Live Aid 36 anni dopo: il concerto che cambiò il mondo
Buon compleanno Live Aid. 36 anni sono passati da quello che, per molti, è stato il più grande evento rock della storia. 2 miliardi di telespettatori in tutto il mondo, che vedevano realizzarsi l’incredibile e, fino ad allora, utopica idea partorita dalle geniali menti di Bob Geldof e Midge Ure, corsi in soccorso di un’Etiopia devastata dalle carestie. All’appello dei due musicisti risposero in molti, quasi tutti.
A darsi il cambio sui palchi di Londra e Filadelfia, infatti, in una maratona di ben 16 ore di grande musica, i maggiori artisti dell’epoca: da David Bowie ai Duran Duran, dalla reunion dei Black Sabbath di Ozzy Osbourne ad Elton John, da George Michael ai Dire Straits. E ancora Madonna, Kenny Loggins, i Beach Boys, Bryan Adams e Joan Baez, Bryan Ferry accompagnato da David Gilmour, fino agli INXS del compianto Michael Hutchence, in diretta da Melbourne.
Un evento memorabile che consacrò la figura di Freddie Mercury come il frontman per antonomasia e inarrivabile per chiunque. Venti minuti sono bastati, infatti, alla band della Regina, per sovrastare le pur eccelse esibizioni degli altri artisti partecipanti. I Queen suonarono nell’ordine Bohemian Rapsody, Radio Ga Ga, Hammer to fall, Crazy little thing called love, We will rock you e We are the champions. Un’esibizione che rimarrà nella storia e che surclassò addirittura quella degli U2 e di uno scatenato Bono Vox che, improvvisatosi ballerino con una ragazza del pubblico, costrinse agli straordinari il chitarrista The Edge il quale portò la durata di Bad a ben 12 minuti, a fronte dei 5:53 originali.
Lo spirito e la solidarietà che univa gli artisti del Live Aid, in quella giornata, era tenuta su da una magia che si respirava ben viva tra le note. Con Bob Dylan che, preso a suonare Blowin’ in the wind, ruppe una corda della chitarra e Ronnie Woods dei Rolling Stones che gli prestò la sua, continuando l’esibizione a mani vuote e mimando le movenze di Pete Townsend degli The Who.
Con un Phil Collins che si trovò a suonare a Londra, per poi volare diretto verso il JFK Stadium di Filadelfia su un Concorde. Sul volo della British Airways, il batterista dei Genesis incontrò una Cher ignara di quanto stesse succedendo, e che fu tirata dentro al progetto in extremis, tanto da esibirsi con gli artisti di USA for Africa nella We are the world che chiuse l’evento americano. Sul palco di Wembley, invece, gli artisti del Live Aid intonarono quello che sarebbe diventato l’inno della manifestazione: Do they know it’s Christmas.
Una giornata da brividi in grado di far venire la pelle d’oca ancora oggi che, a 36 anni da allora e con le distanze continentali azzerate grazie alla tecnologia e a causa della pandemia globale, trasmetteva una magia che da lì in poi non si sarebbe mai più replicata.