[L’intervista] – Massimiliano Vado al Teatro Belli tra ironia, sesso e leggerezza
In occasione della rassegna Expo –Teatro Italiano Contemporaneo al Teatro Belli andrà in scena “A cosa serve essere belli dentro se poi nessuno ci entra“ dal 5 al 7 marzo.
Nello spettacolo di Massimiliano Vado, tre storiche amiche sono alle prese con le figure maschili che ruotano attorno alle loro vite. Il sesso è il filo conduttore delle storie delle tre giovani donne: un tema sul quale non si finisce mai di parlare, che in questa rappresentazione viene proposto con leggerezza e ironia, “sublimato” a momento fondamentale della vita nonostante tutte le conseguenze che ne possono derivare.
Massimiliano Vado realizza un’irriverente indagine negli abissi dell’intimo femminile, attraverso una drammaturgia divertente e piena di umorismo.
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L’intervista a Massimiliano Vado
Come nasce lo spettacolo “A cosa serve essere belli dentro se poi nessuno ci entra“?
Lo spettacolo nasce almeno 15 anni fa per un’esigenza personale, una fatale autobiografia da più punti di vista, e su richiesta di un attore catanese che gestiva un teatro dove voleva farmi debuttare per un monologo.
È evidente che poi la scrittura è stata più volte manipolata e ripresa in mano, fino a diventare il testo che è ora. Ma nasce come una mia prima necessità espressiva, traslata ovviamente lontano anni luce da qualsiasi mio controllo. Un temporale necessario.
Come si caratterizzano le tre protagoniste? C’è un motivo per cui non hanno un nome?
Le tre protagoniste assumono, così come avviene nella recitazione contemporanea, i connotati e il vissuto di chi le interpreta. Certe sfumature che riescono a dare Giulia Fiume, Lara Balbo e Francesca Bellucci, io non me le ero neanche immaginate! Ed è una cosa bellissima.. Non hanno nome perché così le può fare chiunque, uomini compresi. Se avessi troppo specificato avrei comunque creato un canale, e non è più tempo di didascalie.
Si è ispirato a qualcuno o a qualche personaggio per addentrarsi nella psiche di tre donne diverse?
È tutto nella mia testa. Purtroppo.
Sul palco c’è anche un unico personaggio maschile: come si relaziona con le protagoniste?
Diventando tre uomini diversi, desiderosi di carisma. In più, grazie al suo talento musicale, raccorda i momenti dello spettacolo lasciando un attimo di respiro per il pubblico.
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Ha riscontrato delle difficoltà, in quanto uomo, nel portare in scena il punto di vista femminile sul sesso?
Non trovo mai difficoltà a rapportarmi con il sesso opposto, anzi semmai una delle caratteristiche che mi contraddistingue come attore e regista è quello di saper dirigere e capire meglio le attrici donne rispetto agli uomini. Se penso a Stefania e Amanda Sandrelli, Ornella Muti, Claudia Gerini, Serena Iansiti, Cristiana Vaccaro, Maria Grazia Cucinotta, Tosca D’Aquino, Martina Colombari, Vittoria Belvedere, Giulia Nervi, Emy Bergamo, tanto per fare un esempio, o Monica Guerritore come sta succedendo in questi giorni, so che posso essere il compagno di scena o il consulente d’arte perfetto per loro. Le capisco e non le sovrasto. Tanto vale mettere a disposizione della differenza questa mia intraprendenza.
Ha invece scoperto qualcosa di nuovo confrontandosi con le attrici?
Ad ogni messa in scena, e questa è la terza con loro tre, scopro qualcosa di nuovo. È la caratteristica che contraddistingue le attrici che hanno studiato partendo da un talento rispetto a quelle che fanno questo mestiere per altri motivi meno interessanti. Sono persone che stimo, tra le più brave della loro generazione. Averle è privilegio.
“A cosa serve essere belli dentro se poi nessuno ci entra” può essere definito uno spettacolo “impegnato”? O si tratta di pura comicità?
Non amo e non ho mai fatto assolutamente nulla per avere un effetto puramente comico. O c’è un significato profondo oppure non fa per me e non mi rappresenta in alcun modo. Trovo che la comicità fino a se stessa sia tempo perso.
A che tipo di pubblico si rivolge?
Agli uomini che non capiscono le donne e alle donne che non capiscono se stesse. Ma spero che ci caschi anche chi ha una conoscenza maggiore delle dinamiche del genere umano.
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Nel 2024 tre donne che parlano tranquillamente di sesso possono risultare ancora un argomento scabroso: la comicità è l’unico modo per superare il taboo?
L’argomento non è il centro di questo spettacolo ma il modo in cui l’argomento viene trattato. Se qualcuno ancora si scandalizza nel sentir parlare di sesso è decisamente un problema suo. Più che un problema una grave insipienza.
In realtà quello di cui si parla è l’anima all’interno del rapporto, non la parte carnale. Di quanto una persona possa rimanere male, farsi male, desiderare il male, curare il male, e di quanto anche senza farlo volontariamente, si possa far male a qualcun altro. Più che di sesso si parla di dolore. Per questo è un autobiografia…
Ha già progetti per il futuro?
Finisco la tournée di Ginger e Fred con Monica Guerritore, che ci ha portato con risultati incredibili nei teatri di tutta Italia, e comincio la regia della terza edizione di Fiori d’acciaio, con Barbara de Rossi e Martina Colombari. Mi piacerebbe terminare un progetto che avevo cominciato con Sandra Milo…