L’intervista. Daniele Pecci porta in scena “Divagazioni e Delizie” di John Gray
Fino al prossimo 22 dicembre, al Teatro Parioli Costanzo di Roma, Daniele Pecci è protagonista e regista di “Divagazioni e delizie” di John Gray, un testo formato completamente da scritti di Oscar Wilde, siano essi stralci di romanzi, racconti brevi, saggi, commedie o semplici aforismi. A lui spetta l’arduo compito di portare in scena il genio irlandese che, appena uscito dal carcere ed esule in Francia, si trova costretto nel suo ultimo anno di vita (il 1899) a sbarcare il lunario raccontando se stesso in piccole sale teatrali affittate all’uopo, mostrandosi, oltre che in pessime condizioni di forma e salute, come una specie di “scandalo vivente”.
Per chi scrive, il bravo attore romano ha dato vita ad una prova davvero convincente, ma lasciamo che siano le sue parole a spiegarci in che modo ha deciso di lavorare per mettersi in gioco affrontando una parte che, negli anni Settanta dello scorso secolo regalò un enorme successo a Vincent Price in America ma anche a Romolo Valli qui da noi nel 1978.
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La prima cosa che salta all’occhio vedendo lo spettacolo è il continuo trapasso tra ironia e dramma che lo permea. Come ci si prepara ad un’alternanza di ritmi così serrata e quanto è importante la reazione del pubblico ogni sera per non perdere concentrazione?
Da principio, si prova a creare una mappatura attenta degli stati d’animo del protagonista per capire se la repentinità dei cambiamenti da attuare in scena è sostenibile. In questo caso sì, però è necessario centrare l’esplicitazione di quello giusto al momento giusto e in questo la reazione del pubblico di fronte a te, soprattutto in uno spettacolo come questo, è basilare. Quindi quanto più il pubblico è numeroso e reattivo, tanto più si riesce a lavorare meglio. In tutta franchezza sono piuttosto amareggiato per la scarsa affluenza al Parioli di questi giorni. Ci sono dei pezzi, soprattutto quelli con una componente più marcatamente ironica come quelli iniziali, che avrebbero bisogno di ben altro consenso e partecipazione per mettere a frutto tutto il loro potenziale. Non dimentichiamoci che questo “Divagazioni e delizie” è pieno di parole, molto “verboso”, dunque per rimanere leggero in tutta la sua durata di sicuro più è segnato dall’interazione attore-pubblico, più viaggia come dovrebbe.
La sua regia, per quanto scenicamente essenziale, appare molto funzionale alla creazione di un’atmosfera giusta per lo svolgimento del monologo. In che modo ha ragionato per metterla su e che importanza ha per la riuscita finale?
Insieme a chi mi ha aiutato, mi sono preoccupato per prima cosa del problema che in questo spettacolo si fa una stilizzazione di un fatto reale, vale a dire dell’allestimento di un teatro vuoto, quello dove Wilde si esibisce davanti a un pubblico scalcinato, uno spazio che, nel corso dello svolgimento del racconto delle sue gesta, va via via riempito. Come? Ho optato per la minor quantità di complementi d’arredo possibile, anche perché nel testo originale è previsto che il protagonista reciti a sipario chiuso proprio sulla ribalta, davanti al pubblico. Io invece ho deciso di aprire la scena e di occupare lo spazio. E l’ho fatto perché in questo modo volevo creare una maggiore uniformità tra lo spazio reale e quello psicologico che si crea man mano che la pièce va avanti. Ecco spiegato anche l’uso assolutamente antinaturalistico delle luci, che sono completamente al servizio della definizione di certi stati emotivi
Portare in scena un personaggio assoluto come Oscar Wilde: che sfida ha rappresentato nella sua carriera? Forse la più difficile? E perché?
Non saprei dire se questa come attore teatrale possa considerarsi la sfida più difficile che mi sia capitato di affrontare. Io tenderei a dire di no, anche perché nella mia carriera non è certo il primo personaggio enorme che ho portato in scena. Diciamo che con uno come Wilde, ma anche con un Amleto, un Edipo, si procede più che altro a tentativi. Tra l’altro, considerando il fatto che è realmente esistito e che la sua immagine è in qualche modo sedimentata nella memoria comune a dispetto delle poche fotografie esistenti, bisogna fare i conti anche con la necessità di allineare per quanto possibile quel che si fa con quello che la collettività immagina. A me piace molto conferire dei tocchi personali ai personaggi (basti pensare all’Amleto con gli occhiali che ho portato in teatro tempo fa), però è anche vero che ci sono delle aspettative che in qualche modo vanno soddisfatte. Allora si lavora molto anche in fase di trucco, ci si inventa e ci si “accomoda” in una stazza che non è la propria. Contemperare i due aspetti non è per niente facile ma è altresì molto divertente per chi lo fa. Nel caso specifico poi, trattandosi di un monologo che in fondo si trasforma fin da subito (o dovrebbe) in un dialogo, è proprio necessario stare in campana perché si è dentro a quello che, sotto certi aspetti, si può considerare come un vero e proprio happening
Ascoltandola recitare, si colgono (o almeno a me è sembrato così) continue allusioni alla realtà politica e sociale attuale. Ha dovuto “forzare” il testo di partenza per riuscire a farle? Dove si rivela, secondo lei, la possibile contemporaneità nel pensiero dello scrittore dublinese?
