Live Report. Frantic Fest (day 2), Francavilla al Mare – 16/08/2024
“Esistono storie che non esistono”, il filosofo moderno Maccio Capatonda scriveva così. Ed è proprio questa la sensazione che si vive al Frantic Fest.
Mentre nel primo pomeriggio il sole picchia forte sulle coste dell’Adriatico, il silenzio delle strade di Francavilla al Mare, sulla costa abruzzese, viene spezzato dall’energia vibrante di una location a pochi minuti dal mare, quella del Frantic Fest, appunto, una delle manifestazioni musicali più attese dell’estate. Questo evento, che ormai si è guadagnato un posto di rispetto nella scena metal, ha saputo attirare un pubblico appassionato e in continua crescita, grazie a una bill sempre ricca di nomi di spicco, band emergenti e performance travolgenti.
Entriamo alle 14.30, subito dopo l’apertura dei cancelli e ci troviamo immersi in un’atmosfera che oscilla tra il rilassato e il caotico. Il Frantic Fest è una celebrazione pura della musica metal, dove ogni nota risuona come un grido liberatorio. Prepariamoci a immergerci in questo viaggio sonoro e viscerale, tra riff taglienti e ritmi martellanti, pronti a raccontarvi tutto ciò che rende questo festival un’esperienza unica.
La location, collaudata da ormai sei edizioni, è quella del TikiTaka Village, una grande struttura polisportiva attrezzata da cima a fondo per l’occasione.
Appena entrati ci viene spiegato il nuovo sistema di pagamento cashless tramite braccialetto ricaricabile, i crediti vengono caricati tramite app o allo stand. Comodissimo e veloce, soprattutto per chi, come il sottoscritto che scrive, tende a smarrire qualsiasi cosa. Assieme alle spiegazioni dello staff ci viene regalato anche un bicchiere personalizzato e riutilizzabile, iniziativa lodevole in tempi in cui l’attenzione all’ambiente non è cosa scontata.
Subito dentro al villaggio sportivo veniamo accolti dall’ormai iconico cartello “Francavilla al Male”, e subito ci troviamo accanto al Tent Stage, il palco più piccolo, sul quale troviamo già gli Unviar, band friulana dedita a un black metal atmosferico, l’ideale per iniziare a scaldare gli animi dei già numerosissimi presenti sotto il palco. La proposta energica e carica di emotività della band prosegue spedita, senza pause tra un brano e l’altro, i volumi sono già buoni e le teste dei presenti iniziano in maniera cadenzata a scandire il ritmo di quella che sarà una giornata lunga e carica di potenza.
Al termine della loro performance ci concediamo un piccolo tour della location, notiamo da subito il bar attrezzato con innumerevoli linee per spillare birre gelide e la proposta food immensa, che spazia dalle bontà locali (immancabili gli arrosticini) a quelle più classiche. Salutiamo un po’ di vecchie conoscenze tra il pubblico e ci dirigiamo nuovamente al Tent Stage dove stanno per salire i Nel Buio, band “BlackWave” capitanata da una delle istituzioni italiane in tema di inchiostro, ovvero il tatuatore Clod The Ripper.
Dopo un mini soundcheck la band sale sul palco agghindata come la scuola black metal insegna: borchie, pelle e corpsepaint sul viso. I riff black metal si fondono in pieno con le tinte darkwave dei synth e il basso e la voce di Clod che ci trascinano in questo turbinio di note. I sintetizzatori sono una delle colonne portanti del set, che mai stonano con il resto degli strumenti, le metriche scandite e feroci della batteria fanno da passe partout alla voce di Clod che fra scream e growl chiude il cerchio.
Concluso il loro set è il momento de Il Ponte del Diavolo, quintetto piemontese capitanato dalla vocalist e front woman Erba del Diavolo. La proposta della band salta subito all’occhio quando ci accorgiamo che sul palco ci sono ben due bassisti. E saranno proprio questi due bassi, che insieme allo stile di canto unico della frontwoman creano un vero e proprio trademark sonoro. Lo stile musicale mescola con maestria black metal, doom fino alla darkwave più classica, lo stile della cantante prende ispirazione dal punk più underground per finire alla tanto amata darkvawe. Notevole l’estensione vocale di Erba Del Diavolo che ci trascina mano nella mano in un set musicale davvero unico.
E’ il momento dei nostrani Witchhunter al main stage. Il parterre sotto il palco gode di una discreta ombreggiatura nonostante siano ancora le 17.30. La band parte a martello con brani estratti da tutta la loro discografia che conta ben tre full-lenght. Il loro è un heavy/speed metal classico ma ben riconoscibile. Numerose le coreografie sul palco del vocalist e frontman Steve Di Leo, che fra una maschera demoniaca e un mantello vampiresco tira fuori dal microfono degli acuti fenomenali. L’atmosfera tra il pubblico è incendiata e sotto il palco si scatena una fantastica lotta di gonfiabili: cocomeri giganti, lama e chi più ne ha più ne metta. La scaletta prosegue speditissima e la voce del buon Steve taglia come un rasoio accompagnata dalla massiccia performance dei suoi sodali compagni di band.
