L’intervista a Paolo Hendel: senza satira siamo persi, ma questo governo avrebbe dovuto chiamare Carcarlo Pravettoni… sono offeso
Paolo Hendel, avvalendosi della preziosa e irrinunciabile complicità del coautore Marco Vicari e del regista Gioele Dix, si racconta con una sincerità disarmante e, attraverso una esilarante carrellata di commenti di “utenti indignati” sul web, racconta l’Italia di oggi nello spettacolo “La giovinezza è sopravvalutata“.
“Tutto è iniziato il giorno in cui ho accompagnato mia madre novantenne dalla nuova geriatra. In sala d’attesa, la mamma si fa portare in bagno dalla badante. Un attimo dopo la geriatra apre la porta del suo studio, mi vede e mi fa: ‘Prego, sta a lei…’.”
Grazie a quell’incontro Hendel si rende conto che si sta “pericolosamente” avvicinando alla stagione della terza età e che è venuto il momento di fare i conti con quella che Giacomo Leopardi definisce “la detestata soglia di vecchiezza”. Lo fa a suo modo, in una sorta di confessione autoironica sugli anni che passano, con tutto ciò che questo comporta: ansie, ipocondria, visite dall’urologo, la moda dei ritocchini estetici e le inevitabili riflessioni, sia di ordine filosofico che pratico, sulla “dipartita”.
Le paure, le debolezze, gli errori di gioventù sommati agli “errori di maturità” sono una continua occasione di gioco nel quale è impossibile non rispecchiarsi, ciascuno con la propria vita, la propria esperienza e la propria sensibilità, in una risata liberatoria.
“La giovinezza è sopravvalutata” ma, a giudicare dal tuo entusiasmo e dalla tua energia, potremmo dire che, invece, è l’avanzare dell’età a essere sottovalutata…
La giovinezza sopravvalutata è il punto di partenza che ha dato il nome allo spettacolo. Detto questo, non vorrei essere frainteso: io sono contento di essere stato giovane, mi son trovato bene, mi è piaciuto e se mi dovesse ricapitare lo rifarei anche volentieri. Dico soltanto che mi son trovato bene anche dopo. Senza contare che c’è un solo modo per evitare di diventare vecchi, morire prima, e non mi sembra una gran soluzione. Ridere delle cose della vita che non ti piacciono, che ti fanno paura e che ti fanno arrabbiare aiuta a esorcizzarle, in qualche modo. Fa stare meglio e poterlo fare in teatro insieme al pubblico è ogni volta una bella emozione per me.
In questo spettacolo racconti con ironia e dissacrante cinismo il passaggio dalla gioventù all’anzianità, tra aneddoti e riflessioni agrodolci. Ma, esattamente, quando si diventa anziani?
Il prof Francesco Maria Antonini, uno degli inventori della geriatria, sosteneva l’importanza di rimanere sempre curiosi della vita. Bisogna mantenere sempre viva la capacità di indignarsi di fronte alle cose che non vanno per il verso giusto. Sant’Agostino ha scritto “la speranza ha due bellissimi figli, l’indignazione e il coraggio. L’indignazione per come vanno le cose e il coraggio di cambiarle.” Se hai questo dentro di te puoi avere anche 150 anni ma non sarai mai veramente vecchio.
Alberto Sordi, ne “Il Marchese Del Grillo” affermava che “quanno se scherza, bisogna esse seri”. E’ questa la ricetta segreta del tuo stare in scena?
Direi che è importante saper ridere di sè stessi e ridere è un bisogno fisiologico che abbiamo tutti. Ogni volta è come respirare una boccata d’aria buona.
Negli anni del politically correct, è ancora possibile fare satira? E’ più difficile ora o all’inizio della tua carriera?
Non solo è possibile, ma è necessario ora come lo era prima, se non più di prima. Partire da se stessi vuol dire ridere delle proprie debolezze e delle proprie paure. Viviamo in un’epoca difficile, con una guerra alle porte che potrebbe finire in terza guerra Mondiale – che a quel punto sarebbe l’ultima – con una pandemia che ha stravolto il mondo, col riscaldamento globale e il disastro climatico incombente. Se mi metto nei panni di chi è giovane oggi, non è certo una vita facile. Condividere queste paure diventa un gioco necessario e liberatorio per tutti. E dopo ci si sente meno soli.
Sei di Firenze, città che oltre a essere la culla del Rinascimento, è senz’altro tra le avanguardie della commedia e dell’ironia pungente. Appartieni a quella generazione che ha sfornato talenti incredibili. Qual è lo stato di salute della comicità fiorentina?
