L’intervista: Lello Arena porta in scena Aspettando Godot e riflette sulla comicità: “Ci sono attori comici e attori spiritosi”
Nel 1975, a ventidue anni dalla prima assoluta parigina di En attendant Godot, Samuel Beckett ritorna sul testo che lo ha reso famoso, per realizzare una sua regia in lingua tedesca, allo Schiller Theater di Berlino. Con oltre un ventennio di esperienza alle spalle, Beckett decide di «dare forma alla confusione» del testo originale.
A riprendere quella confusione e revisione drammaturgica, con nuovi profumi e sfondi, Lello Arena e Massimo Andrei (che ne cura anche la regia), tra i protagonisti domani 22 gennaio (ore 18) al Teatro Talia di Tagliacozzo dell’allestimento di “Aspettando Godot”, coprodotto dal Teatro Cilea Di Napoli e La Contrada Teatro Stabile di Trieste, con la volontà di riportare l’azione scenica, scenografica e testuale di questo capolavoro alle intenzioni più segrete ed intime del suo autore.
Un “Aspettando Godot” quindi come lo aveva sempre voluto Beckett, ma che acquista nuovi profumi e un punto di vista diverso proprio quando entra in contatto con il Dna dei figli di una città – Napoli – che ha presto dovuto imparare il senso tragicomico dell’attesa.
L’attesa di un nuovo invasore che scacci un vecchio tiranno, quella per la liquefazione del sangue del suo santo patrono a conferma della sua presenza e protezione, quella del terremoto pronto a distruggere case e certezze, quella dell’eruzione del vulcano bisbigliata e scongiurata nelle preghiere tra i riccioli di marmo del barocco e le volte d’oro delle chiese.
Aspettare Godot in un una strada di campagna alle falde del Vesuvio può avere altre tensioni, altri smarrimenti, la stessa tragica inutilità.
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Il Vesuvio e una strada desolata della campagna napoletana fanno da sfondo a questo allestimento di “Aspettando Godot”: cosa hanno in comune Beckett e Napoli? come nasce l’idea di riadattare questo testo?
Hanno in comune, ad esempio, il fatto che tutti gli accenti, come Beckett voleva, vengono cambiati. Pur avendo scritto il primo testo in francese e tutti quanti noi abbiamo sempre detto Godòt, perchè quella era la versione che veniva dalla lettura francese del testo, in realtà Beckett ha sempre chiesto di accentare la parola con Gòdot perchè voleva che si sentisse la parola ‘Dio’, che non vuol dire granchè anche per lui, ma gli piaceva questa cosa. Sicuramente questa è una delle prime similitudini: noi non andiamo negli hotèl ma negli hòtel, non mangiamo yògurt, ma yogùrt, piazza Cavoùr è piazza Càvour.
Saremmo stati simpatici a Beckett non fosse altro per questa abitudine! La città di Napoli da sempre è stata abituata a vivere in questa situazione di attesa tragica che viene raccontata in questo testo straordinario: passiamo dall’attesa del miracolo di S. Gennaro all’allenza con un nuovo tiranno che cacci un vecchio tiranno, oppure all’attesa di un nuovo terremoto.
È una città che tragicamente è abituata a queste attese, ma una città capace, come fanno Vladimiro ed Estragone, di intrattenersi in questa attesa e riempire questo vuoto che sarebbe tragico. Invece giochi di espedienti fanno sì che questa attesa non pesi come dovrebbe pesare e questo Napoli lo sa fare bene, considerata la quantità di artisti che ha prodotto nel tempo, sinonimo, a mio avviso, di saper reagire a questa attesa tragica, producendo invece bellezza, sostegno, reazione e movimento. Sono quindi caratteristiche che somigliano a Vladimiro ed Estragone che stanno lì ad aspettare, ma che sono invece capaci di stare insieme, invece che da soli, e stando insieme, assistersi l’un l’altro per questa impresa che non finisce mai, perchè Gòdot non viene. Hanno compreso che insieme, pur condividendo le diversità che ognuno di noi ha, è possibile sopportare meglio questo disagio.
