L’intervista: Guglielmo Poggi ci racconta l’Orchestraccia, tra tradizione e nuove frontiere
L’Orchestraccia: come definirla? L’Orchestraccia è caos, ma un caos bello. Quello di una piazza in festa, che canta a squarciagola canzoni che non credeva di sapere a memoria, che balla e salta a ritmo di canzoni popolari, che sorride a chi condivide quell’esperienza e si ritrova con gli occhi lucidi senza sapere perché.
Non solo: l’Orchestraccia è ritmo popolare ma anche poesia, tra canti nati un secolo fa e nuove sonorità. Non si tratta di una semplice band: è musica e parole, folclore e delicatezza, batteria e violini, ukulele e basso. Un caos, appunto: ma di quelli che ti coinvolgono e ti fanno tornare a casa stanco ma felice.
Nasce nel 2010 come una formazione aperta, dall’idea e dalla voglia di attori e cantanti di unire esperienze e confrontarle, cercando una forma innovativa di spettacolo, che comprendesse musica e teatro in una lettura assolutamente attuale. Un “gruppo itinerante folk-rock romano” che si compone in modo creativo e disordinato di attori, cantautori, musicisti, performers.
La formazione attuale vede ben 11 membri: i quattro frontman Marco Conidi (cantautore/attore), Giorgio Caputo (attore), Luca Angeletti (attore), Guglielmo Poggi (attore) e gli strumenti di Salvatore Romano (chitarra), Angelo Capozzi (chitarra/ukulele), Gianfranco Mauto (pianoforte/fisarmonica), Alessandro Vece (violino), Mario Caporilli (tromba), Claudio Mosconi (basso) e Fabrizio Fratepietro (batteria).
In occasione dell’uscita dell’ultimo singolo, La Santa, presentato in anteprima al concertone del 1° maggio a Roma, abbiamo realizzato un’intervista con il più giovane dei frontman, Guglielmo Poggi.
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L’intervista
La Santa è il vostro nuovo singolo, come lo descrivereste ai nostri lettori? Cosa ha ispirato la composizione di questo brano?
C’è la mano di Marco Conidi dietro alla composizione dei brani a cui noi diamo voce e corpo. Credo che in questa canzone, più che in altri, abbia voluto dare un segnale forte: non siamo più legati soltanto a Roma ma alla musica folk di tutta la nostra penisola. Infatti in La Santa cantiamo in un’altra lingua -il siciliano- e giochiamo con la Taranta e con sonorità un po’ salentine o del Sud in generale.
Nel vostro percorso di crescita come band, come si colloca “La Santa”? Cosa aggiunge alla vostra carriera?
Siamo abituati a fare cover in tutta Italia, ma con questo brano vogliamo cominciare a comporre in altre lingue, con altre sonorità che non siano semplicemente quella romana – che è quella che più ci compete. Inoltre questo singolo parla anche della voglia di inseguire la libertà e l’onestà intellettuale: sono argomenti, secondo me, inseriti in maniera trascendentale in tutta la composizione dell’Orchestraccia.
Giocate con i generi musicali che vi influenzano singolarmente e come band, dando così vita a un sound personale e riconoscibile. Come nasce una vostra canzone?
Come ti dicevo, tendenzialmente Marco (Conidi, ndr) – che ha una creatività davvero incredibile ma non è qualcosa che scopriamo oggi – pone le basi musicali e il testo. Poi viene inciso dai nostri musicisti straordinari conservando ancora un’idea di “analogico“: la nostra musica è, diciamo, tutta “fatta a mano”. Quando un pezzo poi passa per le nostre voci, cerchiamo di renderlo un coro, unendo i nostri timbri diversi: quello di Giorgio (Caputo, ndr) così rauco, graffiato e interessante, poi quello mio e di Luca (Angeletti, ndr) che con l’armonia cerchiamo di dare più ampiezza, quindi infine quello di Marco.
I temi più ricorrenti nella scrittura di Marco sono l’inseguimento della vita, della libertà e la ricerca delle cose belle. Ma poi il brano diventa collettivo passando nelle mani degli altri 10 membri dell’Orchestraccia, che con voce e strumenti collaborano al processo creativo.
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A proposito di “analogico”… in una società ultraglobalizzata come la nostra, quanto è importante mantenere viva la memoria di un certo folklore popolare?
