece di farmi l’artefice della fortuna del mio padrone”.