[L’intervista] “Bestie Uomini e Dee”: il viaggio del Teatro Lanciavicchio tra miti e leggende abruzzesi
Il Teatro Lanciavicchio continua a emozionare l’Abruzzo con spettacoli che risvegliano la coscienza storica e culturale, il senso di appartenenza ad una regione che non smette mai di stupire: il viaggio/spettacolo “Bestie Uomini e Dee” ha conquistato la Marsica.
Uno spettacolo itinerante – messo in scena per la prima volta nel luglio 2023 – che nasce dallo studio del patrimonio mitologico dell’Abruzzo arcaico: racconta di leggende, miti, personaggi e creature mostruose e divine che hanno popolato la fantasia dei progenitori, e racconta insieme di paure e di profondi desideri che forse ancora ci accompagnano.
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Realtà ormai ben consolidata nel panorama culturale abruzzese, il Teatro Lanciavicchio elabora e realizza progetti di Drammaturgia del Luogo utilizzando il teatro come strumento di analisi, conoscenza e comprensione di un territorio, e attivando esperienze di rielaborazione narrativa e drammaturgica degli elementi della memoria.
“Bestie Uomini e Dee” racconta storie della relazione tra umano e divino, storie di trasformazione in cui la carne diventa pietra, e soprattutto storie di viaggi, che raccontano di un mondo che vive e evolve grazie alle contaminazioni con il diverso, il mostruoso, il divino.
Nel cast: Angie Cabrera, Stefania Evandro, Paola Munzi, Alberto Santucci, Rita Scognamiglio, Giacomo Vallozza, accompagnati dagli strumenti musicali di Germana Rossi e Giancarlo Tozzi.
“Bestie, Uomini e Dee” suscita curiosità e fascinazione, risveglia l’orgoglio e il senso di appartenenza ad una terra a lungo amata da artisti e viaggiatori, continuamente trasformata dall’uomo e dalla natura. Ne abbiamo parlato con l’attrice e drammaturga Stefania Evandro e il regista Antonio Silvagni – rispettivamente S. E. e A. S. nella nostra intervista doppia.
L’intervista
“Bestie, Uomini e Dee” è uno spettacolo mai uguale a se stesso, che parte dal mito e finisce nella storia. Come potremmo raccontarlo ai nostri spettatori?
S. E.: Lo spettacolo si snoda in un percorso che ogni volta è diverso e ogni volta lo allestiamo scegliendo degli scorci. Racconta di un gruppo di viaggiatori del Grand Tour di fine Ottocento che arrivano in Abruzzo, come effettivamente succedeva, e attraversano anche la Marsica – perché molti dei viaggiatori del Grand Tour erano proprio affascinati dal Lago Fucino. Alla fine dello spettacolo, questi viaggiatori arrivano nella Marsica e cominciano a conoscere i miti e le leggende di questo territorio, per poi finire con un racconto del terremoto (del 1915, ndr). Perché, di fatto, i viaggi del Grand Tour nella Marsica si sono interrotti proprio con il terremoto che l’ha distrutta.
A. S.: E con la tragedia dei morti, con la distruzione delle abitazioni e di interi paesi, mettiamo in scena anche questo prosciugarsi della memoria, che teneva in vita le leggende, che attraverso un lavoro di ricerca – fatto in particolare da Stefania, che ha costruito il testo – abbiamo ricostruito.
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Qual è stata la genesi di questo spettacolo?
A. S.: Un intero filone del Teatro Lanciavicchio va in questa direzione: raccontare le storie del territorio attraverso meccanismi che non siano folkloristici, ma con professionisti della scena. Lo sviluppo del rapporto tra Teatro Lanciavicchio e territorio è indirizzato verso un risveglio della conoscenza e coscienza del territorio, della capacità di comprendere la ricchezza culturale e storica delle tradizioni – non quelle folkloristiche ma quelle che arrivano dall’antichità. Senza voler fare di questo un discorso legato all’organicità del territorio: ci sono molte difficoltà in questo senso ma c’è un sostrato culturale e storico, abbandonato per troppo tempo. Si pensi ad esempio alle lotte contadine degli anni Cinquanta che non sono così lontane da noi ma di cui non ricorda nessuno.
Come nasce l’idea di rendere lo spettacolo itinerante? Quali sono le maggiori difficoltà?
A. S.: Lo spettacolo nasce itinerante, anzi la difficoltà c’è stata nel senso contrario: quando abbiamo realizzato lo spettacolo sul palco del Teatro dei Marsi per le scuole superiori di Avezzano. In realtà per noi è quasi naturale pensare agli spettacoli in maniera itinerante, su dei luoghi particolari che abbiano un rapporto con le storie che raccontiamo, con la cultura del territorio. Su luoghi che raccontino qualcosa insieme agli attori.
S. E.: La scrittura del testo e della scena dello spettacolo viene fuori proprio dalla messa in opera di una serie di memorie, di ricordi, di ricerche bibliografiche. È come se l’itinerante fosse un’espansione di questo concetto: noi studiamo le memorie che hanno abitato questi luoghi in secoli passati e, in qualche modo, le riportiamo in questi luoghi. È un’espansione del tema raccontato nel luogo che lo vive, insieme al pubblico, a cui viene restituito.
