L’intervista. Alessandro Blasioli in “Sciaboletta, la fuga del re”: l’ironia per smascherare la storia
Il Teatro Off di Avezzano accoglie il 2025 con lo spettacolo “Sciaboletta, la fuga del re”, scritto, diretto e interpretato da Alessandro Blasioli, in scena venerdì 10 gennaio presso il Castello Orsini di Avezzano.
Lo spettacolo, premio delle Giurie Festival Direction Under 30 di Gualtieri e Miglior Testo Festival ShortLab di Roma, ripercorre le ultime ore da sovrano del “piccolo” di casa Savoia, attraverso i suoi occhi e di tutti coloro che se la diedero a gambe con lui.
Sinossi
“9 Settembre ’43, 5.30 del mattino: una colonna di 40 auto nere sta valicando gli Appennini lungo Via Tiburtina, direzione Abruzzo; in testa alla colonna una Fiat 2800 grigio-verde con i vetri oscurati e le bandierine italiane poste sopra i fanali anteriori.”
Inizia così la fuga di Re Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia, a seguito della dichiarazione d’Armistizio proclamata dal Generale americano Eisenhower. Districandosi nella notte fra i selvaggi paesaggi abruzzesi, Re Vittorio Emanuele III troverà non pochi problemi lungo la via per la salvezza: i presidi tedeschi, le bande di paese e l’ombra di Mussolini, che oscura la figura sovrana al punto da farla andare in escandescenza in una invettiva antifascista quantomai attuale. La storia è nota: il vecchio Re 74enne fugge verso la salvezza.
L’intervista a Alessandro Blasioli
Che tipo di spettacolo dovrà aspettarsi chi questa sera verrà a vedere “Sciaboletta, la fuga del re“?
Un teatro di narrazione, quindi un racconto con una persona sola che però interpreta diversi personaggi e con un ritmo ben teso e abbastanza veloce. Si racconta una storia vera: effettivamente le situazioni che si sono verificate in quei tre giorni cruciali per la storia d’Italia, dall’8 al 10 settembre 1943.
Possiamo spoilerare il motivo dietro la scelta di questo titolo?
Preferirei di no perché si capirà solo alla fine… però chi ha studiato abbastanza o è abbastanza interessato al momento storico, sa che è un nomignolo che è stato dato al re. Ma non posso dire il perché!
Qual è stata la genesi di questo spettacolo?
Ho scritto questo spettacolo nel 2018, quando a Roma, nel quartiere dove vivevo, si stavano verificando delle violenze per strada nei riguardi di persone evidentemente straniere, il tutto a causa di un malcelato clima d’odio verso il diverso. Questo ha fatto sì che decidessi di raccontare il momento storico del fascismo, però dal punto di vista non già di un membro della Resistenza, di un partigiano, non già dal punto di vista di un fascista o di Mussolini – perché comunque l’argomento è già stato ampiamente affrontato. Ma ho deciso di parlare di quel periodo storico dal punto di vista del monarca perché si ricorda sempre la dittatura, ma il ventennio fascista in realtà è stata una diarchia: c’era il re che ha preso delle importanti decisioni, per assurdo non prendendo decisioni.
Quali sono state le tue fonti? E quanto invece c’è di romanzato?
Tra le fonti c’è prima di tutto la monografia “Vittorio Emanuele III” a cura di un autore francese, Le Moal, proprio perché volevo avere uno sguardo quanto più distaccato e non di parte. Ci sono anche delle monografie del re create dal Comandante Generale di Campo: ho preso ispirazione anche da questi racconti italiani, ma per lo più ho fatto riferimento alla monografia di Le Moal. Lo spettacolo è un po’ romanzato, ma nemmeno troppo: nel senso che i miei personaggi sono un po’ archetipi di macchiette – è la mia cifra stilistica. Non racconto e basta, ma interpreto il personaggio e generalmente questo ha delle caratterizzazioni fisiche e vocali particolari. Per questo motivo posso dire che è un po’ romanzato: il mio re parla napoletano, ma chiaramente non è quello il suo reale linguaggio!
Più in generale, da chi prendi ispirazione in qualità di attore, sceneggiatore e anche regista?