Ho operato soltanto una piccola forzatura quando Wilde se la prende con i giornalisti mentre nel testo originario lo faceva con gli avvocati. C’è però da dire che, avendo letto moltissimo a proposito di lui in fase di preparazione dello spettacolo, è comunque una forzatura sui generis perché effettivamente il rapporto tra Wilde e i giornalisti non è stato sempre idilliaco. Si può dire che sia stato in assoluto anticipo uno dei primi critici di un certo “sistema” massmediatico contro il quale dopo di lui si sono scagliati in tanti. Anche se il suo merito più grande, ciò che rende la sua figura così affascinante e moderna, è l’aver capito già ai suoi tempi come l’ottusità della gente si manifestasse in modo evidente nell’incapacità di non saper scindere l’uomo dall’artista. Parliamoci chiaro: Wilde era quello che oggi potremmo definire un discriminato, uno che apparteneva a una minoranza, e che però non aveva paura di chiedere un cambio di mentalità alle persone che lo circondavano. Quando vado in scena penso sempre a quanto sia fondamentale far capire questa cosa alla gente ed è per questo che, in alcune fasi dello spettacolo, sono molto più vicino al pubblico rispetto ad altre. Voglio che mi ascoltino, che capiscano questo aspetto così peculiare
Dopo questa sua interpretazione che idea si è fatto della tragedia di Wilde? Crede sia stata sua personale e basta o lo accomuna all’uomo qualunque?
Io credo che il pubblico sia abituato a tragedie personali anche ben più drammatiche rispetto a quella vissuta da Wilde, il quale, però, ha avuto se ci pensiamo un destino davvero singolare che forse ce la fa apparire più pesante e dunque più unica di quello che magari potremmo concepire se fosse stata una persona normale: non dobbiamo dimenticare infatti che, in un’epoca in cui il cinema ancora non si era affermato e in cui i mezzi di comunicazione di massa non erano certi sviluppati e pervasivi come oggi, lui era una star di fama mondiale anche senza aver praticamente scritto nulla. La sua, quindi, è una caduta particolare, differente rispetto a quella di un altro uomo qualsiasi. E forse questo gli ha attirato delle antipatie da parte delle persone a dir poco perniciose. Erano in tanti a volerlo buttare giù dal suo “piedistallo”, questa è storia. Basti pensare al comportamento di alcuni suoi presunti amici quando ci fu il processo per omosessualità: lo volevano delegittimare, far cadere rovinosamente dalla cima della montagna che aveva scalato con tanta precocità E non esitarono a farlo schierandosi e testimoniando contro di lui. È così che vanno le cose… Con le dovute differenze, se uno ci pensa, è un po’ quello che è successo ultimamente a un attore fenomenale come Kevin Spacey, la cui vita e la cui carriera sono stati distrutte sulla base di accuse per le quali, al momento, è stato assolto. O si può pensare, ad esempio, a quello che è successo immediatamente dopo l’invasione dell’Ucraina da parte delle Russia, che,in alcuni contesti universitari, ha portato a “bannare” un artista immenso come Dostoevskij. Davvero è giusto fare certe scelte, prendere certe posizioni?
Che succede se, portandolo in scena giorno dopo giorno, ci si identifica troppo con l’autore de “Il ritratto di Dorian Gray”? Come si esce dalla sua “stratosfera”
Francamente devo dire che è un problema che non mi ha mai toccato. Come accennavo in precedenza, prima di interpretare Oscar Wilde, ho portato in scena personaggi come Amleto, Edipo, Enrico V e non ho mai “deragliato”, quindi in qualche modo ero preparato a reggere un certo tipo di onda d’urto emotiva. Diciamo che mi abbandono a Wilde solo qualche secondo prima di andare in scena e ne esco qualche secondo dopo che il sipario è calato. Semmai posso dire che dopo aver vestito i suoi panni ormai tante volte, ho fatto mia una serie di sue perle o qualche suo aforismo più illuminato. Ecco, direi che personaggi come questi ti fanno sentire come se avessi vissuto un’altra vita e ti arricchiscono, non puoi fare a meno, in qualche modo, di portarti dietro qualcosa di loro. Ed è senza dubbio molto importante e auspicabile che ciò accada
Il 2025 è alle porte. Sa già cosa le regalerà a livello professionale? Nutre qualche aspettativa particolare dal nuovo anno?
Il 2025 mi consentirà di aggiungere un altro tassello al mosaico che speravo sarebbe diventata la mia carriera di attore una volta interpretati alcune indimenticabili figure di cui mi sono innamorato all’istante e che mi hannofatto scegliere di fare questo mestiere: presto, infatti, riuscirò a fare il mio Macbeth. Ci sarà una grande compagnia, una produzione importante alle spalle, ma soprattutto una bravissima attrice che sarà Lady Macbeth. Per me, che lavoro da tanti anni a questo progetto, è un sogno che si avvera, non ci sono altre parole! E poi spero davvero tanto che un film che ho scritto e che diverse persone hanno già letto ritenendolo molto promettente su carta riesca finalmente a trovare una produzione. Ho già avuto diverse indicazioni positive al riguardo, ma non mi sbilancio. Preferisco però rimanere silenzioso e scaramantico fino a quando questi progetti non vedranno la luce e tutto sarà definito.