L’intervista: The Cinelli Brothers, le prossime star del blues internazionale
Ascoltati qualche anno fa in modo del tutto casuale in un club londinese, i The Cinelli Brothers si stanno rapidamente ritagliando uno spazio importante nel panorama musicale inglese e internazionale del blues (e dintorni). Lo scorso 15 luglio, dopo il rilascio del video del loro nuovo singolo “Spell on me”, hanno superato in soli due giorni le 100.000 visualizzazioni, un dato certo non indifferente per una band emergente e in questo particolare periodo storico.
Come se non bastasse, quest’anno hanno raggiunto il secondo posto nel prestigioso International Blues Challenge di Memphis, dopo essersi aggiudicati lo UK Blues Challenge dello scorso anno ed aver ottenuto una nomination agli UK Blues Awards sempre del 2022 con il loro terzo album “No Country for Bluesmen”. Risultati ancor più significativi se si pensa che il combo londinese è stato messo su poco più di un lustro fa dai fratelli Marco e Alessandro Cinelli, due ragazzi di Latina che hanno scelto di tentare l’avventura fuori dai nostri confini per difendere, oltre che inseguire, il loro sogno professionale (e artistico) e hanno scelto di farlo in una delle capitali per eccellenza della musica mondiale.
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È stato quindi un vero piacere poter rivolgere qualche domanda a Marco, chitarra, tastiere e voce dei The Cinelli Brothers, che un mostro sacro come Iggy Pop, dopo averlo visto in azione dal vivo, non ha esitato a definire “una futura rock-star”.
Partiamo da quello che, ad occhio, potremmo considerare il riconoscimento più importante che avete ricevuto fino ad ora, il secondo posto all’International Blues Challenge di quest’anno (alle spalle del prodigioso Mathias Lattin): ora che il vostro status internazionale è definitivamente sancito, qual è il prossimo obiettivo?
Sicuramente non quello di partecipare ad altre competizioni internazionali a tema tipo questa! Dopo Memphis e la Polonia penso di poter dire che per quanto riguarda i challenge musicali abbiamo già abbondantemente dato. Il nostro prossimo obiettivo è innanzitutto quello di crescere come band (oltre ai due fratelli Cinelli, ci sono Tom Julian Jones armonica, chitarra e voce e Stephen Giry basso, chitarra e voce). Ci sono molti traguardi che vogliamo raggiungere nel prossimo anno e uno dei primi è senza dubbio quello di accrescere il nostro fan base.
La tua formazione “scolastica” è avvenuta al St Louis di Roma, ormai un bel po’ di anni fa. Ci puoi dire quanto, secondo te, questo tipo di percorso di studio “canonico” sia stato determinante nel tuo essere musicista oggi e quanto invece abbia pesato la tua personale ricerca sullo strumento e il tuo impegno al di fuori delle aule e delle lezioni?
Il fatto di aver frequentato una scuola è servito principalmente a me stesso, ad esser sinceri. Mi sono sempre ritenuto un “intellettuale” in ambito musicale e sin dall’inizio della mia avventura a sette note, ho sempre pensato fosse molto importante avere una formazione di alto livello, anche se ritengo che frequentare una scuola di musica non sia indispensabile per diventare un grande musicista. Considerando quello che sto suonando oggi con i Cinelli Brothers, si potrebbe affermare che mi sia servita poco, ma aver avuto una formazione di quel tipo certo mi ha aiutato a familiarizzare e a esser capace di suonare strumenti differenti in un lasso di tempo relativamente breve rispetto a quello che avrei impiegato se non l’avessi frequentata. Io sono una persona che ha per natura un approccio molto empirico.
Sempre rimanendo, più o meno, nell’ambito: molti tuoi colleghi italiani, perlomeno quelli che “ce la fanno”, dopo essersi diplomati in certe scuole, si adattano a fare i turnisti per cantanti o band sideralmente lontani da quella che magari hanno considerato la propria vocazione fino al giorno prima. Tu come hai fatto a proteggere il tuo sogno e quando hai capito che era ora di partire e cercare fortuna altrove? E, fondamentale, pensi che questo stato di cose e di fatto che costringe chi vuole suonare la sua musica a emigrare potrà essere ribaltato un giorno dalle nostre parti?
Questo è senza dubbio un argomento delicato, la cui risposta può variare e di molto a seconda di quale musicista viene interpellato al riguardo. Quando ho cominciato la mia carriera è capitato anche a me di fare il turnista, però mi sono presto reso conto che quello che davvero mi interessava era di diventare un compositore e un artista. Credo che esista una linea sottile che separa il lavoro definiamolo “da artigiano” da quello propriamente di artista e credo chiunque suoni, prima o poi, si trovi di fronte al dilemma se perseverare e dedicarsi anima e corpo alla sua musica, oppure scegliere la carriera di session man. Per quanto mi riguarda, il fatto di essere andato via dall’Italia mi ha fatto molto bene, ma questo vale solo me, Marco Cinelli. Molta altra gente rimane in Italia ed è soddisfatta di quello che fa.
Come ci si sente quando una leggenda come Iggy Pop ti definisce “una futura rockstar”? E, soprattutto, ti piacerebbe davvero esserlo (con tutti gli annessi e connessi legati alla fama che comporterebbe)?
