L’intervista a Michela Andreozzi, tra i registi di “100 di questi anni” per l’Istituto Luce
La Festa del Cinema di Roma, in collaborazione con “Alice nella città”, presenta in anteprima assoluta “100 di questi anni“, un film a episodi per celebrare il centenario dell’Archivio dell’Istituto Luce, tra le più antiche e note istituzioni pubbliche destinate alla diffusione cinematografica a scopo didattico e informativo del mondo.
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Per festeggiare questo speciale compleanno, l’Archivio Luce porta il pubblico italiano al cinema con un’iniziativa unica: un film a episodi composto da sette cortometraggi diretti dai protagonisti della commedia italiana contemporanea, che uscirà al cinema nel 2025.
La regia è stata affidata ad alcuni dei nomi più brillanti e amati dei nostri schermi: Michela Andreozzi, Massimiliano Bruno, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Francesca Mazzoleni, Rocco Papaleo, Sydney Sibilia. Autori e interpreti di una nuova commedia italiana che ha conquistato il pubblico a suon di risate e riflessioni più attuali che mai.
Il risultato è anzitutto un omaggio divertito allegro e variegato a un secolo di memoria audiovisiva. Ma è anche un modo creativo per esplorare e reinterpretare il ricco patrimonio d’immagini del nostro Paese.
Ne abbiamo parlato con la regista Michela Andreozzi, apprezzatissimo volto noto di cinema, teatro e televisione.
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L’intervista a Michela Andreozzi
In “100 di questi anni” alcuni dei nomi più brillanti e amati dei nostri schermi si uniscono insieme per celebrare l’Istituto Luce: come è stato lavorare a questo progetto?
È stato molto interessante perché, da una parte eravamo vincolati ad utilizzare il materiale di repertorio, ma dall’altra abbiamo avuto praticamente libertà assoluta. È stato come avere una carta di credito illimitata per un negozio vintage che ti piace molto: dovevamo fare acquisti nel negozio “Istituto Luce”, ma avevamo carta bianca dal punto di vista creativo. È stato davvero molto bello.
Il film è presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma: ci può anticipare qualcosa del suo episodio?
Il mio è un tema legato alla considerazione del femminile nel corso del tempo, chiaramente essendo un progetto sui 100 anni dell’Istituto. Posso anticipare solo che saranno praticamente tutte commedie. È un progetto di quelli che li vedi e dici: “Ammazza che figata che abbiamo fatto!”. Perché ognuno ha dato veramente il meglio di sé.
Quindi cosa deve aspettarsi il pubblico da questa visione?
Tantissima varietà con il leit motiv del nostro passato, quello del patrimonio italiano, rappresentato proprio dall’”Archivio Luce”. È tutto girato in commedia quindi gli spettatori devono aspettarsi un grande divertimento, una bella riflessione sui nostri tempi e su come siamo cambiati ma anche su come, per certi versi, siamo rimasti uguali. Poi ogni regista ha messo un po’ del suo: dal tema del femminile a quello del lavoro, fino alla realizzazione personale. Ci sono mille aspetti e sfaccettature diverse, infatti anche io non vedevo l’ora di vedere i corti degli altri. Sarà molto bello anche il montaggio: l’intero film è stato montato in un modo organico, per cui il progetto finale ha una sua drammaturgia.
Cosa ha rappresentato l’Istituto Luce per il panorama cultura italiano? A 100 anni dalla sua nascita, il binomio “Istituto Luce – fascismo” è ancora un tabù?
Credo che non abbiano niente a che fare, la questione è diversa: l’Istituto è nato durante quel periodo storico e devo dire che soprattutto alcuni cinegiornali facevano abbastanza ridere, perché erano intrisi di idee sessiste, sulla crisi della tradizione o comunque di invalidità sociale. Però, in realtà, credo che non fosse strettamente legato alla politica fascista, semplicemente era legato al nostro passato. Ormai non siamo assolutamente più così e credo che la creazione dell’Istituto Luce sia stata un bene: adesso ci ritroviamo un patrimonio culturale, iniziato in una certa epoca ma oggi diventato a tutti gli effetti patrimonio culturale italiano. È un archivio di costume, ma anche antropologico, della storia del nostro Paese. È preziosissimo.
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Che momento sta vivendo ora il cinema italiano, a suo avviso?
Purtroppo è in una situazione difficile perché è stato messo mano al tax credit. La cultura, le maestranze e gli attori non sono sostenuti come si dovrebbe da un punto di vista socio-politico. Credo sia un momento di cambiamento, ma bisogna fare in modo che questo ci porti in un luogo virtuoso e non ci faccia tornare indietro.