Prendo ispirazioni dai grandi maestri del teatro di narrazione: apprezzo moltissimo Baliani, Paolini, Celestini, Cosentino e anche Frosini/Timpano per la loro particolare scrittura. Mi lascio ispirare dal panorama romano e non solo, comunque rimango abbastanza in Italia.
Dal 2016 sei un artista indipendente: scrivi, dirigi e interpreti i tuoi spettacoli/monologhi. Come definiresti il tuo stile? Qual è il tuo processo creativo?
Questa è una domanda un po’ complessa: non mi sono mai posto il problema di definire il mio stile, ma sento che c’è un fil rouge che accompagna la mia scrittura. Sono alle porte del quarto monologo scritto, diretto e interpretato da me – che non è molto ma non è poco! Mi sento di dire che comunque, in questi racconti, si sente chiaramente che la matrice è sempre la stessa, è sempre la stessa persona che decide di prendere un racconto, una storia che particolarmente gli è rimasta impressa e decide di adattarla a quelle che sono le proprie capacità e limitazioni.
Per quanto riguarda invece il processo creativo, all’inizio c’è sempre la fase di ricerca, di interessamento e approfondimento, poi si passa a una fase di scrittura e si prova in piedi per vedere se funziona. Dopodiché si modella il testo a seconda di quelle che potrebbero essere necessità drammaturgiche.
In che rapporti sono Alessandro Blasioli regista e Alessandro Blasioli interprete?
Ci parliamo, ogni tanto litighiamo… ma in buoni rapporti!
“Sciaboletta” si rivolge direttamente ad una società che pare stia entrando -ancora una volta- in un’epoca nazionalista e xenofobica: come si pone il tuo spettacolo in questo contesto?
Lo spettacolo vuole essere una “lente d’ingrandimento” sui giorni cruciali del 1943, che sembrano essere molto lontani, ma che di base hanno decretato quello che siamo oggi, perché in quei giorni è stato firmato l’armistizio e il re ha preso delle decisioni – ripeto, anche non prendendole, non parlando in maniera giusta, efficace e comprensibile – lasciando il Paese a se stesso. Siccome al giorno d’oggi ci sono sempre più riferimenti al passato, che sia da parte della fazione a favore o da parte della fazione contro, sembra che un neofascismo generale e globale si stia diffondendo sempre di più. Per questo motivo ho deciso di scrivere questo spettacolo, perché possa appunto dare un’immagine esaustiva, un punto di vista differente di quei giorni, e meglio comprendendo il passato comprendere magari anche un po’ il presente che ci circonda.
Nel 2025 ricorrono i 100 anni dall’inizio della dittatura fascista e gli 80 dalla Liberazione: che ruolo ha la cultura, e in particolare il teatro affinché la storia non si ripeta? L’ironia può essere la chiave?
Credo che l’ironia sia una possibile chiave, ma è sicuramente efficace in un momento storico in cui il fatto di essere costantemente bombardati di informazioni e di immagini, spesso ci spinge anche a voler cercare dei momenti di stacco, di totale disinteresse al mondo che ci circonda e banalmente cercare l’ilarità. Io cerco di portare la comicità e l’ironia in argomenti che solitamente sono affrontati in un altro modo. Personalmente credo che, se affrontati così, determinati argomenti possano essere assai più facilmente portati davanti a una platea giovane.
Sono previste altre repliche di “Sciaboletta, la fuga del re“? Altri progetti per il futuro?
Per adesso sì, in Piemonte a marzo e poi – essendo un lavoro completamente autoprodotto mi occupo anche della distribuzione – solitamente quando si fa spettacolo in un luogo, accade spesso che venga richiamato in quello stesso luogo per portare anche l’altro monologo. Quindi mi auguro di tornare presto anche ad Avezzano con il mio primo monologo, “Questa è casa mia” sul post-sisma aquilano. È un argomento difficile soprattutto per noi abruzzesi, però appunto affrontato con la giusta ironia. Mi trovo in questa posizione strana, me ne rendo conto, ma lo consiglio – ha vinto 17 riconoscimenti! Altri progetti per il futuro? La scrittura dell’ultimo monologo, così siamo a quota quattro – e poi tanta distribuzione!