L’oro di Napoli oltre la sera del dì di festa
“I’ sto ‘cca”: dice Pino Daniele. “E i sto vicin’ a te”: dice Massimo Troisi (se non altro perché “Ricomincio da tre” è stato fin troppo abusato in questi giorni). “E io mangio”: dice Totò. I tre volti sorridenti rappresentati dallo street artist Leone Peretti guardano al grande murale dedicato a Diego Armando Maradona, nel Largo che porta il suo nome.
Un viavai di gente che non si ferma da giorni in queste strade dei Quartieri Spagnoli, con la Bodega de Dios ad accogliere tifosi e appassionati arrivati quasi in pellegrinaggio con canzoni omaggio al Pibe de Oro. In tutta Napoli è difficile trovare un solo vicolo che non sia decorato di striscioni, poster e cartonati degli eroi del terzo scudetto. Biancazzurro e tricolore decorano bar, negozi, ristoranti, scalinate come Salita Pariadiso, in zona Montecalvaro, oppure vico Canale a Cariati.
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Bandiere biancazzurre sventolano sul lungomare di Mergellina in un tempo scandito da trombe da stadio e colpi di clacson. Trentatré anni sono passati dall’ultimo scudetto e c’è chi non manca di far notare la coincidenza con gli anni di Gesù. Ma quante cose sono cambiate da allora. Oggi ci sono le mascherine di Osimhen, allora il Diario di Maradona. Trentatré anni fa Piazza del Plebiscito era un parcheggio a cielo aperto. Tra le macchine si giocava a fare Maradona e Careca, senza i nomi sulle spalle, bastavano i numeri e un pallone semisgonfio. È un ciclo che si ripete, deviando la frode nostalgica degli adulti.
Le immagini patinate di quei ricordi, elaborate in tre decenni, restano sullo sfondo, quinte polverose. “Non c’è mai stato più inizio di quanto ce ne sia ora, né più giovinezza o vecchiaia di quanta ce ne sia ora, e non ci sarà mai più perfezione di quanta ce ne sia ora, né più paradiso o inferno di quanto ce ne sia ora”. Walt Whitman non aveva visto il Napoli di Luciano Spalletti, e la sua danza tra passato, un presente lunghissimo e un futuro non improvvisato.
L’ha detto lo stesso, citando nientemeno che Antoine de Saint-Exupéry con il Piccolo Principe: “È il tempo che determina se vuoi bene a una cosa”. La poesia dell’attimo da cogliere, come il più felice dei tempi possibili, quest’anno s’è fatta calcio a Napoli. Tutto il resto appartiene a quel grido barbarico, quello “Yawp” di una folla che si riversa nello stadio Maradona, con il gol di Oshimen a suggellare lo scudetto, nella partita contro la Fiorentina (finita 1-0).
Un rumore assordante che risuona in tutta la città, dove i tifosi guardano la partita nei bar e in altri ritrovi per strada, o riuniti nelle case tra amici. Poi, lo show finale con numerosi artisti napoletani esibirsi a bordo campo come Geolier, Clementino ed Edoardo Bennato. Anche Liberato si esibisce a sorpresa sotto gli occhi di Paolo Sorrentino che ha firmato la regia della serata. “E per la prima volta da quando sono al mondo”, fa dire Roberto Vecchioni a un incredulo Giacomo Leopardi, di fronte al fascino travolgente di Napoli, “non muore il dì di festa, non chiedo e non rispondo. Tutto passa e non resta, si fa cenere e fumo, eppure alla ginestra le basta il suo profumo”.
Alcuni passaggi tratti da www.dire.it