Credo che sia fondamentale: alla base del nostro progetto ci sono frontman e musicisti che credono fortemente nell’artigianato. E purtroppo, con la globalizzazione e digitalizzazione, l’artigianato, il fatto a mano e la peculiarità ovviamente si vanno a perdere. Inoltre tutti noi veniamo dal teatro-canzone (Marco anche dal cantautorato puro) e perciò abbiamo nel nostro Dna il pensiero della parola dietro la musica.
La narrazione delle storie e dei sentimenti umani è qualcosa che nulla ha a che fare con la globalizzazione e la grande produzione che uniformano tutto. Se tu fai un pezzo folk della tradizione, della mala milanese ad esempio, hai tutta una tradizione da rispettare. C’è uno studio in partenza, un po’ come nella tradizione culinaria: bisogna conservare una ricetta così com’è, altrimenti viene perduta. Io temo che il pericolo che la tradizione andrà ugualmente perduta è molto forte: l’unico modo che abbiamo per contrastarlo è esattamente questo.
Possiamo quindi affermare che L’Orchestraccia ha una missione ben precisa: quella di tenere viva la tradizione popolare musicale italiana, pur calandola nell’era dei Duemila?
Assolutamente sì. Sai, se durante il tuo concerto, la gente si diverte e se ne va a casa pensando di aver passato una bella serata hai già raggiunto uno scopo più che nobile. Ma sentire anche questa missione, ti aiuta a trovare una motivazione in più. Il 26 maggio eravamo a Potenza: è chiaro che qualcuno che sia venuto prima di noi con tutta la musica popolare potentina possa avere un piglio maggiore sul grande pubblico, però il fatto che noi abbiamo cantato Sciuri Sciuri, Calabrisella e pezzi come Te possino da’ tante cortellate che hanno più di 100 anni, secondo me, è un segnale forte. Se poi riesci a far ballare la gente, orchestracciando le canzoni, hai portato a termine la tua missione.
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Sempre parlando del vostro sound, quali orizzonti artistici non avete ancora esplorato ma ambite a farlo?
Nel nostro percorso c’è stata una fase molto bella, che secondo me non è nemmeno ancora chiusa: riportare il nostro sound a qualcosa come Little Lion man o al rock britannico/irlandese/americano in cui si utilizzano banjio, mandole e mandolini. Poi credo che adesso cominceremo a esplorare il piano dell’elettronica però mantenendo sempre vivo il dialogo con la nostra tradizione e con il nostro modo di fare musica in modo analogico.
Dunque tra elettronica e analogico, tra tradizione e novità, cosa potete anticiparci sul prossimo studio album? Cosa dobbiamo aspettarci?
Potrei dirti che lo so, ma in realtà la cosa bella della formazione dell’Orchestraccia è che non sai mai cosa ti aspetta. Ho potuto già ascoltare un paio di pezzi che sono veramente meravigliosi, tra cui racconti di storie per intero. Insomma le basi promettono bene, però che nell’Orchestraccia tutto può cambiare in corsa: questo è il bello di questa formazione libera e pazza.
In chiusura: con chi sognate di condividere il palco per dare vita a un concerto memorabile? C’è un artista o una band che, più di altri, vi entusiasmano?
Bruce Springsteen ma non credo che sia molto disponibile. Io credo che un’altra cosa che rende speciale l’Orchestraccia è l’interazione con gli ospiti, soprattutto quando siamo a Roma (chiaramente è più facile quando siamo a Roma). In questi anni abbiamo collaborato con Stefano Fresi, Edoardo Leo, Paolo Calabresi, i fratelli Fornari, Ilaria Spada, Claudia Gerini: ci piace questa commistione con gli artisti del cinema italiano. Ma anche del panorama musicale: nel programma La nottataccia (disponibile su Raiplay) abbiamo avuto con noi Bennato e Motta. Abbiamo fatto delle collaborazioni straordinarie sul piano musicale, come ad esempio con Noemi, e l’idea è quella di continuare così. Personalmente auspico a poter collaborare con il grande Mannarino.
Spesso collaboriamo con artisti che condividono con noi una certa romanità e vorremmo spingerci anche oltre, ma facendo sempre attenzione a non tradire mai la natura dell’Orchestraccia: quella di un gruppo assolutamente radicato nella tradizione e nel folk. Soprattutto, non possiamo tradire un pubblico che ci segue veramente ogni volta (abbiamo un fanclub fighissimo) e che grazie a Dio continua a tenere alto il livello dell’Orchestraccia nel tempo. Dopo più di 10 anni il nostro è un progetto che, nonostante l’invecchiamento generale, si rinnova sempre: io sono il più giovane e l’ultimo arrivato. Facciamo tesoro della tradizione ma c’è sempre aria di rinnovamento.