L’intervista. “Amori Rubati”: la rassegna a cura di Federica Di Martino per dire stop alla violenza di genere
È in corso a Roma la quarta edizione della rassegna “Amori Rubati“, ideata e curata da Federica Di Martino, che affronta il tema della lotta alla violenza di genere attraverso monologhi, una mostra fotografica, letture sceniche, incontri con autori e istituzioni.
Il progetto, nato nel 2021, ha dato vita ad uno spettacolo composito e modulabile, costituito da cinque monologhi tratti dal romanzo “L’amore rubato” di Dacia Maraini e adattati per la scena dalla stessa autrice, con tema centrale la violenza sulle donne.
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Quest’anno il Teatro di Roma diventa sostenitore della rassegna di Federica Di Martino e, in occasione della celebrazione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne (25 novembre), ospita al Teatro India le due pièce di “Anna” e “Angela” (uno alle 21 e l’altro alle 22), a cui si affianca nella stessa settimana la messinscena al Teatro di Documenti di Roma, dal 19 al 25 novembre, del terzo monologo dal titolo “Marina“, anch’esso tratto da un’opera di Dacia Maraini.
Il programma
L’intervista a Federica Di Martino
Qual è stata la genesi di questo progetto?
“Amori Rubati” nasce nel 2013, quando io mi sono imbattuta nel libro “L’amore rubato” di Dacia Maraini, che era appena uscito, nel quale sono racchiusi otto casi di cronaca vera (che hanno per tema la violenza sulle donne) che Dacia ha romanzato. Mi sono imbattuta in uno di questi racconti, dal titolo “Cronaca di una violenza di gruppo”, che mi ha riportato alla mente un fatto di cronaca che mi aveva molto colpito anni prima: uno stupro avvenuto a Montalto di Castro, per cui il sindaco prese 40.000 € dalle casse comunali per pagare le prime spese legali degli aggressori. Dunque ho deciso di mettere in scena questo racconto.
Questo è un tema a cui sono molto sensibile, essendo donna: credo possa e debba essere trattato con quello che è un mezzo di comunicazione ai massimi livelli, il teatro. Quindi, andando avanti nel tempo, ho maturato l’idea di mettere in scena tutto il libro della Maraini, tutti gli otto racconti. Ho cominciato coinvolgendo Dacia nel realizzare un adattamento teatrale di altri quattro racconti contenuti nel suo libro e ho coinvolto quattro attrici – Viola Graziosi, Silvia Siravo, Federica Restani e Lorenza Sorino – ed è nato così lo spettacolo “Amori Rubati”. Intorno allo spettacolo ho costruito anche una rassegna, che comprende incontri con politici, giornalisti, intellettuali che hanno scritto di questo tema, sotto vari punti di vista.
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Come è avvenuto l’incontro con Dacia Maraini? Come vi siete scelte?
L’incontro con Dacia è avvenuto quando ho messo in scena questo spettacolo, “Cronaca di una violenza di gruppo” e l’ho invitata a teatro. Era il 2013, lei è venuta, si è innamorata dello spettacolo e poi negli anni siamo rimaste in contatto. Ho anche un altro progetto – che spero possa vedere la luce – su un adattamento di un altro romanzo di Dacia.
Giunti alla quarta edizione, come è cambiato nel tempo “Amori Rubati”? Quali novità ci sono quest’anno?
La grande novità che mi ha riempito di gioia è che quando ho interpellato le persone che volevo partecipassero agli incontri – quali Lucia Annibali, l’Onorevole Laura Boldrini, l’autrice Maria Grazia Calandrone, l’autore Emanuele Corn, la magistrata Paola Di Nicola Travaglini e il PM Francesco Menditto e tanti altri -, tutti quanti mi hanno subito detto di sì, senza che io dovessi spiegare che cosa fosse la rassegna. Questo è un grande cambiamento.
Inoltre, questo è il primo anno in cui gli spettacoli coinvolti – tre monologhi, quello di Lorenza Sorino, quello di Viola Graziosi e quello di Federica Restani – vengono rappresentati tutti quanti a Roma, grazie alla partnership del Teatro di Roma, grazie al Teatro India che ospita due degli spettacoli. Invece prima la rassegna si svolgeva a Roma (al Teatro di Documenti) e in altri teatri in Italia.