La comicità, quella bella, non ha confini geografici. Può essere di qualsiasi parte dell’Italia e del mondo, ed è bello scoprire di tanto in tanto nuovi talenti, che provengono dai posti più diversi, dai quali imparare qualcosa. Poi ci sono delle mode, è vero. La comicità toscana ha passato un periodo particolarmente felice e ha sfornato grandi comici. Ma la comicità milanese, romana, siciliana o napoletana non sono certo da meno. E’ bello sentire le diverse caratteristiche di un comico o di una comica a seconda della loro provenienza geografica.
E poi c’è la stand up comedy, che in Italia sembra particolarmente ricercata pur non essendo autoctona, per lo meno non nella sua origine storica…
I nostri migliori comici hanno un meccanismo che richiama la stand up comedy. Sono meccanismi legati al fatto di mettersi in scena e raccontarsi, creando una sintonia col pubblico. Il nostro migliore Benigni e il Beppe Grillo degli inizi si sono inventati monologhi straordinari.
Tra i tuoi personaggi più famosi c’è Carcarlo Pravettoni. Cosa direbbe della società odierna e della politica italiana? Quali sarebbero le sue proposte per uscire dalla crisi?
Ma guarda, sono meravigliato dal fatto che Pravettoni non sia stato preso in considerazione da questo nuovo governo. Ero sicuro che gli avrebbero dato una carica. E’ uno scandalo che non sia successo! Battute a parte, vestire i panni di Carcarlo, per me, è stata una splendida avventura, non fosse altro per la parrucca. Avere una folta chioma di capelli che, nonostante il tempo che passa, restano neri, è una bella fortuna. A volte temo che la sua parrucca possa imbiancarsi e svelare una calvizie incipiente, tipo ‘Il ritratto di Dorian Grey’.
La regia dello spettacolo è firmata da Gioele Dix, altra punta di diamante del fu “Mai Dire Gol”. Avete un background per molti versi simile, per cui volevo chiederti quanto spazio ti lascia nella sceneggiatura di uno spettacolo. Come è il suo approccio alla regia?
Questa riflessione è importantissima. Puoi avere il migliore regista del mondo ma se non hai la stessa chiave nel costruire un monologo comico sei fregato, viene fuori un disastro. Con Gioele c’è una forte sintonia su tutto…Per quanto riguarda Pravettoni devo dire che è nato grazie alla genialità di quei tre casi umani della Gialappa’s Band, Marco Santin, Carlo Taranto e Giorgio Gherarducci. E’ nato grazie a loro e alle loro intuizioni, quando mi hanno proposto un personaggio del genere ho pensato che non sarei mai riuscito a realizzarlo.
Tu, Dix, Paolantoni, Luttazzi, Bisio, Aldo Giovanni e Giacomo, e molti altri: Mai Dire Gol è stato una fucina di talenti straordinari. Un programma così manca alla tv italiana…
Bravo, tutto vero: chiunque di noi sia finito nelle mani della Gialappa’s Band ha dato il massimo con risultati straordinari. Eravamo tutti nelle mani giuste, in grado di dare il meglio. Per fortuna mi può capitare ancora di trovarmi a mio agio in televisione, come mi è successo con Serena Bortone a “Oggi è un altro giorno”, oppure quando sono stato da Luca Barbarossa a “Radio 2 Social Club”, dove si respira l’aria giusta. Con la Gialappa’s Band a Mai Dire Gol eri in una situazione perfetta. Elencare tutti i talenti che sono usciti da quel programma sarebbe troppo lungo. Sarebbe fantastico rifare Mai dire gol!”
Non solo sarebbe fantastico, ma sarebbe dovuto, aggiungiamo noi, nei confronti di tutti coloro i quali vogliono ridere senza preoccuparsi delle conseguenze di una battuta, di uno sketch dall’umorismo sottile o sopraffino, o da una messinscena volutamente grottesca e provocante. Negli anni del buonismo ipocrita ed esasperato, Carcarlo Pravettoni sguazzerebbe con tutte le sue malizie burocratiche, amministrative e, soprattutto, antropologiche.
Darebbe filo da torcere ai benpensanti che si scandalizzano se Blanco prende a calci i fiori sul palco del Festival di Sanremo, o ripetono all’infinito che la televisione dovrebbe lanciare buoni messaggi, soprattutto ai giovani.
Quali siano questi buoni messaggi, però, è spesso difficile comprenderlo. E perché proprio giovani, pubblico targhettizzato senza età specifica ne abbiano bisogno, sottovalutando, se non mettendo da parte la loro capacità di cercarseli da soli, è una paternale di fastidiosa retorica che non fa altro che marcare un gap generazionale in molti casi inesistenti.
D’altronde la vita si è allungata, quindi quando si smette di essere giovani? E quando si diventa anziani o di mezza o tarda età? Bisogna restare curiosi, bisogna indignarsi, è necessario reagire ma, soprattutto, è fondamentale ridere. Antonini e San’Agostino avevano ragione, e anche Sordi e Hendel, così come Voltaire che affermava “Dio è un comico che suona per un pubblico troppo spaventato per ridere“.