L’intervista. Antonello Loreto omaggia Oblomov nel suo nuovo romanzo “Il giorno della festa”

A tre anni di distanza da La libertà macchia il cappotto, lo scrittore aquilano Antonello Loreto torna con un nuovo romanzo, Il giorno della festa (Edizioni All Around). Temi delicati ed estremamente attuali come depressione, crisi esistenziale, voglia di riscatto vengono affrontati dall’autore attraverso una vera e propria sfida letteraria: la trasposizione in chiave moderna del romanzo Oblomov di Ivan Aleksandrovič Gončarov. Il celebre protagonista russo Ilia Ilyic Oblomov si trasforma così in Alessio Gigli, trentenne residente nell’agiato quartiere di San Saba a Roma.
Dopo aver perso i genitori in un tragico incidente, il ragazzo si chiude letteralmente nella sua stanza, avvolto soltanto dal ronzio dei suoi pensieri e dal rumore dei pochi passi che gli consentono il passaggio dal letto al divano. Nemmeno la convivenza con il giovane ed esuberante zio Stefano, detto Zago, sembrano scuoterlo dall’indolenza e dalla paura di affrontare le incombenze quotidiane.
Quando poi un problema burocratico si staglierà all’orizzonte, Alessio sarà costretto a decidere se prendere in mano le redini della propria vita oppure continuare a crogiolarsi sotto le coperte.
Tra desideri e inerzia
Il giorno della festa tuttavia non si limita alla semplice trasposizione del romanzo di Gončarov. Alessio Gigli, a differenza di Oblomov, trascrive i suoi dubbi e le sue angosce esistenziali su carta, li custodisce in un diario, li analizza e in qualche modo prova a cercare una risposta: “Cosa voglio essere da grande?”, “Bisogna provare a costruire una vita straordinaria o rimettersi fatalmente al destino”?
Antonello Loreto apre così una finestra sulla delicata psiche dell’uomo contemporaneo, oscillante tra desiderio di realizzazione e inerzia di fronte alle difficoltà; con una scrittura ironica e leggera permea le pagine del romanzo di scintille di speranza; uno spiraglio di luce e vitalità che spingerà il protagonista verso la strada del riscatto personale, verso il suo “vero giorno”.
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L’intervista
Possiamo considerare il giorno della festa un omaggio all’Oblomov di Gončarov. Dove e quando nasce l’idea di trasporre un romanzo russo dell’Ottocento ai giorni nostri?
Ho conosciuto Oblomov di Gončarov grazie a mio padre e da quando l’ho letto Ilia Ilyic Oblomov è diventato uno degli eroi (o se vogliamo un antieroe) della mia adolescenza. I personaggi che mi hanno accompagnato nella gioventù sono stati Syd Barrett, primo leader dei Pink Floyd, che ho omaggiato tramite il mio primo romanzo La favola di Syd, Holden Caulfield, che ha ispirato La libertà macchia il cappotto, e Ilia Ilyic Oblomov che in qualche modo ho inserito in quest’ultimo libro. Fino ad adesso ho sempre scritto per tributi.
Quanto ha influito la letteratura russa nella tua esperienza di lettore e di scrittore?
Parecchio. Paolo Nori, uno dei più grandi traduttori di letteratura russa che abbiamo in Italia afferma: «Quando affronti la letteratura russa è come se facessi una lunga camminata nel deserto, fin quando non entri in un bosco talmente bello da non volerne più uscire». Trovo questa definizione molto bella e calzante. I grandi autori russi sono molto attenti al profilo psicologico dei loro protagonisti. Questo scavare nell’animo umano da lettore mi ha sempre colpito.
Da un romanzo russo non puoi aspettarti un ritmo veloce, ma è un ottimo strumento di introspezione e di approfondimento del mondo circostante. Tale aspetto mi ha influenzato anche come scrittore. Il ritmo dei miei romanzi è molto più vivace, ma cerco di curare molto la psicologia dei personaggi; non a caso i miei protagonisti sono dei disadattati, non in senso patologico ma sociale, non riescono o non vogliono allinearsi alla società.