E il pubblico come reagisce? È cambiato negli ultimi anni?
Mi piacerebbe. Certo, il pubblico rimane sempre molto colpito, quindi credo che forse usare questo mezzo per parlarne, per far sentire la nostra voce o “fare rumore”, come diceva la sorella di Giulia Cecchettin, ha un senso. Però, purtroppo, i frutti che si vedono sono sempre troppo pochi.
Che ruolo ha il teatro nell’affrontare un tema così importante come la lotta alla violenza di genere? Pensa che possa essere la miglior forma d’arte per arrivare direttamente alla coscienza del pubblico, per provocare una reazione?
Io ovviamente ti direi di sì, perché è la forma d’arte nella quale mi esprimo, quindi quella che conosco meglio. Ritengo però che il teatro abbia una potenza, rispetto a tutte le altre forme di comunicazione, di conversazione, di scambio molto più potente delle altre. E questo in pochi se lo ricordano e lo sanno, per cui insomma è bene ricordarlo anche attraverso questa operazione. Siamo bombardati di informazioni anche in merito a questo tema: ecco, il teatro rimane un’esperienza che coinvolge chi ti sta raccontando una storia e tu che la guardi. Secondo me c’è una forma di coinvolgimento emotivo speciale, se non migliore delle altre: richiede se non altro una maggiore attenzione da parte del pubblico e uno sforzo fisico e vocale da parte dell’attrice. E poi noi abbiamo scelto la strada della favola nera per la rappresentazione dei nostri monologhi, non quella civilistica. Spesso per fare teatro parlando di questi temi, si prende il microfono e si racconta una storia, invece noi facciamo vivere queste storie.
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Il pubblico di “Amori Rubati” viene coinvolto ancora di più grazie alla consapevolezza di fare direttamente beneficenza: come vengono scelte le associazioni ogni volta?
Il primo anno ho utilizzato un criterio: ho deciso di donare all’associazione più povera tra quelle che intervenivano. Poi invece abbiamo deciso che ogni anno cerchiamo di premiare una delle associazioni che sono intervenute l’anno prima. Sono degli interventi molto potenti che toccano anche noi che organizziamo e ne rimaniamo colpiti.
Quest’anno, per esempio, abbiamo scelto l’Associazione Forti Guerriere perché il loro intervento di due anni fa ci colpì molto, con le loro storie di queste donne che hanno il doppio problema di essere vittime di camorra e di violenza. Un altro anno abbiamo scelto le ragazze di Donnexstrada, che avevano avuto un’idea estremamente innovativa (tra le altre): la possibilità di fare delle dirette Instagram per le donne sole, per farle sentire protette al loro rientro a casa, qualora si sentissero minacciate. Mi è sembrata un’idea innovativa e geniale, che ho voluto premiare. Poi tra le associazioni a cui abbiamo donato c’è anche Amleta, che ovviamente mi riguarda da vicino essendo un’associazione che tutela le donne di spettacolo e le attrici.
In questa edizione lei resterà dietro le quinte. Quando potremo vederla di nuovo sul palco? Sta lavorando ad altri progetti nel frattempo?
Sì, quest’anno sono purtroppo solo dietro le quinte perché debutto martedì 26 al Teatro Argentina con il “Re Lear”!
Da Andromaca ad Elena, da Desdemona ad Ada, da Eleonora Duse alla Figlia di Iorio: nella sua carriera ha interpretato donne importanti della tradizione teatrale. Cosa le hanno lasciato? Quanto invece c’è di Federica Di Martino in ognuna di loro?
Di Federica Di Martino c’è sempre tutto, perché ci sono il mio corpo e la mia voce, che possono mutare ma bene o male sono sempre gli stessi. Poi al mio corpo e alla mia voce si somma un lavoro di immaginazione riguardo a un personaggio che io interpreto. Devo dire che quello che mi ha lasciato di più, anzi quello a cui sono più affezionata è Ilse de “I giganti della montagna”, ma anche Medea o ancora Elettra. Insomma sono personaggi “estremi”. Fanno tutti parte di un percorso: nella vita di un attore, i personaggi interpretati lavorano dentro di te anche quando li hai dismessi, e anche nei prossimi personaggi che interpreti metti dentro sempre anche qualcosa di loro.