L’intervista. L’addio alle scene di Francesca Benedetti: “l’Erodiade è il testo della mia vita”

Il Teatro Vascello di Roma si prepara ad ospitare due serate-evento (martedì 25 e mercoledì 26 marzo) per consacrare la sessantennale carriera di un’attrice unica come Francesca Benedetti, che darà l’addio alle scene interpretando il monologo “Erodiade“.
Musa di Giovanni Testori – che scrisse il “Macbetto” (1974) cucendo il ruolo di Lady Macbeth addosso alla sua personalità di fuoriclasse -, è un’icona del teatro italiano di oggi da far conoscere ai giovani attraverso la lettura contemporanea di un mito classico.
“Erodiade“
Francesca Benedetti, seduta su un trono rosso sangue simbolico di una finzione continuamente dichiarata dall’autore, affronta la scrittura testoriana facendosi carne e sangue di un personaggio controverso e trasgressivo come Erodiade, che oggi si fa vittima più che carnefice.
Il mito di Erodiade per Giovanni Testori, uno degli autori più significativi del panorama letterario e teatrale italiano, si fa corpo, metà Dio e metà donna scoprendo il lato ambiguo e fluido della sua virilità.
Viene messa al centro di uno scandalo politico e diventa protagonista di una storia d’amore che sa di orrore e carne. “Erodiade” è un pugno alzato contro il cielo, un grido strozzato in gola, forte, aspro, verso un interlocutore sfuggente, un Dio, un Cristo fatto uomo, divenuto amante.
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Una sinfonia di parole amare e allo stesso tempo sublimi, erotiche ed evocative, con le quali il poeta scava nel profondo, in perpetuo conflitto tra la sua sfrenata voglia di libertà di espressione e l’educazione cattolica di un’Italia borghese, in cui la blasfemia e la carnalità di Testori squarciano lo stomaco ed il cuore creando un conflitto di religione.
Alla vigilia dell’ultima messa in scena di Francesca Benedetti, diretta da Marco Carniti per le due serate evento al Teatro Vascello di Roma, abbiamo raggiunto telefonicamente l’attrice per un’intervista.
Intervista a Francesca Benedetti
Quella con Francesca Benedetti è stata un’intervista a dir poco intensa. Ascoltandola raccontare e così fortemente sentire la storia della sua Erodiade e la propria, è piacevole percepire come la Benedetti ricerchi accuratamente le giuste parole per riuscire a trasmetterne l’intensità. La sua istrionica e amatissima voce riempie anche la distanza telefonica al punto che sembra di vederla gesticolare e fluttuare sul palcoscenico.
Le risposte dell’attrice non sono, però, solo una messa in scena delle proprie doti attoriali. C’è una tale autenticità nel modo in cui Francesca Benedetti ci lascia entrare – anzi ci amorevolmente accompagna – in punta di piedi nel suo universo: ci apre il baule dei ricordi, ricco di aneddoti e di emozioni collezionati in una sessantennale carriera che volge al termine.
Eppure c’è ancora un febbrile entusiasmo nella sua voce e una palpabile emozione nel descrivere il proprio amore per il teatro, tale che chi scrive non nasconde di essersi emozionata più volte.
Perché quella di Francesca Benedetti è una voce che non si vorrebbe mai smettere di ascoltare, quella di una donna vulcanica che ha ancora così tanta sete di futuro, di trasmettere tutto il suo bagaglio e soprattutto sperimentare, mettersi in gioco ed emozionare ogni singolo spettatore.
Si potrebbe scriverne all’infinito, ma è bene lasciare la parola a Francesca Benedetti, nella speranza di riuscire a trasmettere ai lettori almeno una parte delle emozioni suscitate da un breve ma intenso, intimo confronto con una leggenda vivente della storia del teatro italiano.
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L’intervista
Qual è stato l’approccio di Marco Carniti al testo scritto da Testori? Sono state apportate modifiche?
Carniti ed io abbiamo saldamente tenuto in mano questa testo di cui Testori stesso dice “non è una rappresentazione o una recita, è una sequela di parole, un disperato estremo tentativo di sapere, una tremenda volontà di vivere, di resistere ancora un giorno, un’ora… anche quando questa recita sarà finita”. Quindi è un’enorme sequela di parole magiche, ficcanti, mostruose e sacre. Testori è un autore di una generosità immensa, un grandissimo poeta al quale sono molto legata. In questa versione c’è una piccola rimessa a punto, però mantenendo tutto l’effetto che lui voleva: la fluvialità, l’oratoriale, il profetico insieme alla quotidianità più trita e vile.
Qual è stato invece il suo rapporto personale con questo testo e con il ricordo di Testori?