Quando ho iniziato a scrivere Il giorno della festa speravo di riuscire a realizzare una storia perfetta come un romanzo di Puškin, feroce come un romanzo di Gogol’, empatica come un’opera di Dostoevskij, bizzarra come un’opera di Bulgakov e possibilmente con un bel monologo finale “alla Tolstoj”; senza presunzione, ma come spinta motivazionale data l’ammirazione per questi autori.
Ilia Ilyc, protagonista dell’Oblomov, e Alessio Gigli, protagonista del Giorno della festa: quali sono i punti in comune e quali le differenze tra i due personaggi?
La prima grande differenza che mi viene in mente è che il primo è il principe della noia, l’apatico per eccellenza, tanto che è stato coniato anche il termine “oblomovismo” per descrivere questo stato di indolenza; l’altro in maniera più moderna potremmo definirlo un uomo depresso. Nella letteratura russa Oblomov è uno dei più importanti rappresentanti dell’”ostentazione della noia”, un modo questo per ridicolizzare la società aristocratica del tempo (non a caso dopo qualche decennio dal romanzo è scoppiata la rivoluzione bolscevica); io senza alcun intento politico, ho voluto semplicemente spingere Alessio Gigli all’azione, ad alzarsi dal divano per rincorrere una vita perfetta.
Dal punto di vista psicologico invece Oblomov e Gigli sono molto simili: entrambi sono impauriti dal quotidiano, entrambi si sentono incompresi e spesso adottano un atteggiamento melodrammatico. Tutti e due sono uomini buoni, che cedono all’amore, ma fondamentalmente divorati dalla solitudine pur essendo circondati da molte persone.
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Il giorno della festa è un titolo quasi ossimorico. Senza fare spoiler, in un giorno che avrebbe dovuto essere di condivisione e giubilo cadono un po’ tutte le certezze di Alessio Gigli. È un effetto voluto?
È assolutamente voluto. Quella del titolo è sempre una scelta delicata e l’excursus per trovare quello giusto è stato abbastanza lungo. Inizialmente si era pensato a “Obbromo”, la traslitterazione romanesca del nome Oblomov, come gli amici chiamano scherzosamente Alessio Gigli. In seguito avevamo optato per un titolo un po’ più serio ossia “Verrà il vero giorno”, frase-chiave dell’Oblomov di Gončarov; infine ho deciso per Il giorno della festa.
Da un lato perché rappresenta uno snodo fondamentale nella trama ossia la presa di coscienza da parte di Alessio di dover necessariamente passare all’azione; dall’altro vuole essere proprio una trasposizione della frase “verrà il vero giorno” poiché tutto il romanzo è incentrato sulla ricerca della giornata perfetta per Alessio Gigli.
Nel precedente romanzo, la libertà macchia il cappotto, un’ambientazione fondamentale è stato il bosco di Paneveggio, qui il paese di Scansano in Toscana. È anche questo un luogo caro al tuo cuore?
Ambientare il mio precedente romanzo nel bosco di Paneveggio ha rappresentato proprio un omaggio a quel luogo a me molto caro, Scansano invece è emotivamente meno significativo. Dal punto di vista narrativo mi occorreva un posto familiare ai romani, che rappresentasse una sorta di “buon ritiro” dalla frenesia della città.
Alcuni miei amici hanno un agriturismo vicino Scansano, allora ho pensato di far trasferire lì Alessio Gigli, costruendovi intorno anche le vicende della sua storia familiare. Del resto, piccoli elementi autobiografici entrano sempre all’interno della narrazione.
Si potrebbe dire che il filo conduttore del romanzo è anche in questo caso l’amore: l’amore per i genitori, l’amore per zio Zago, l’amore di coppia, infine l’amore per sé stessi. Quanto conta il prossimo e quanto la consapevolezza interiore nell’autodeterminazione dell’individuo?
Sia l’amore per sé stessi che per il prossimo è fondamentale nella costruzione di sé stessi. In fondo non conosco nessuno che non voglia autodeterminarsi… a parte Ilia Ilyic Oblomov! Anche Alessio Gigli, nonostante la sua depressione e la sua apatia, è alla continua ricerca di sé stesso. È una personalità complessa ma dallo spirito critico fortissimo. Ho lavorato tre anni su questo romanzo proprio per scongiurare il rischio “scopiazzatura”.