È sempre bello sentire qualcuno come Iggy Pop dire certe cose di te. In tutta onestà, nel mio piccolo io mi sono sempre sentito una rockstar, anche se, tanto per dirne una, non ho mai avuto una lira né mi sono mai drogato. Io credo che esserlo riposi perlopiù sul coltivare con costanza un certo spirito di adattamento alla quotidianità e sul fare certe considerazioni “di vita” in generale. Io so vivere di eccessi, so vivere isolandomi, sono bravo nel coltivare la mia personalità e ad apparire in un modo che credo possa ispirare le persone. Mi sento un bravo performer e ritengo di avere qualcosa da dire ogni volta che salgo su un palco. Questa consapevolezza, per me, è già abbastanza per sentirmi una rockstar. Magari sono solo rock, senza star!
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Ci puoi raccontare come nasce una canzone dei The Cinelli Brothers? Avete un modus operandi ricorrente? E da quando hai imparato a suonare anche le tastiere il processo ha in qualche modo subito dei cambiamenti?
Il fatto che io ora sappia suonare l’organo e pianoforte ha influenzato molto il processo compositivo della band. Si può dire che l’ho composto praticamente tutto sulle tastiere. Suono la chitarra su una canzone sola, adesso. In ogni caso, non ci sono regole fisse su come comporre una canzone nel nostro gruppo. L’idea può partire da me, da altri, da tutti insieme, da una parola, da un riff, da una jam, da una suggestione anche nebulosa. Molte delle canzoni dei The Cinelli Brothers sono nate da un’ispirazione improvvisa che è venuta di punto in bianco mentre stavo cucinando, o guidando, o…in bagno!
Quando tu e tuo fratello avete unito le vostre forze per tirar su questo progetto, hai pensato che avrebbe potuto essere longevo o lo consideravi magari un salto nel buio, con la ulteriore difficoltà di dover dividere le difficoltà di lanciarlo con un tuo parente prossimo? In che modo riuscite a tenere separato il discorso musicale dalle altre cose della everyday life?
Adesso purtroppo non riusciamo a separare la vita di tutti giorni dal lavoro. È tutto mischiato, anche se spero che a breve le cose possano cambiare. C’è molto da fare in questo momento e ne siamo tutti e due pienamente consapevoli. Da quando il progetto ha preso vita, ho sempre pensato e sperato che fosse destinato a grandi traguardi. Ti racconto un aneddoto: un giorno consultai un’astrologa che lesse le carte astrali del mio futuro. Beh, mi disse che nei miei astri vedeva un avvenire roseo, anzi, aureo, a patto che fossi rimasto insieme a mio fratello. Sono perciò convinto che abbiamo in qualche modo il destino dalla nostra!
Il blues che suonate è molto rootsy ma non difetta di incursioni in una certa “modernità” di sound abbastanza tangibile. Come si coniugano le, in qualche modo, ferree regole del genere (anche “morali”) con le aperture sonore e mentali verso altre realtà a sette note? E come credi si possano trasformare in un futuro prossimo i The Cinelli Brothers?
Per come la vedo io, il processo di cambiamento, di passaggio, tra il blues e il nostro sound attuale è venuto fuori in modo del tutto naturale. Noi in realtà non ci siamo fatti mai tante domande su cosa suonare o come suonarlo. Abbiamo soltanto una sorta di “codice d’onore” di lasciar vivo in quello che facciamo un elemento bluesy. Se però un giorno, in quello che potrebbe essere un ulteriore processo di trasformazione, questo elemento si perderà, pazienza. Per noi è importante suonare qualcosa che ci renda orgogliosi e il blues è un genere che, al momento, ci rende orgogliosi. Le “questioni morali” le lasciamo agli esperti, noi siamo soltanto dei performer.
La musica che suonate ha bisogno, per definizione verrebbe da dire, di un vissuto importante, di una vita davvero…vissuta e non fatalmente mediata nella sua “essenza” dai social come accade oggi. In che cosa vai a ricercare quella verità necessaria ad animare il tuo “blues” e, anche alla luce di questo, quali artisti (di ieri e di oggi) consideri dei riferimenti imprescindibili?
Beh, diciamo che tutti i nostri riferimenti sono quelli a cui la gente ci associa spesso. Come dici tu è impossibile avere una band che investe sul sound senza passare per le grandi band degli anni ’70 dello scorso secolo, anche se non crediamo nell’emulazione pedissequa dei nostri eroi. Francamente, se mi chiedessi di dirti quale sia la top five dei miei musicisti preferiti non saprei proprio cosa dirti in questo momento. Per me è tutta una questione di vibrazioni, di stati d’animo, e quando riascolto il sound che produco mi vengono in mente i Beatles, The Band, Paul Butterfield Blues Band, gli Animals, Spencer Davis Group.
Domanda di chiusura inevitabile ma importantissima? Quando e dove vi rivedremo su un palco italiano o limitrofo, prossimamente?
Per ora 18 luglio al Vallemaggia Magic Blues, nel sud della Svizzera. Venite numerosi!
Visitate il loro sito: www.cinellibrothers.com