L’intervista. Lazzaro: le mie canzoni, diapositive di vita
“È ora di andare” è l’album d’esordio del cantante, pianista e autore Lazzaro che, dopo aver accumulato una lunga esperienza sui palchi di tutta la penisola, aprendo ad artisti italiani e internazionali come Eagle-Eye Cherry, arriva a pubblicare un lavoro maturo e consapevole, prodotto dall’arrangiatore e sound designer Taketo Gohara e registrato con la partecipazione di musicisti importantissimi. “È ora di andare” è una raccolta di diapositive che raccontano una vita fatta di slanci e fragilità, tra parole sprezzanti urlate al vento e intime confessioni personali in cui il cantautore si mette a nudo senza provare a nascondersi. Ecco cosa ci ha raccontato…
Cosa c’è dietro la scelta di questo nome d’arte?
È una sorta di trasformazione di quello che era il mio primo nome d’arte, Leo Lazz, che arrivava dal soprannome di famiglia. Andando via dalla dalla mia terra d’origine, la Puglia, e trasferendomi a Milano, volevo mantenere un po’ le mie radici nel nome che ho scelto per il mio nuovo percorso, un nome che fosse immediato più riconoscibile. Studiando un po’ di soluzioni, è venuto fuori Lazzaro. Che poi era perfetto per l’idea che avevamo insieme alla mia etichetta, Solid Records, di fare un primo disco che fosse fortemente evocativo, che rappresentasse un’idea di rinascita dopo anni un po’ complicati.
In ‘Pierrot e un Pagliaccio’ canta “Il mondo è tutto un circo, nessuno sa chi sei”.. chi è Lazzaro? E chi è Leonardo?
Lazzaro è solo l’alter ego artistico di Leonardo, è quello che si mette il cappello prima di salire sul palco, ma sotto c’è sempre Leonardo. Che è un uomo adulto, con il vissuto di tutti i giorni di qualsiasi uomo comune, con le sue fatiche e le sue gioie, con grandi consapevolezze acquisite negli anni ma anche enormi fragilità. Lazzaro non fa altro che elaborarle e metterle in canzone.
In che senso il suo album “È ora di andare” è una “raccolta di diapositive”?
Perché ogni canzone rappresenta un istante ben preciso della mia vita, episodio fondamentali nel mio percorso di uomo, prima che di artista. La fine di una storia importante, il rapporto con persone a me molto vicine, da mia sorella ai miei amici e collaboratori. Al rapporto che ho con la mia terra d’origine a quello che ho con il mio quotidiano lavoro di insegnante, al mio rapporto con me stesso e con le persone che vivo e con cui mi confronto, specie della mia generazione. E sì, a modo suo ogni canzone di questo disco potrebbe rappresentare una fotografia.
Sulla copertina del disco e in diversi videoclip le acque profonde sembrano fare da protagonista. Una metafora per la vita?
Una metafora della mia vita e del legame che ho con il mare. Toccare il fondo e risalire, che sia per un tuffo liberatorio in piena estate o che sia semplicemente un modo per rappresentare la vita nelle sue difficoltà: toccare il fondo, darsi una spinta perché poi si può solo risalire verso la luce. A modo suo ognuno tocca il fondo, magari scopre anche delle cose di se che non sapeva, e da lì sa solo che può essere migliore.
“Scrivo canzoni per nostalgia o pentimento. Per imparare a non morire nelle storie che trascino o soltanto per averti più vicino” canta in ‘Ancora un po’ di te’. È l’amore a far nascere i suoi brani?
È l’amore che ho per la vita che mi fa scrivere, non solo l’amore inteso come rapporto a due. Per me amore è riuscire ancora a meravigliarsi delle piccole cose e per fortuna continuo a conservare questa capacità. L’amore in tutte le sue sfaccettature e declinazioni, per quello che faccio, per le persone che mi vogliono bene, e anche per le cose che finiscono, perché “Ancora un po’ di te” parla proprio di questo: scoprire l’amore anche quando sai che ti è sfuggito di mano, e chissà cosa resterà…
In tutte le canzoni di “È ora di andare” sembra mettersi davvero a nudo. Quando e come ha capito di riuscire a esprimersi a pieno attraverso la musica?
Intorno alla fine dei vent’anni ho preso consapevolezza di non aver paura di mettere in parole e musica le mie emozioni e le mie fragilità che poi di contro, tutto questo, è diventata la mia forza e mi ha fatto sentire più sicuro in mezzo al mondo. Ho cominciato come autore per i progetti di cui ero parte solo come musicista, mettendo da parte un po’ il mio essere cantante, anche se ho sempre cantato. Ma ad un certo punto ho capito che era arrivato il momento anche di dare voce a quello che scrivevo ed eccomi qua.
Leggi anche: L’intervista: i selflore presentano “L’immagine che ho di me”, il loro primo album
In “Noi” troviamo il ritratto di una generazione solitaria e instabile, “fuori moda e fuori posto” ma talmente sognatrice da non poter cedere alla disillusione. Qual è il sogno di Lazzaro?
Quello di poter continuare a sognare attraverso la musica, di poter raccontare storie in cui sempre più persone possano ritrovarsi, perché secondo me non vale il principio che si scrive per se stessi, si scrive per sentirsi anche meno soli, se qualcuno ci si ritrova nelle canzoni che scrivi. Poi io sono un sognatore seriale e ne ho talmente tanti che ho perso il conto!
Le sue canzoni sono molto autobiografiche e l’intero album sembra un invito a riconoscersi nei suoi brani. Lei in quali brani e autori si riconosce? C’è una canzone altrui in cui si identifica?
Autori e brani in cui mi sono riconosciuto nella mia vita che non credo di ricordarmeli tutti, ci sono sicuramente dei capisaldi imprescindibili, da Dalla, Battisti, De Andrè per andare indietro nel tempo, all’intramontabile Vasco, Cremonini e Andrea Lazslo de Simone per citare dei contemporanei. Poi ho ascoltato tantissima musica inglese e americana nella mia vita, Stevie Wonder mi ha cambiato completamente il modo di cantare, Elton John quello di approcciare al mio strumento, il pianoforte. I Pink Floyd, i Beatles, Joe Cocker, i Led Zeppelin mi hanno folgorato da ragazzino. E non li sto elencando tutti, sperando di non fare torto a nessuno! Ma se c’è un brano che negli ultimi dieci anni almeno mi fa emozionare tantissimo ogni volta che lo ascolto o che lo canto io è “Into my arms” di Nick Cave… Faccio fatica a trattenere le lacrime.
Foto: Alessio Nobiletti