Lo Yin e lo Yang di Squid Game: punti di vista sul fenomeno del momento
Squid Game è diventato un grande successo a livello mondiale, questo grazie ad alcuni elementi che lo contraddistinguono da quasi tutti gli altri prodotti presenti sulle piattaforme come, per esempio, l’uso di giochi per bambini come prove mortali. Ma siamo sicuri di comprendere a pieno il vero significato di questa serie tv?
Di aver davvero elaborato nel modo corretto le informazioni e gli indizi che ci vengono forniti durante lo sviluppo della storia? Proviamo ad analizzare insieme alcuni particolari che, a primo impatto, non sembrano essere così rilevanti, ma che in realtà celano un profondo significato.
LE FIGURE GEOMETRICHE
Il cerchio, il triangolo e il quadrato si ripetono in più situazioni in Squid Game, la prima volta sopra il biglietto da visita che l’uomo d’affari lascia a Seong Gi-Hun (Lee Jung-jae) per poter partecipare al gioco. Subito dopo vengono riproposti in una veste completamente diversa, sono infatti impressi in bianco sulle maschere nere che nascondono il volto delle guardie del gioco.
Qui si rende chiara la prima differenza nell’uso degli stessi simboli, nel primo caso vengono usati come sinonimo di gioco, richiamando le prime forme che i bambini imparano a disegnare, ma anche console per videogiochi, come la Playstation. Mentre, nel secondo, vengono usati come rappresentazione di un ordine.
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Il regista Hwang Dong-hyuk ha spiegato, durante un’intervista rilasciata al giornale coreano JoongAng Libo, che ha preso ispirazione dalle formiche, che hanno una gerarchia ben delineata, dove ognuno esegue il suo compito come parte di una comunità che risponde solo alla regina.
“Il simbolo del cerchio rappresenta i lavoratori, il triangolo è il simbolo dell’esercito, mentre il rettangolo è per i manager”. Ecco quindi che le guardie con il cerchio sono quelle di rango più basso, hanno il compito di scortare i partecipanti nei luoghi dove si svolgono le prove, di eliminarli se falliscono e di portare via i corpi una volta che la prova è terminata. Il triangolo indica i soldati che hanno il compito di mantenere l’ordine e il quadrato è indossato solo dai supervisori, gli unici che possono autorizzare i livelli più bassi a parlare.
Inoltre, il cerchio, il triangolo e il quadrato sono lettere dell’alfabeto coreano, dove il cerchio corrisponde alla O, il triangolo alla J e il quadrato alla M. insieme formano la parola OJM, che è l’abbreviazione di OJINGEO, sigla del gioco del calamaro, gioco con cui inizia e finisce la storia.
I COLORI
Anche per quanto i colori, nulla è lasciato al caso. I primi da analizzare sono quelli delle due buste che l’uomo d’affari usa per proporre al protagonista la prima sfida, il Rosso e il Blu. Questi due colori sono molto importanti per la cultura coreana, in quanto parte integrante della bandiera della Corea del Sud. La bandiera, chiamata Taegukgi, si presenta con uno sfondo bianco con al centro uno Taegukgi rosso e blu, questa figura rappresenta l’origine di tutte le cose dell’universo, che vengono tenute in equilibrio da due principi.
Il blu rappresenta le cose negative, mentre il rosso quelle positive, unite a creare la dualità tipica dell’animo umano. Altro uso molto ingegnoso dei colori è quello ideato per le tute verdi e bianche dei giocatori che, come ha sempre spiegato il regista, sono “la metafora della perdita di personalità, nel contesto del gioco i partecipanti non sono più individui, ma solo dei numeri”.
Il modello è stato scelto da Hwang, basandosi sul suo ricordo delle uniformi per la palestra, che usava quando andava alle elementari, questo è il motivo principale per cui portano alla mente le tute tipiche degli anni ’80. In contrasto ai giocatori, le tute delle guardie sono ispirate a quelle degli operai, solo di un rosa più acceso, in modo da sottolineare ancora di più le differenze tra i personaggi della serie.
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In conclusione, siamo davvero sicuri che noi occidentali abbiamo apprezzato Squid Game per i giusti motivi, avendo compreso a pieno il vero obiettivo della serie e quindi dimostrando che esiste un linguaggio universale, dove chiunque riesce, grazie all’empatia, a calarsi nei panni sfortunati dei protagonisti, che lottano per un futuro migliore? O forse, chi conosce il significato di tutti questi riferimenti può avere una visione diversa, più completa dei fatti, e quindi trarre anche conclusioni distanti da quelle da noi formulate?
E, domanda più importante, tutto ciò ha avuto un ruolo nel portare l’opinione pubblica a giudicare questo un prodotto fuorviante, rispetto ad altri dello stesso genere, che hanno avuto anch’essi grande successo, come Hunger Games?
Spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall’opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa. Lucio Anneo Seneca.
Di Federica Prato
NON SOLO VIOLENZA, LA MORALE IN SQUID GAME
Squid Game ha alzato un gran bel polverone. Non solo per la serie che è, la quale sicuramente, per il suo genere, è un ottimo prodotto. Ma per tutto ciò che si è creato intorno. Se da un lato una cerchia di persone l’hanno etichettato come un lavoro carico di violenza intrinseca, portando addirittura a creare petizioni e a rivolgersi ai carabinieri, perché i figli hanno cominciato ad emulare i giochi presenti nella serie, dall’altra c’è chi senza scrupoli, cavalcando l’onda del marketing, ha cominciato a produrre oggetti, costumi e feste a tema Squid Game, approfittando dell’imminente festa di Halloween.
