Luca Argentero racconta la vita che sognava da bambino e trascina il pubblico del TSA
Il Teatro Stabile dell’Aquila ha ospitato Luca Argentero nella messa in scena di “è questa la vita che sognavo da bambino?”, per la regia di Edoardo Leo, prodotto da Stefano Francioni Produzioni. Lo spettacolo, con i testi del regista Gianni Corsi e dello stesso Argentero, è accompagnato dalla musica di Davide Cavuti. La notevole affluenza del pubblico, sapientemente divisa in due turni, ha caratterizzato il successo del monologo con la complicità, non da sottovalutare, dell’arma seduttiva dell’attore.
Luca Argentero ha raccontato, con un rispetto tangibile, le storie di tre grandi personaggi della storia sportiva italiana veicolando, come nelle favole, la morale secondo la quale sudore, impegno e perseveranza si ergono a traguardi di soddisfazione personale.
Luisin Malabrocca, fautore della Maglia Nera del Giro D’Italia, in uno scenario di devastazione post-bellico, nel 1946, si “immolò” ad anti-eroe suscitando simpatia, empatia e attenzione nella gente che aveva bisogno di sorridere e di credere nelle seconde opportunità. Anche gli sponsor e il giornalismo sportivo contribuirono alla creazione mediatica di un personaggio che lottava per l’ultimo posto. Una contraddizione talmente originale da permettere al ciclista di guadagnare salami, agnelli, olio e regali di consolazione a iosa.
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Alberto Tomba, uno dei più grandi miti del mondo sciistico e non solo, conosciuto come Tomba la bomba. L’unico a vantare la sospensione del Festival di Sanremo con la sua vittoria nel mondiale, lasciando un Massimo Ranieri sul palco sbigottito. La sua personalità colorata e la sua schiettezza fisica su pista lo portarono ad essere il simbolo dell’Italia degli anni ’80 desiderosa di rinascere. Argentero sul palco lo ha interpretato orgogliosamente ricordando sé stesso da bambino, un figlio di maestro di sci che osservava sognante il campione bolognese con ammirazione disinteressata.
Walter Bonatti, l’alpinista che tanto si fidava della natura quanto meno degli uomini. Un uomo che, a più di ottomila metri d’altezza, con raffiche di vento gelide e notti che sapevano di morte, si attaccò alla vita sulle rocce del K2, lottando contro l’invidia umana. Una sportività che lo portò per lunghi 50 anni a non desistere ed ottenere il legittimo riconoscimento strappatogli avaramente da quelli che erano i suoi compagni di avventura. Le montagne, grandi compagne di vita, testimoni di paure e lacrime, non lo hanno mai abbandonato fornendogli il coraggio di insistere per perseguire il sogno di ritrovare sé stesso.
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In questo spettacolo il monologo ha lasciato ampio spazio alle biografie dei personaggi illustrati. Il palco ha restituito onore a chiunque si fosse rivisto in uno dei tre personaggi. Si tratta di Storie che non dovrebbero mai essere relegate nel dimenticatoio o in grigi documentari anagrafici. Non importa il tempo impiegato a raggiungere il traguardo e neanche il traguardo stesso; ciò che conta è la verità, la dignità, l’astensione alla mercificazione della propria personalità. Questo è quello che ci hanno insegnato e che continuano ad insegnare i nostri campioni.