Subito dopo di loro arrivano i Trivax, black metal band iraniana il cui frontman racconta brevemente il suo viaggio dalla sua terra natia al Regno Unito, con lo scopo unico di poter avere la libertà di essere un musicista metal. La scaletta parte ferocissima sin dal primo brano, la batteria incessante e velocissima le chitarre che alternano riff black/death metal a sonorità orientali coadiuvate dalla voce profonda e oscura del cantante sono i pilastri sonori del gruppo. Fra un brano e l’altro non passa neanche un secondo e sotto al palco il pogo è incessante. Qualche brano più lento e cadenzato concede un minimo respiro alla folla. Il set si conclude in un mare di sudore per la band che ha dato il 100% fino all’ultimissimo riff scuotendo il suolo del Tikitaka Village dalle fondamenta.
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Il sole è ormai sceso ormai e l’aria qui al Frantic si rinfresca in maniera piacevole, ci dirigiamo nuovamente sotto il main stage già pronto per ospitare il visionario ingegnere Tristan Shone, mastermind del progetto industrial-drone Author&Punisher.
Sul palco non troviamo strumenti canonici per un festival metal, bensì troviamo un tavolo ricoperto di apparecchiature elettroniche che sembrano provenire dal futuro. Si presenta dietro questa “consolle” mr. Shone e in pochi secondi il set parte. Parliamo di un drone metal industriale misto a doom, i colpi di basso sono dati da una sorta di braccio meccanico che Tristan indossa e utilizza per colpire un ricevitore. La sua voce passa per ben tre microfoni, alternandosi da lenta e onirica fino a trasformarsi in scream e growl che sembrano opera di un androide, di supporto oltre ai suoi strumenti (costruiti da se) c’è solo una chitarra. Il concerto è un viaggio e, per chi scrive, è stata un’esperienza davvero memorabile, le sonorità elettroniche, quasi magiche, raccolte in una sorta di bozzolo metal industriale sono un unicum nel panorama.
Dopo la sua performance ci concediamo una mezz’ora di pausa approfittando per mangiare e bere qualcosa. I panini degli stand del food sono grandi come delle utilitarie pronti a saziare qualsiasi metalhead. Dopo esserci rifocillati ci dirigiamo per l’ennesima volta sotto il main stage, pronti per assistere alla performance tritaossa dei Terrorizer.
Impossibile non conoscere la devastante band di Los Angeles che dopo infiniti cambi di formazione e scioglimenti si presenta qui a Francavilla con intenzioni micidiali. Il palco è decorato con scheletri e catene, e in pochi secondi Brian Werner ha già il controllo su una platea che è riduttivo definire scatenata. Gli americani picchiano come fabbri sui loro strumenti e la voce del frontman entra fin dentro le viscere. Il pogo è inarrestabile e fa da cornice a brani come Storm of Stress e. Il cantante si concede un siparietto per caricare ulteriormente la folla ricordando che i suoi genitori hanno origine italiana.
Il set giunge al termine dopo 60 minuti di assoluto caos, soddisfatti ci allontaniamo dal main stage per assistere alla performance dei Darvaza: le due menti Omega e Wrath stanno già macinando note demoniache. Il loro è un black metal dal carattere ritualistico e dai suoni plumbei e profondi. Gli strumenti procedono spediti come macchine infernali facendoci sprofondare nel buio più assoluto, la voce di Wrath ci trascina nell’oblio più definitivo facendoci perdere quasi la cognizione del tempo. I 60 minuti di set scorrono velocissimi e allo stesso tempo sembrano esser stati infiniti. L’antipasto perfetto per la performance finale di questa giornata di Frantic, ovvero quella degli svedesi Marduk.
Il palco è pronto e dopo una breve intro strumentale i carri armati svedesi salgono sul palco e senza tanti convenevoli fanno ciò per cui sono venuti. La scaletta parte con una violenza inaudita, la voce acida e tagliente del frontman Daniel “Mortuus” Rostén è un marchio di fabbrica e il quartetto preme sull’acceleratore per tutta la durata del set. Il batterista Bloodhammer è più preciso di un orologio e più veloce di una mitragliatrice, alle sue spalle la gigantografia dell’album Memento Mori si staglia minacciosa. Il set prosegue spedito mentre sotto al palco si scatena un vero e proprio inferno di pogo.
I pezzi della scaletta appartengono a tutta la discografia, da World Funeral a Imago Mortis passando per Blood of the funeral e chiudendo con Wolves. Grande assente il brano bandiera della formazione, ovvero Panzer Division Marduk ma a parte questa scelta nella setlist, gli svedesi non si risparmiano e ci regalano una performance micidiale fino all’ultimo istante.
Un concerto memorabile che chiude la seconda giornata del Frantic Festival, che sin dalla prima ora ci ha dimostrato nuovamente quanto un progetto possa funzionare da cima a fondo se portato avanti da persone che credono nel profondo in ciò che fanno. Mentre salutiamo questa edizione, già si sente l’attesa per il prossimo anno, quando il Frantic Festival tornerà a sorprenderci e a farci scatenare.
Ci vediamo nel 2025, qui a Francavilla al Male.
Articolo di Federico Bianchini