Ho conosciuto Testori nel 1974, quando abbiamo eseguito per la prima volta il “Macbetto” al Teatro Franco Parenti di Milano. La pronuba di questo meraviglioso incontro sono stati Franco Parenti e Andrée Shammah: io ringrazio sempre Dio di aver creato questo legame con questo autore, che poi è diventato parte di me. E io parte di lui. Era un legame supremo, quasi un legame amoroso – anche se lui era rigidamente e fortemente omosessuale. Ma sai, gli amori si svolgono anche in zone non così precise e il nostro è stato un vero amore. Lo testimoniano anche delle meravigliose foto conservate a Casa Testori a Milano, scattate davanti ai suoi quadri, che sono quasi spietati e in qualche modo orrendi, perché rappresentano cose inqualificabili, peni strapazzati e vagine distrutte… opere miserabili e sacre, perché la cifra di Testori è proprio questa: la miserabilità e la sacralità.
Due aspetti che si ritrovano nell’“Erodiade”…
Assolutamente sì, è fatta di una passione amorosa e cruenta. È una donna che vuole avere la testa del Battista: in questa versione non è Salomè a volere la testa del Battista, ma la stessa Erodiade che adopera la figlia prostituendola al suo amante (Erode), regalandole tutto – il Regno, la corona, il letto. È una donna cruentissima, di una grande malvagità a volte, ma di una dolcezza incredibile che sentiamo nell’invocazione finale a Testori e al suo amante Iokanaan (Giovanni, il Battista ndr): una poesia straordinaria, fatta di amore e di desiderio ma quasi purificato. Finisce con questa dichiarazione:
Io non sono più Erodiade, nemmeno la sua parola. Sono soltanto un’ombra, l’umana bestemmia, e poi la cenere, il niente.
Cosa le ha lasciato questo personaggio e quanto invece c’è di Francesca Benedetti in questa Erodiade?
Siamo la stessa cosa: l’”Erodiade” è diventato il testo della mia vita. Quello che in qualche modo riassume tutto: da quei lontani anni Settanta, quando Testori ha scritto “Macbetto” (o meglio la Lady Macbeth) per me. Cosa c’è di me in questa Erodiade? Moltissimo, perché lui l’ha scritta proprio pensandomi. E anche lei mi ha lasciato molto, anche se poi ho attraversato tanti altri personaggi. In 91 anni di vita ho collaborato con i più grandi: Comelli, Missiroli, Trionfo, i cosiddetti sportificatori (perché erano quelli che usavano un linguaggio strano, diverso dagli altri), Ronconi, Strehler, Squarzina… però l’”Erodiade” è stata il mio approdo. In qualche modo mi certifica. E io certifico lei.
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E ora è tempo di bilanci…
Però io sono ancora giovane! A 91 anni mi sento tuttora piena di futuro – è incredibile, sì. Ho fatto grandissime cose, altre invece le rimpiango, altre ancora le schifo: il teatro è un mestiere molto complicato e a volte deludente, però la fiamma che c’è dentro… Oh, quella non si spegne mai! Perché è il teatro è una forte immagine della nostra vita, ma purificata e elevata ad altezze eccezionali… insomma il teatro è la mia vita.
Tra 14 film, 40 trasmissioni televisive, 20 programmi radiofonici e soprattutto oltre 100 rappresentazioni teatrali ce n’è qualcuna a cui si sente maggiormente legata?
Ci sono tre “episodi” fondamentali. Il primo è il festival di Gibellina, che ho fondato nel 1981 insieme a Emilio Isgrò e il grande sindaco Corrao. Un altro grandissimo traguardo è stato Strehler, un grandissimo maestro, cattivissimo con gli attori a volte, ma dedito a un teatro umano, sociale, diffusivo – un teatro di una bellezza formale, addirittura paradisiaca, il teatro più bello dello scorso secolo! E poi appunto il legame con Testori. Sì, sono i tre grandi avvenimenti della mia vita.
C’è invece una soddisfazione che non è riuscita a togliersi?
Quando avevo 22 anni mi sono ammalata e ho perso l’opportunità di essere protagonista in televisione per la regia Ferrero. Da quel momento si è creata una sorta di “rottura”. La televisione crea un rapporto più familiare con il pubblico… ecco, quello mi è un po’ mancato, non ho fatto abbastanza televisione.
Ha però attraversato ben sei decenni calcando sul palco… A suo avviso, come sono cambiati il pubblico e l’approccio della società al teatro?
Trovo sempre la stessa profonda adesione, la stessa totale immedesimazione e la stessa capacità di giudizio nel pubblico di allora come in quello di oggi. Quando si creano queste assemblee straordinarie, viene fuori quello che è eterno in noi: la nostra capacità di comunicazione e la nostra straordinaria empatia. C’è qualcosa di eterno nell’uomo, che a teatro stranamente si mette in moto. E per me il pubblico non è mai cambiato.
Cosa consiglierebbe a chi sogna di fare teatro oggi?
Lavoro, lavoro, lavoro!
Il 26 marzo, con l’ultima replica dell’”Erodiade” al Teatro Vascello, darà il suo addio alle scene. Come si sente a riguardo?
Sarà il mio addio alle scene, sì, ma spero che sia un addio solo formale. Se mi faranno delle proposte belle, estreme come quelle che piacciono a me, io ritornerò in scena. Ma solo allora…