Che dire, questi due aspetti sono perfettamente in linea con la nostra attuale società consumistica e ipocrita. Squid Game è il fenomeno del momento, sta facendo talmente tanto parlare di sé che oramai non esiste persona che non lo abbia sentito nominare, e anche se non interessata al genere, lo guarda per curiosità o per sfinimento.
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Appare dunque normale, un po’ come fu per La casa di carta all’epoca e per altri lavori di successo, che si prenda la palla al balzo per guadagnarci sopra. La questione inquietante, ma peggio ancora, normale, è quello che si cela dietro all’allarme lanciato dai genitori. Perché questi hanno dovuto rivolgersi alle forze dell’ordine o addirittura spingere per creare una petizione per eliminare un prodotto che i propri figli non avrebbero nemmeno dovuto guardare? Non è un po’ ipocrita tutto questo? Non mettere in atto nessun tipo di controllo, lasciare in mano ai figli smartphone, accesso libero alle piattaforme e poi tentare di pulirsi la coscienza in questo modo, azzarderei, ridicolo?
Che poi, di programmi ancor più violenti il mondo di internet ne è pieno, ma in questo momento l’importante è fare fuori questa serie tv così poco educativa, il capro espiatorio insomma. E questo è il punto focale della questione, il fatto che situazioni come queste mettono in evidenza la profonda povertà educativa presente nelle famiglie, non in tutte ovviamente, ma in buona parte.
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Internet, Netflix, la televisione e chi più ne ha più ne metta, sono degli strumenti e dei mezzi. Esattamente come una macchina, la quale non si guida da sola, ma è sempre una persona ad assumersi la responsabilità di farne un uso intelligente ed appropriato, al fine di preservare se stesso e gli altri. Stessa cosa vale per l’accesso, in questo caso, a Netflix, che altri non è che, appunto, uno strumento.
Prescindendo dal fatto che la piattaforma fornisce la possibilità di applicare il parental control, la colpa non è di Squid Game, il quale è stato ribadito più volte essere una serie tv violenta e vietata ai minori di 14 anni, quanto dell’irresponsabilità dei genitori e della profonda crisi familiare, purtroppo assai radicata.
Andando oltre a queste delicate questioni, è assolutamente errato pensare che questa serie tv sia composta esclusivamente da violenza fine a se stessa. Squid Game è una serie a dir poco brillante, intelligente e, per chi riesce a guardare oltre, anche con una morale non scontata.
Certo, questa non è così facile da cogliere, ma guardando in profondità c’è eccome. Non semplice, se non impossibile, da comprendere per un bambino, appunto. Innanzitutto è bene sottolineare che Squid Game è in primis una forte denuncia sociale, verso la quale i registi coreani, negli ultimi anni, hanno dato non poca importanza. Pensiamo per esempio a “Parasite” (2019) di Bong Joo-Ho, il quale ha raccontato in maniera a dir poco esemplare la condizione della Corea del Sud, in cui il divario tra ricco e povero è portato allo stremo.
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In Squid Game si fa un passo in più, e assistiamo così ad una cerchia di persone talmente disperate e con così poco da perdere che scelgono autonomamente di mettere a rischio la propria vita pur di porre fine alla situazione di disagio in cui si trovano. Scarti della società che si ritrovano chiuse in un luogo comune, i quali come animali tirano fuori un istinto primordiale, l’istinto di sopravvivenza.
Perdendo l’identità, regola prima di alcuni esperimenti sociali estremi, basti ricordare il famoso esperimento carcerario di Stanford condotto dallo psicologo Philip Zimbardo, questi si riducono ad essere semplici numeri. Poco tempo prima di questo prodotto era uscito Alice in Bordeland, con il quale molti ci videro delle correlazioni.
Sicuramente un filo che li lega c’è, quello del gioco mortale, ma Squid Game si spinge ancora di più all’estremo. In Alice in Bordeland i personaggi si trovano, contro la propria volontà, a dover partecipare a giochi mortali per sopravvivere, in Squid Game no. C’è la volontà, c’è la scelta personale che sottolinea ancora di più la disperazione dei personaggi. Personaggi a cui ci si affeziona, personaggi con i quali si entra in empatia, assolutamente ben caratterizzati e con un passato che piano piano si rivela, mettendo lo spettatore davanti alle debolezze umane, ma anche alla crudeltà di una società, molto spesso, ingiusta e che non fa sconti.
E così all’interno di quel luogo sconosciuto ritroviamo i più svariati personaggi, i quali sono portatori di determinate caratteristiche umane. Colui che punta tutto sulla forza fisica, il violento, l’arrivista, il furbo, il calcolatore, l’adulatore. Ma chi vincerà lo Squid Game? L’idiota. Ma in questo contesto, l’aggettivo, seppur abituati ad associarlo ad un significato negativo, ha una connotazione estremamente positiva.
L’idiota, per citare Dostoevskij, è una sfida verso un mondo che conosce solo materialismo e arrivismo. L’idiota è uno spirito puro che non si piega al nichilismo e al cinismo ma che li combatte con un’unica arma, la bontà. Un’innocenza assoluta che viene scambiata per stupidità e, appunto, idiozia.
Questo è colui che vince il gioco. Colui, il quale in un luogo così arido e carico di crudeltà, non ha mai rinunciato alla propria umanità. Proprio come disse l’Idiota creato dello scrittore russo, il Principe Miskin, la bellezza salverà il mondo. Siamo davvero sicuri che Squid Game non porti con sé nessun insegnamento positivo?
Di Malaika Sanguanini