L’intervista. Con Maddalena Crippa nei meandri oscuri di Harold Pinter
Interprete eccezionale con alle spalle una carriera ormai cinquantennale, Maddalena Crippa fa parte del cast di “Il compleanno” di Harold Pinter diretto dal grande Peter Stein e in cartellone alla Sala Umberto fino a domenica 12 febbraio. L’abbiamo raggiunta telefonicamente per parlare un po’ di uno spettacolo che, ad oggi, ha riscosso un notevole successo di pubblico e critica.
Alla luce delle recenti chiusure forzate imposte dal Covid, che significati nuovi può assumere un testo come quello di Pinter, secondo lei?
Direi che risuona con ancor maggiore potenza, innanzitutto. Niente di nuovo, d’altronde, sempre nella storia del teatro certi grandi testi sono stati in grado di dire e di anticipare con una forza dirompente. Certe gabbie sociali di cui il grande autore inglese parlava ormai tanti anni fa, sono esattamente quelle in cui siamo in qualche modo ancora rinchiusi noi oggi. In ogni caso, però, io penso che qualsiasi testo teatrale per realizzarsi compiutamente e dimostrare il suo pieno valore abbia sempre bisogno di essere messo in scena, altrimenti non riesce a sprigionare a concretizzare il suo potenziale. Certo è che questo spettacolo non lascia il pubblico rilassato, sa immergerlo in un clima di incertezza e di paura molto attuali ed è profondamente, sconvolgentemente anticipatore di tante tematiche (si pensi solo a quella relativa alla violenza sulle donne).
Ci racconta un po’ la sua Meg, che, in qualche modo, sembrerebbe un personaggio su più “livelli”?
È, fondamentalmente, una “vecchia tonta”, sposata con un uomo insignificante che sembrerebbe fare un lavoro altrettanto insignificante. In lei c’è un lato materno ed uno, seppur meno evidente, di seduttrice ed entrambi vengono evidenziati nello spettacolo. Sembra sempre che tutto quello che le accade intorno le sfugga, non la tocchi, ma in realtà è portatrice di un’umanità per niente banale e sa esprimere un affetto vero, intenso.
A proposito della preparazione di questo spettacolo: come avete lavorato voi attori con un grande regista come Stein (tra l’altro compagno di vita della Crippa, ndr) per edificare il clima di inquietudine che sempre si respira durante la rappresentazione? E, già che ci siamo, quanto è importante per voi avere dietro una guida come lui?
Partiamo dal presupposto fondamentale, e cioè dal cosiddetto “metodo Stein”. Si spiega molto, molto semplicemente: fedeltà. Fedeltà all’autore, al suo testo. Peter è sempre un “realizzatore” dei testi e in questo caso di Pinter. La sua attenzione filologica, sotto tutti i punti di vista, è sempre stata proverbiale e lo è anche in questo “Il compleanno”. Tutto ciò che si vede in scena, dal ritmo serrato ai cambi di “clima” è il risultato di uno studio attento, senza alcuna concessione da parte sua ad un’ispirazione cervellotica (come invece sembra andar sempre più di moda ai giorni nostri).
Per noi attori è sempre una grande opportunità lavorare con un regista come lui perché, affinché si arrivi ad un’efficacia e ad una coerenza con il testo di partenza inespugnabili, ogni cosa viene scoperta e discussa insieme fin nei minimi dettagli. Dai tempi alle misure recitative, dalla disposizione degli oggetti ai cambi di registro. Stein fa sì che i suoi attori siano un gruppo, innanzitutto, e trovo che questa sua disposizione sia ancora più apprezzabile se si tiene presente che il teatro, come esigenza, si pone sommamente quella di creare delle relazioni, delle condivisioni. In questo cast, tutti noi avevamo avuto esperienze precedenti con lui e ci siamo naturalmente trovati bene e credo che la bontà dei risultati sia ben tangibile. A livello personale, per esempio, credo che l’interpretazione di Averone nei panni di Stanley sia eccezionale.
Per lei che è considerata un’interprete d’eccellenza nel teatro classico e tragico, che sfida è stata questo “Il compleanno”?
Meravigliosa, non c’è dubbio! Questo ruolo, con le sue sfumature comiche non certo molto comuni nelle mie interpretazioni, è stato davvero stimolante. Credo di avergli dato poi un pizzico di personalità in più con certe sfumature di accento lombardo, quello delle mie origini. In ogni caso, io sono un’istintiva, non un’intellettuale. E lo sono da quando salii sul palco per la prima volta a 12 anni. A catturami del teatro è stato sempre il suo meraviglioso mistero e la capacità di connetterci gli uni con gli altri, di farci sentire umani e di farci condividere.
Con la ripresa delle stagioni, capita spesso di rilevare come la presenza degli spettacoli nei cartelloni romani sia sensibilmente diminuita a livello di durata. Che spiegazione dà al fenomeno e lo ritiene dannoso per chi fa il suo mestiere?
Noi con questo spettacolo abbiamo fatto circa 80 date in tutta Italia e quasi dovunque abbiamo registrato un continuo tutto esaurito. Tranne qui a Roma, e non so spiegarmi il perché. Io credo che, come a Milano o in altri posti, il teatro debba tornare assolutamente centrale nella vita e nella prassi sociale di questa città. Non credo affatto, perciò, che la ridotta durata degli spettacoli in cartellone possa essere considerata, né tantomeno suggerire una maggiore “varietà di scelta” o di possibilità di espressione. Anzi, credo che tutti noi stiamo attraversando un periodo storico a dir poco delicato, dove la cultura è sottoposta ad una continua mortificazione a livello di spazi e di importanza. Ed è una cosa grave, gravissima, perché le persone sono fatte di spirito non di soli numeri!
Allacciandoci a questa sua ultima considerazione: dopo la pandemia, qual è secondo lei la (nuova?) vocazione che il teatro deve darsi?
Deve tornare innanzitutto a battersi per i valori, per l’arte. C’è bisogno di gente che sappia rischiare, di uomini, per dirne una, come Paolo Grassi, in grado di credere sia in Strehler (con il quale la Crippa cominciò la sua lunga carriera d’attrice, ndr) che in Gaber. E poi deve conquistare le coscienze. E per farlo ha bisogno della parola, perché la parola è l’unico strumento in grado di arrivare dove davvero è necessario arrivare nella coscienza delle persone. Ecco perché io amo definirmi una “paladina del teatro di parola”. Solo attraverso la parola si può pensare di poter scuotere le coscienze e arrivare alle generazioni più giovani (a tal proposito, devo dire che durante le repliche di questo “Il compleanno”, ho notato un silenzio e una partecipazione dei ragazzi in sala pressoché assoluti)!