Invece, da un punto di vista creativo, penso che stiamo andando benissimo: ho visto delle cose fantastiche, soprattutto da parte di donne. Solo in quest’ultimo anno, vivo come un pregio il fatto di essere una donna che fa cinema. Tra “Vermiglio” della Delpero, il film della Comencini, quello della Cortellesi e tutte le altre abbiamo dato un buonissimo apporto al cinema. E poi mi sembra che le ultime uscite siano davvero belle. Un po’ un classico per l’Italia: quando il nostro Paese va in crisi, purtroppo o per fortuna, l’arte e la coscienza si risvegliano, la nostra cultura si fa sentire. È la nostra pena di contrappasso.
Qual è il rapporto tra Michela Andreozzi e il cinema?
Oh, beh io ne sono dipendente! Sono stata cresciuta dal cinema in sé e dal cinema in televisione. Ho un rapporto assolutamente da spettatrice: io non sono una collega quando vado al cinema, vedo i film in modo emotivo, “de panza”. Sicuramente ho una certa ottica: noto ovviamente le tecniche usate, ma quello non cambia l’impatto emotivo che un film può avere su di me. Magari penso “Ammazza, guarda che movimento di macchina! Ammazza quanto ha diretto bene gli attori”. Ad esempio, in “Vermiglio” ho adorato le inquadrature fisse, con la macchina che si muove soltanto due o tre volte, per delle ragioni molto importanti. Certo, noto la tecnica ma in realtà sono una spettatrice “vera”: giudico semplicemente dal tipo di emozione che un progetto mi ha regalato – che sia commozione, ma anche riso, divertimento.
Credo però che il nostro cinema sia fin troppo stratificato: da una parte ci sono giustamente i grandi leoni del nostro cinema, che ancora ci deliziano con le loro opere – Bellocchio su tutti -, ma dall’altro ci sono compartimenti un po’ stagni, eccessive divisioni e etichettamenti tra dramma e commedia, tra cinema alto e cinema basso, tra film d’autore e non d’autore. Diciamo che, rispetto agli altri Paesi del mondo, siamo un po’ più snob. Sarebbe sufficiente valutare se un film è buono o non è buono per la qualità del progetto. In questo senso sono contenta di far parte di un progetto in cui gli episodi sono tutte commedie: io difendo la commedia come veicolo di riflessione e di scambio, non solo di divertimento. Ne è un esempio il mio primo film, in cui parlavo della gpa (gestazione per altri, ndr): si possono affrontare temi impegnati anche con la commedia. Da questo punto di vista, la Francia è molto più aperta.
A proposito di commedia, in questi giorni è al Teatro Manzoni con “A letto dopo Carosello”…
Era la frase con cui negli anni Settanta i grandi ci dicevano di andare a dormire: “Carosello” c’era subito dopo il tg e quello era l’orario ultimo per rimanere svegli. Il programma è finito nel ’77, quando andavo ancora alle elementari, ma appartengo ad una generazione completamente analogica, che aveva una certa tv e un certo cinema. A tutto ciò è dedicato questo spettacolo fortunatissimo, che gira già da quindici anni e che per me è una “madeleine”. È la mia “madeleine” personale ma anche un “come eravamo”, un excursus su e come siamo stati e su come, per certi versi, forse non smetteremo mai di essere, in quanto italiani e in quanto artisti. Alla fine i bambini sono tutti uguali, quello che cambia è il contesto esterno.
C’è un momento, un programma della televisione a cui è particolarmente legata?
Io sono stata folgorata sulla via di Damasco da un programma del 1974 che si chiamava “Milleluci”, condotto da Raffaella Carrà. Era uno show di un’eleganza incredibile, in bianco e nero, con ospiti di tutti i tipi. C’era una tale eleganza, una tale esibizione di talenti che noi eravamo tutti incantati davanti alla tv nel vederlo il sabato sera. Tra l’altro mia sorella è nata proprio in quel periodo, quindi in quelle settimane in cui mia mamma era in ospedale a partorire, io ho potuto vedere due puntate di “Milleluci” da sola con la nonna che dormiva sulla poltrona: la prima cosa “da grande” che ho fatto! “A letto dopo Carosello” ha molto a che fare con quel mondo culturale e quell’immaginario collettivo.
Teatro, cinema, televisione e tanto altro ancora. Che cosa riserva il futuro a Michela Andreozzi?
Lo stesso! Continuo a seminare in tutti gli ambiti, mi muovo sempre a 360°, spinta dalla curiosità che mi porta a sperimentare… stesso effetto della noia, ma fino ad adesso non mi sono praticamente mai annoiata!
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