Quali sono state le fonti per la drammaturgia?
S. E.: Spesso viene nominato Alexandre Dumas, perché ha scritto un resoconto di quando sale sul Monte Salviano e vede il Lago Fucino per la prima volta, si stupisce e mi sembra sia proprio lui a ricordare le parole di Strabone e le fonti antiche. Dalle sue parole nasce il leitmotiv dello spettacolo “ma come raccapezzarsi tra vero e falso se alla nebbia del lago si aggiunge quella della storia?”. Ci piaceva il fatto che, in mezzo alla nebbia, questi viaggiatori ritrovassero miti e leggende. Tra le altre fonti abbiamo Ferdinand Gregorovius che in “Passeggiate per l’Italia” ha raccontato molto l’Abruzzo; la viaggiatrice inglese dei primi del Novecento Anne MacDonell che scrisse “In Abruzzo”. Insomma, memorie di viaggiatori che hanno attraversato l’Abruzzo e una bibliografia di abruzzesistica per miti e leggende. Il tutto rielaborato da me.
Come è stato scelto il titolo “Bestie, Uomini e Dee”?
S. E: Tutte queste storie nascono da viaggiatori: una delle teorie mitiche racconta di Marsia il Satiro che venne dall’Asia Minore a dare il nome ai Marsi. Ci piaceva il fatto che spesso le comunità e le storie – quindi anche la cultura e l’arte – nascono perché qualcuno viene da fuori, dall’incontro con qualcuno che viene da un altrove o dall’incontro con il mostruoso, come il Centauro Chirone che dona la sapienza delle erbe agli esseri umani. Oppure il nome della Maiella che viene da Maia, una donna che viene dalla Grecia (dal mito greco) e per salvare suo figlio attraversa il mare. Sono quindi incontri con gli dei, con le mostruosità che fanno nuova una civiltà.
Lo spettacolo racconta miti e leggende sui Marsi passando per storie di donne: dee e streghe, serpare e imperatrici, mamme e la madre-matrigna per eccellenza, la Natura. Si potrebbe definire come un omaggio alla forza della donna marsicana?
S. E.: Ah bella questa domanda! In realtà non è stato fatto di proposito, ma poi effettivamente, quando si cerca nei miti e nelle leggende, nelle storie narrate, le donne sono spesso quelle che creano legami, che mettono, anzi tessono insieme le cose. Non ci avevamo pensato, ma è vero: nel mito emerge la forza delle donne.
A. S.: Infatti nel titolo gli uomini son Uomini e le donne son Dee!
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Nelle diverse “tappe” dello spettacolo emergono tragedia e comicità: quale pensate sia più funzionale per far sì che la storia resti impressa nello spettatore?
A. S.: Dipende dalle storie. La comicità in sé non è una modalità che noi ricerchiamo a tutti i costi. Ma in realtà nemmeno la drammaticità. Noi cerchiamo di mettere la storia a disposizione dello spettatore nel miglior modo possibile. Quindi anche facendolo divertire, quando la storia lo permette.
S. E. Sai cosa? La comicità è sopravvalutata perché quello che è importante, per far passare una storia, è l’emozione. Che sia gioia, ilarità, sorriso oppure profondità, dolore. Perché a volte succede che, in alcune scene, uno senta il dolore, un dolore bello perché finto – perché il teatro è tutta finzione. Ma se riesci a intercettare la verità delle emozioni allora il teatro è verità, non finzione. Questo è quello che sfonda la quarta parete: non far finta, ma fare davvero. Per intercettare le emozioni del pubblico e aprirne il cuore: questa è l’arte dell’attore.
Riscoprire miti e leggende assodati nella cultura abruzzese e nell’immaginario popolare vi ha permesso di scoprire qualcosa di nuovo che porterete con voi da quest’esperienza?
S. E.: In realtà non credo che siano così assodate. Magari molti sanno che Maiella viene da Maia, ma nessuno sa la storia di Maia e Hermes, la leggenda sulla nascita e la conformazione del Gran Sasso. Credo che se lo chiedessimo al 100% degli abruzzesi, pochissimi saprebbero rispondere. Se sapessero tutte queste storie, forse non le racconteremmo!
A. S.: Certo, le storie sono diversissime e non necessariamente la nostra versione è assolutamente quella giusta. Però sì, questa parte del nostro lavoro che facciamo sulla territorio, serve a risvegliare le coscienze dei nostri concittadini sulla ricchezza del patrimonio culturale delle nostre terre, che spesso viene dimenticata. Sicuramente da ogni spettacolo noi impariamo delle cose, sia lavorandoci su, sia nel rapporto con gli spettatori. Ci consente di arricchirci di un’esperienza che passa attraverso le emozioni, che vanno nella direzione dello spettatore, ma…
S.E.: … ma poi tornano.