L’intervista. Carofiglio e il potere della gentilezza a teatro: Meloni, Hamas e la radicalizzazione del dissenso
Personaggio poliedrico e da anni uno tra i più amati scrittori di gialli contemporanei, Gianrico Carofiglio si è nel tempo distinto per una prolifica produzione di racconti, saggi e romanzi.
Tra i tanti titoli cari ai lettori troviamo “Passeggeri Notturni” – dai cui è stata tratta l’omonima serie televisiva con Claudio Gioè e Gianmarco Tognazzi; “La misura del tempo”, con il quale è stato candidato al Premio Strega nel 2020; e una trilogia di romanzi gialli – “Una mutevole verità”, “L’estate fredda” e “La versione di Fenoglio” – con cui ha dato vita su carta al Maresciallo Pietro Fenoglio. L’iconico personaggio creato da Carofiglio avrà il volto di Alessio Boni nella nuova serie firmata Rai Fiction “Il Metodo Fenoglio”, ispirata ai tre romanzi, in onda il prossimo autunno.
Gianrico Carofiglio sarà al Teatro Massimo di Pescara domenica 26 novembre per due imperdibili appuntamenti: alle ore 18.00 e alle ore 21.00 nell’imminente stagione teatrale “Top Secret Club Theatre 2023/24”. Nei due incontri porterà in scena “Il potere della gentilezza”, spettacolo di cui ha curato anche la regia, che consiste in un’orazione sull’importanza e necessità di praticare la gentilezza, sul potere del dubbio, sulla capacità di porre, e porsi, buone domande per affrontare le sfide della modernità.
Ecco cosa ci ha raccontato.
Lo spettacolo “Il potere della gentilezza” è ispirato al suo libro “Della gentilezza e del coraggio” pubblicato nel 2020. Si tratta di un prosieguo rispetto all’opera letteraria o cambia qualcosa?
Si tratta di un recital-conversazione che sto portando su alcuni palchi italiani, ma non si tratta di una vera e propria tournée. Ci sono letture e ci sono cose dette interagendo con il pubblico, anche in forma di improvvisazione. Ogni volta c’è qualcosa di diverso, mi piace che questo tipo di performance possa essere come una conversazione, come dicevo, più che una rappresentazione. Non un copione predefinito ma un tentativo di entrare in relazione, ogni volta diversa, con il pubblico presente in sala.
Secondo lei il potere del dubbio contrasta con l’attuale scenario dei talk che, invece, spesso sembrano aule di tribunale con parti intente ad arroccarsi sulle rispettive posizioni? Crede che i mass media, in questo contesto, esercitino un’influenza negativa sull’opinione pubblica?
Le aule di tribunale sono luoghi di dibattito molto più civile, a dire il vero. Purtroppo questa forma televisiva, che in Italia ha raggiunto connotati parossistici, non contribuisce alla qualità del discorso pubblico e della democrazia. Sappiamo che ciò che fa audience sono le risse, le urla e le offese e purtroppo anche conduttori di qualità sono costretti a inserire questo tipo di prodotto. O, almeno, pensano di essere costretti a farlo. Molti ospiti ricorrenti nei talk interpretano un personaggio, una maschera piuttosto che rappresentare una posizione, come in una specie di distorta commedia dell’arte.
Il libro nasce anche dalla costatazione di questa deriva e scommette sulla possibilità di praticare il dissenso – anche molto aspro – in forme civili che includano l’opportunità di discutere pacatamente. Al tempo stesso offre lo spunto di verificare quali sono le tesi a corredo di una posizione e se, oltre al dissenso, esiste la possibilità di individuare dei punti d’incontro. Ciò che dovrebbe fare il dialogo quando non si trasforma in rissa, appunto. Questo spirito ha segnato il programma che per due stagioni ho portato in televisione chiamato “Dilemmi”: ci sono temi con opinioni contrastanti molto forti, dove due presone che sostengono tesi differenti sono però costrette a un confronto educato e civile secondo regole ben definite a monte.