La vera sfida non è stata soltanto la trasposizione del protagonista ai giorni nostri, ma anche la creazione di personaggi con una forte personalità che fossero connessi con Alessio Gigli, senza scimmiottare quelli di Gončarov. Sebbene il focus principale sia su Alessio, anche i personaggi satelliti (come li definirebbe Tolstoj) sono tutti alla ricerca di sé stessi, ognuno determinato a cercare il suo “vero giorno”.
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Alessio Gigli infatti, a differenza di Oblomov, lotta per il suo vero giorno, lo insegue. Tutti in fondo sono alla ricerca della giornata perfetta. Quando è avvenuto il “vero giorno” di Antonello Loreto?
Tornando ai riferimenti autobiografici, a livello di scelte di vita, la mia parabola è simbolicamente molto vicina a quella di Alessio Gigli. Per quanto infatti avessi un buon guadagno, non ero soddisfatto della mia carriera manageriale. Non sentivo il mio lavoro corrispondente ai miei desideri, quindi a un certo punto ho mollato tutto e sono andato incontro al mio “vero giorno” ossia la passione per la scrittura. Da un lato una scelta avventata, ma per certi versi anche coraggiosa.
Dopo undici anni che mi dedico completamente alla scrittura posso voltarmi indietro e dire che questa decisione si è confermata il mio vero giorno. Ovviamente non si è trattato di un unico giorno, ma di un periodo nel quale ho apportato dei cambiamenti. Nei momenti di transizione devo dire di essere stato fortunato perché ho potuto contare sui benefici economici della mia precedente professione, ma soprattutto sul sostegno della mia famiglia, a cominciare da mia moglie e da mio padre; mio padre è uno scrittore mancato, scrive cose meravigliose che non ha mai voluto pubblicare, ma posso affermare che è il mio primo lettore e il mio primo correttore di bozze. La scrittura mi ha aiutato anche a recuperare il rapporto con lui.
“È più bella dell’attacco di Sweet home Alabama”, scrive a un certo punto Alessio Gigli pensando alla sua amata. Esiste una tracklist anche per Il giorno della festa? E quanto incide la musica nella stesura di un romanzo?
In questo caso la musica c’entra solo a livello di citazione. Mi è piaciuto, come una sorta di vezzo, disseminare qua è là nomi di band poco conosciute. In realtà in questo libro, a differenza di altri miei romanzi come Regina Blues o La libertà macchia il cappotto, la musica non c’è o comunque rimane in sottofondo. Scelta atipica perché in generale io considero la musica un elemento fondamentale nella costruzione di un romanzo; un po’ come in un film la colonna sonora dà un’impronta alle scene, così io spesso utilizzo la musica per innescare l’azione di un personaggio, per creare una suggestione, per tratteggiare una particolare atmosfera.
Dal punto di vista pratico, mentre sto scrivendo, io ho bisogno di ascoltare musica; se non c’è una canzone di sottofondo non mi riesco a concentrare.
Progetti per il futuro?
Per il momento la diffusione e la promozione di questo romanzo, la cui lavorazione è stata molto complicata. Non è stato facile a livello di dialoghi e ambientazione trasporre un’opera russa ottocentesca ai giorni nostri.
Volevo creare un romanzo nuovo, che rendesse omaggio a Oblomov, che avesse lo stesso odore ma un sapore proprio, completamente diverso. Inizialmente nella stesura, in corso d’opera, avevo pensato di far litigare Gončarov con la voce narrante sui problemi che avevo in fase di editing.
Non so se avrò mai modo di far leggere questi pezzi, ma poi ho ritenuto che fosse una cosa troppo sperimentale e ho proseguito per una narrazione più lineare. Questo per far capire che c’è stato un grandissimo lavoro di studio dietro, della durata di tre anni, che spero venga apprezzato.

Antonello Loreto presenterà il libro a L’Aquila sabato 22 marzo presso il bistrot letterario LiberaMia alle ore 18. È previsto un lungo tour di presentazioni tra Abruzzo, Lazio e Umbria che comprende anche una significativa tappa al Salone Internazionale del Libro di Torino (15-19 maggio).
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