Potremmo, quindi, pensare che sia questo il messaggio dello spettacolo?
Il problema è che Beckett messaggi non ne voleva trasmettere…
Lui rende l’attesa protagonista del testo..
Lui sosteneva che siamo relegati alla condizione dell’attesa e lui l’ha voluta solo raccontare. Non ha voluto rivelare chi fosse Godot o chi può essere o dire qualcosa sull’attesa. Nel farlo ha scritto uno dei capolavori straordinari del nostro teatro contemporaneo. Forse basta questo.
La confusione che ogni tanto emerge dal testo rappresenta anche la vita degli esseri umani..
Penso che se il teatro deve servire a qualcosa, deve servire anche come funzione sociale a farci capire che siamo così. Vladimiro ed Estragone siamo noi. Questa attesa riguarda tutti, che non sei l’unico sfigato che sta aspettando Gòdot. Stiamo tutti quanti insieme e questo può aiutare.
Nell’allestimento, entrando il testo a contatto con le caratteristiche di un territorio, quale quello napoletano, che tipo di comicità è messa in scena?
Beckett, che ha scritto tra l’altro un adattamento di un altro suo spettacolo che si chiamava ‘Finale di partita’ per Stanlio & Ollio, è un autore che amava molto il fatto che le sue tragedie contemporanee fossero raccontate da comici e non, come spesso è accaduto, da attori classici. Si aspetta che i suoi personaggi si agitino in maniera buffa, che non siano padroni della situazione. Per cui, essendo io un comico non pentito (ride ndr) e avendo vicino a me un gruppo di persone ben istruite sulla comicità, tra cui Massimo Andrei, grande artista e comedian, le occasioni di comicità sono state tutte consentite, non abbiamo voluto rendere i protagonisti padroni della situazione. Sono gli ultimi della fila, non hanno dignità, non pensano di dover dire cose importanti e quello che dicono serve solo per uscire da questa situazione di impasse terribile: più si sbattono e si danno da fare, più fanno ridere.
Lo spettacolo, pur essendo giocato sull’assurdo e rispettando il testo originale, si comprende e si capisce. Questo è sicuramente un merito del nostro allestimento. Perchè lo dico? perchè spesso Beckett viene assecondato in questa sua logica dell’assurdo mentre invece quando cerchi di rendere ragionevole l’assurdo ci rendiamo conto che è quello che accade a noi tutti quotidianamente. L’idea che si racconti questa attesa di oggi, accompagnata da cervelli che vanno un pò a corrente alternata, per diverse ragioni, rende molto attuale il testo. È stata una buona idea metterlo in scena adesso e dalle reazioni che si sono avute dalle diverse recite fatte finora, abbiamo notato che le persone molto volentieri ridono di uno spettacolo che, sì, è un capolavoro del teatro dell’assurdo, ma che curiosamente oggi è facile da capire.
Com’è cambiata la comicità in Italia negli ultimi anni?
Il problema è che la comicità non cambia, nel senso che il comico deve far ridere, quindi se non fa ridere non funziona. Non produce però dei comici capaci di intercettare la necessità di divertimento del pubblico. Inoltre i comici hanno una disgrazia, ovvero il fatto che i propri errori sono sociali: se un attore drammatico interpreta male un monologo non è detto che tutti a teatro percepiscano allo stesso modo l’errore, per il comico è diverso. Se fa una battuta e la platea non ride, il comico ha sbagliato la battuta. È cambiato secondo me un modo di pensare che un comico può forse salire su un palcoscenico anche non facendo ridere la gente, ma facendola sorridere. Abbiamo tanti comici che fanno i simpatici o gli spiritosi ma il comico è altro. Il comico ti far star male e se è veramente in azione ti mette in una condizione più simile a quella tecnica dell’orgasmo: ti fa alzare la pressione, ti fa lacrime gli occhi, ti fa sudare.
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