L’intervista. Elisa Di Eusanio racconta Janis Joplin, Kurt Cobain, Jimi Hendrix e il Club 27
Dopo il travolgente successo dello scorso ottobre, Elisa Di Eusanio torna a grande richiesta a Spazio Diamante (questa volta nella Sal Black) per una serie di repliche, da stasera al 16 novembre, con il suo apprezzatissimo “Club 27”, uno spettacolo che, come lascia facilmente immaginare il titolo, vuole essere un viaggio nella vita e nell’arte di alcuni grandi musicisti del passato tragicamente accomunati dalla stessa età al momento del loro decesso, vale a dire 27 anni.
Si parlerà quindi ancora una volta di Robert Johnson, Janis Joplin, Kurt Cobain, Amy Winehouse, Jimi Hendrix e Jim Morrison, mentre una band di tre elementi provvederà ad eseguire dal vivo alcuni brani che li hanno resi immortali alternandosi e “avvinghiandosi” al racconto dell’attrice teramana. Che abbiamo sentito a qualche ora dal debutto per capire cosa si cela dietro alla sua opera e come si prepara ad affrontare questo nuovo appuntamento.
Ecco cosa ci ha raccontato.
La prima domanda non può che essere: come è nato questo spettacolo? E, già che ci siamo, perché del purtroppo nutrito “Club dei 27” hai scelto alcuni appartenenti piuttosto che altri? Qual è il fil rouge?
Da qualche anno ho cominciato a scrivere le storie che porto in scena e, valutando nuove idee, è riaffiorata prepotentemente la mia passione per il rock (tanti anni fa, tra l’altro, ho fatto parte di diverse band), la quale mi ha portato a metter su questo spettacolo che è un tributo a quei grandi interpreti del genere che ho tanto amato e tanto amo fin dalla mia adolescenza. Ho preferito prendere in considerazione alcuni di loro piuttosto che altri perché, secondo me, tutti quellli di cui parlo erano accomunati da una stessa dipendenza patologica a qualcosa che li ha condotti alla loro fine prematura e a vivere la loro breve parabola terrena con un certo tipo di atteggiamento.
Bilanciare la componente di prosa con quella musicale: credi di aver trovato un equilibrio accettabile tra le due o hai pensato (o continui a pensare) che in ogni singola replica detto equilibrio vada sempre ricreato e ricalibrato?
Credo di aver trovato un bilanciamento che funziona, a giudicare dalle reazioni di pubblico e critica. La musica rappresenta un elemento fondamentale per lo snodo drammaturgico del mio lavoro, ne è anche un elemento fondante perché non si tratta semplicemente di un tappeto che accompagna il racconto delle mie storie, ma crea quello che io considero un vero e proprio spartito emotivo che fa funzionare tutto e che crea la giusta connessione con il pubblico a teatro.
Raccontaci, se puoi, come hai tirato dentro i musicisti coinvolti e che “armi” hai usato per coinvolgerli?
Fabio Frambolini (basso e voce) e Stefano Costantini li ho incontrati sul set della serie televisiva di “Doc nelle tue mani”, per la quale loro lavoravano come runner nel difficile periodo della pandemia, quando per i musicisti non c’erano occasioni per potersi esibire e bisognava arrangiarsi per tirare avanti. Siamo diventati molto amici durante le riprese e quando gli ho proposto di partecipare a “Club27” hanno subito accettato con entusiasmo. Joe Calabrò (chitarra e voce), invece, l’ho incontrato durante una campagna in favore degli orsi (sono da tanto tempo una fervente animalista). Sono tre ragazzi molto generosi, ci stanno mettendo davvero il cuore in questa avventura.
Hai più volte sottolineato come il racconto delle storie dei tuoi protagonisti sia stato un modo di parlare anche di te. Possiamo chiederti di spiegarci questo “autobiografismo”?
