Ludwig van Beethoven: l’ultimo protagonista della cultura classica
“La musica è il suono elettrizzato in cui lo spirito vive pensa e crea. Ogni elemento elettrico eccita lo spirito a fluide effuse creazioni musicali. Il mio temperamento è elettrico“
Scrivere del celebre Ludwig van Beethoven è cosa pressoché impossibile. Del Maestro (sì, con la “M” maiuscola) è stato praticamente detto tutto. In primis la storia, che lo ha immortalato tra gli esseri umani più famosi di sempre. Compositore, pianista, maestro d’orchestra e genio musicale di leggendaria ed inimitabile abilità, al punto da dubitare se veramente appartenesse a questo mondo.
Nato a Bonn il 16 dicembre 1770, il futuro genio mostrò sin dall’infanzia una sovrumana propensione musicale. Tant’è che non basterebbero milioni di parole per poter descrivere lontanamente l’avanguardia e la lungimiranza presenti in ogni sua singola sinfonia o componimento. Uno sguardo al futuro così spiccato che suscitò l’interesse di tanti illustri letterati, tra cui il celebre filosofo Arthur Schopenhauer.
Ne “Il Mondo Come Volontà e Rappresentazione” del 1818, il pensatore tedesco così scrive riguardo la musica, riferendosi a Beethoven e ai grandi compositori dell’epoca:
«La musica oltrepassa le idee, è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, lo ignora, in un certo modo potrebbe continuare ad esistere anche se il mondo non esistesse più: cosa che non si può dire delle arti. La musica è infatti oggettivazione e immagine dell’intera volontà, tanto immediata quanto il mondo, anzi, quanto le idee, la cui pluralità fenomenica costituisce il mondo degli oggetti particolari.»
E forse sono proprio queste le parole migliori con cui si possono giudicare i componimenti del Maestro. L’ultimo grande protagonista del cosiddetto classicismo viennese, dopo Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart, e primo ad introdurre in quella poliedrica quanto fiorente Vienna il Romanticismo.
L'”artista eroico“, così Beethoven era conosciuto. Colui che con la sua opera trasmetteva tutto se stesso. L’impeto di un fuoco ardente che bruciava dentro di lui. Un uomo solitario, irascibile, crudele ma gentile. Un condottiero che dietro il suo pianoforte dominava il mondo intero.
Di umili origini, il piccolo Ludwig crebbe in un contesto familiare difficile. Il padre Johan van Beethoven, anch’egli musicista, era violento ed alcolizzato. La dolce madre, Maria Magdalena van Beethoven, era invece affetta da attacchi di depressione, forse dovuti a due figli persi prematuramente. Ella morirà di tubercolosi nel 1787.
Al padre tuttavia si deve l’ottima quanto severa educazione ricevuta. Egli inoltre fu il primo ad accorgersi dell’enorme potenziale che il figlio dimostrava già a cinque anni. Ma il tentativo di rendere il piccolo Ludwig un virtuoso fallì miseramente a causa dei pessimi metodi e non fece altro che innescare un inevitabile rottura dei rapporti.
Solo, orfano della madre e con un padre ormai devastato dall’alcool ed impossibilitato a mantenere la famiglia, all’appena ventiduenne Beethoven non restava altro che trasferirsi a Vienna: la capitale mondiale della musica occidentale e punto focale della cultura tedesca ed europea del tempo.
È qui che l’astro sboccerà. Ed è sempre in questo periodo che si intravede la prima grande differenza tra Beethoven e Mozart, ad oggi considerati musicalmente e storicamente inseparabili : quest’ultimo genio precoce, mentre il primo un giovane sognatore con soli alcuni componimenti in tasca e la voglia di riscatto.
Prese le distanze anche dal maestro Haydn, Ludwig iniziò una brillante carriera che lo porterà nel 1796 da Vienna a Berlino fino a Dresda e Lipsia. Applaudito da tutti per il suo virtuosismo ma criticato dai fin troppi sostenitori di Mozart, considerato all’epoca genio indiscusso. Si dice che i due si siano incontrati velocemente nel 1787, quando Beethoven fu notato all’università di Bonn.
Nel frattempo la notorietà di Ludwig cresceva a dismisura. Non c’era critica che reggeva: la sua musica arrivava più in là di quelle pungenti parole. A soli ventotto anni Vienna conobbe il suo virtuoso più illustre. A ciò si aggiunga l’inizio del periodo d’oro, quello che dal 1798 in poi porterà alla creazione dei componimenti massimi per eccellenza. Tra questi ricordiamo: la Sinfonia n.1 in do maggiore, la Sonata per pianoforte n.8 e il Concerto per pianoforte e orchestra n.1.
Ma il destino, beffardo e ironico allo stesso tempo, iniziò a privare il genio del suo strumento per eccellenza: l’udito. Ancora sono sconosciute le cause, ma sta di fatto che nemmeno trentenne Beethoven iniziò a manifestare dei chiari segni di sordità che invano cercò di tenere a bada con delle cure. Infine, nel 1820, il mondo gli divenne totalmente muto.
Il pensiero del suicidio fu imminente. Ma il genio in lui era molto più grande di chiunque altro e con il solo ausilio dell’immaginazione, il Maestro continuò a comporre, figurando nella sua testa ogni singolo strumento della sua orchestra. Quasi che Dio fosse veramente sceso in terra affinché il suo discepolo potesse compiere la sua opera: mettere in musica la sua onnipotente voce.
Una vita dedicata a rendere razionale l’irrazionale. L’esistenza stessa racchiusa in sette note. Il mondo intero in un pugno mentre si sgretola e si ricompone nel cuore dell’ascoltatore. Questo è stato Ludwig van Beethoven, che ci lasciò a soli cinquantasei anni il 26 marzo 1827. E la sua musica è il suo testamento per coloro che vogliono ascoltare il suono della vita stessa.