Gentilezza ma anche confronto e analisi: è nel dibattito politico, spesso parziale e volutamente fazioso, che secondo lei si insinua la crisi del dialogo che si riverbera sulla società civile?
Certamente. La scarsa qualità del dibattito televisivo interferisce con la qualità del confronto dove le posizioni, estremizzate fino a renderle grottesche. La radicalizzazione del dissenso è diventata una patologia sociale e pericolosa. L’idea di gentilezza di cui parlo nel libro e nello spettacolo è un’idea del conflitto, non un suo rifiuto. Perché il conflitto sia sano e utile deve essere praticato però in un quadro di regole ben definite. La gentilezza di cui parlo non è sinonimo di buona educazione e buone maniere che sono pure auspicabili, ma è una modalità di gestione del conflitto. Postula che ci sia, che debba essere affrontato, ma nel rispetto dell’interlocutore. Laico, mite, come il risultato di un dialogo rispettoso.
Ha più volte criticato l’approccio comunicativo delle destre europee e, nel caso specifico italiano, di Matteo Salvini e del suo rapporto con i social media. Ora che a capo del governo, invece, c’è Giorgia Meloni, come giudica la sua attitudine? Chi dei due contrasta di più con il suo modo di intendere il confronto verbale?
Direi tutti e due, con delle sfumature differenti. Entrambi praticano una comunicazione oggettivamente manipolatoria. In particolare l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri pratica in modo massiccio uno dei peggiori vizi della politica in generale, cioè il vittimismo: una fuga dal dovere della responsabilità e la manifestazione dell’incapacità di risolvere i problemi. Non assumersi mai la responsabilità di ciò che è stato fatto o non fatto, ma paventare una frustrazione per un presunto senso di impotenza. Un bisogno di sfuggire alle critiche che in una democrazia sono fondamentali con il costante tentativo di scaricare la colpa su qualcun altro. Vengono tirati in ballo complotti e trame segrete, senza mai fare i nomi, altrimenti ci si espone a una replica. Uno stile di comportamento politico dannoso per il dibattito pubblico e pericoloso per la legittimazione delle istituzioni.
Estendendo il focus sulla politica estera, non possiamo ignorare quanto sta accadendo tra Ucraina e Russia e Israele e Palestina. Come giudica l’operato comunicativo di Zelens’kyj e Netanyahu? In entrambi i casi non sembra esserci più spazio per il dialogo…
Quando a parlare sono le bombe sembra non ci sia spazio per il dialogo che, invece, va recuperato faticosamente con la convinzione che solo con esso i problemi verranno davvero affrontati e risolti. In questo momento sono in atto lo scontro con le armi e con le propagande. Non si può credere a nessuno dei protagonisti di queste guerre. Bisogna tenere alcuni punti fermi, però: in Ucraina ci sono un aggressore e un aggredito. Nel conflitto di Israele c’è stata un’azione terroristica spaventosa su cui bisogna essere chiari senza omettere di dire che anche un attacco così spaventoso non giustifica la violazione delle norme internazionali e del diritto umanitario da parte di Israele.
In senso più ampio c’è da dire che il popolo palestinese non si identifica con Hamas ma è costretto da decenni a forme di repressioni e persecuzioni che poi sono anche l’humus in cui i criminali trovano terreno fertile per agire. Bisogna avere la determinazione per affermare e comprendere che non è antisemitismo essere contro certe scelte dello stato di Israele. Lo dice l’Onu e c’è una gran parte dell’opinione pubblica israeliana che afferma le stesse cose, ed è doveroso sottolinearlo. Hamas è un’associazione terroristica e criminale ed è ovvio che se uno dovesse scegliere tra Israele e Hamas sceglierebbe l’unica democrazia che c’è in quella parte del mondo. Ma non è una questione di tifoserie, dobbiamo immaginare il modo in cui ciò potrà essere risolto al fine di tutelare due stati: uno israeliano, già esistente, e uno palestinese che dovrà essere riconosciuto.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo un nuovo romanzo che dovrebbe uscire tra febbraio e marzo dell’anno prossimo.