Come ti dicevo prima, a legare le esistenze spezzate di tutti gli artisti di cui parlo c’è una profonda dipendenza patologica, un profondo disagio che li ha attanagliati fin da bambini. Ed è questo un tema che mi è particolarmente caro perché da bambina e da ragazzina ho vissuto una situazione emotiva molto simile alla loro. Mi sono assai ritrovata nella loro insaziabile fame d’amore. Da piccola, dopo aver subito degli atti di bullismo, mi sono trasformata per reazione in una persona ipersensibile e ho spesso “bruciato” certe tappe della vita che invece avrebbero avuto forse bisogno di essere vissute e metabolizzate con meno foga. Ero quella che si potrebbe definire un’anima fragile, ed oggi mi preme molto parlare di chi lo è, soprattutto in una società come la nostra che è tutta votata all’overperforming e passa sopra senza pietà alle debolezze dell’individuo. E questo crea un forte legame tra me e il pubblico, perché probabilmente molti di quelli che assistono allo spettacolo si riconoscono in certi problemi, in certe sofferenze.
Questa nuova batteria di repliche novembrina fa seguito ai quattro sold out che hai ottenuto sempre a Spazio Diamante neanche un mese fa. A cosa attribuisci questo successo e, soprattutto, realisticamente, dati i tempi che corrono per il teatro, te lo aspettavi? Ah, già che ci siamo: quale pensi possa essere il prossimo approdo per “Club 27”?
No, assolutamente non mi aspettavo questi riscontri! È stata una vera (meravigliosa) sorpresa per me. Io penso che stia funzionando alla grande perché, sempre come ti accennavo, la gente ha bisogno di connessione e in questo spettacolo io gli permetto di partecipare emozionalmente al processo creativo che si crea in teatro, perché io mi consegno completamente a chi ho di fronte. È per questo che molti tra coloro che hanno assistito allo spettacolo mi dicono che, anche a distanza di giorni, gli capita di ripensare a quello che hanno visto. Certo, adesso sarà dura riempire la Sala Black dello Spazio Diamante, che è ben più grande della White. Ma diciamo che sono fiduciosa in questo senso. Il tour dello spettacolo dopo proseguirà con delle repliche ad Ariccia e Ortona, poi vedremo. Per il 2025, invece, potrebbero esserci delle grandi novità, visto che una produzione si è dimostrata interessata a “Club 27”. Vedremo, un passo la volta.
Nella tua ormai lunga carriera hai lavorato con registi e colleghi di vaglia. Quali sono quelli che ti hanno colpito di più e influenzato maggiormente come attrice e come regista?
Cito due nomi su tutti. Il primo è quello del recentemente scomparso Glauco Mauri. Ho avuto modo di dividere il palcoscenico con lui in un “Finale di partita” di Beckett nel 2017 ed è stata davvero una benedizione perché era un vero gigante del teatro. Il secondo è quello di Carlo Verdone, un mito per la commedia italiana e non solo, che con me è stato molto gentile e che sa davvero come valorizzare le attrici con le quali lavora.
Sappiamo che nel 2025 sei già attesa da un’importante collaborazione con il bravo Giampiero Rappa. Ce ne puoi parlare? E sul fronte cinematografico e televisivo bolle qualcosa in pentola?
Sì, si chiama “L’uomo dei sogni” ed è un testo meraviglioso, come sempre avviene con quelli scritti da Giampiero, che è bravissimo non soltanto come autore e regista ma anche a difendere con forza le sue scelte artistiche e i suoi attori. Per quanto riguarda il cinema, sarò nel cast di “Ho visto un re” di Giorgia Farina, che sarà distribuito da Medusa e sarà interpretato, tra gli altri, da Edoardo Pesce, Sara Serraiocco, Gaetano Bruno e vedrà la partecipazione di Lino Musella. Per la televisione, infine, sarò in “Le onde del passato” di Giulia Manfredonia, una fiction con Anna Valle, Giorgio Marchesi e Irene Ferri.
Foto: Chiara Lucarelli