L’industria dei cartoni animati in ginocchio: Made in Italy sì, ma non per l’infanzia
Nell’ultimo Consiglio dei ministri la revisione del Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi (Tusmav) ha eliminato drasticamente la possibilità di introdurre sottoquote di programmazione e di investimento per le televisioni private e per le piattaforme on demand operanti in Italia.
Secondo Cartoon Italia, l’associazione nazionale dei produttori di animazione, è questa una decisione che condanna al soffocamento il comparto dell’animazione italiana e che priva le nuove generazioni di bambini e ragazzi dell’immaginario italiano, con un’offerta quasi esclusivamente americana.
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Una decisione apparentemente inspiegabile, dal momento che a favore della sottoquota animazione si erano già espressi il Ministero della Cultura, con il Ministro Sangiuliano, la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni e la Commissione Cultura della Camera, con il suo presidente Federico Mollicone. Scelta inspiegabile, a meno che qualche ministro di peso non si sia fatto convincere a eliminare i “lacci e lacciuoli”, piegandosi alle richieste delle potenti lobby delle piattaforme on demand americane.
Tenendo conto delle resistenze delle televisioni private, Cartoon Italia, aveva infatti già formulato una proposta al Ministero della Cultura che esentava le emittenti generaliste (le reti Mediaset, La 7 etc.) dall’obbligo della sottoquota.
Con la sua decisione di ieri, il Consiglio dei ministri ha preferito anteporre gli interessi economici di gruppi stranieri a quelli dei bambini e dei ragazzi italiani che, così, cresceranno con quasi solo cartoni animati americani.
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Questa scelta del governo conferma inoltre il monopolio della Rai che, suo malgrado, rimane l’unico player e partner finanziario dell’intera industria dell’animazione italiana, con una conseguente limitazione dell’offerta di contenuti. Un comparto che conta migliaia di addetti, per lo più giovani, il quale, con la sottoquota, avrebbe acquisito maggiore competitività in un mercato internazionale sempre più difficile e schiacciato dall’America, da una parte, e dall’Asia dall’altra. Competitività invece assicurata ai produttori francesi che la sottoquota l’hanno istituita da tempo e che, evidentemente, sono più bravi di noi a difendere gli interessi dell’industria nazionale e, soprattutto, la cultura, la storia e i valori del proprio paese, da trasmettere ai loro figli.
I commenti
“Sono negativamente sorpreso per la decisione che è stata assunta e che non riconosce minimamente quelle che sono state le nostre richieste. Non si tratta solo di una battaglia combattuta per un riconoscimento economico che comunque sarebbe necessario per competere ad armi pari con le produzioni straniere, ma soprattutto di avere a cuore i valori fondanti di un’educazione che attraverso l’animazione si trasmette ai più piccoli e in qualche modo a un vero e proprio patrimonio culturale italiano.” – Iginio Straffi, Ceo Rainbow.
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“Non comprendo la scelta di questo Governo di mettere in ginocchio un comparto industriale che consta di oltre 50 aziende che dà lavoro a 6.000 giovani con un’età media tra i 20 e i 30 anni e che crea contenuti per bambini veicolando i valori che appartengono alla nostra tradizione culturale. Dal governo una miopia che impedisce la crescita naturale e necessaria per un comparto industriale e creativo, eccellenza del Made in Italy” dichiara Maria Carolina Terzi, Presidente di Cartoon Italia.
“È un vero peccato che in Italia non si comprenda l’importanza che ha la produzione di animazione, un linguaggio molto apprezzato dal pubblico come dimostrano gli incassi. Le società italiane sopravvivono con Rai Kids e lavorando per produzioni straniere. Alcune delle nostre eccellenze e talenti nel campo sono emigrati all’estero, mentre tutti gli altri paesi europei sono diventati grandi produttori e esportatori di film e serie, sia per bambini, che per adulti. L’animazione è la forma di cinema più facile da esportare, ha spesso un linguaggio universale dove il doppiaggio non è un problema”, commenta Andrea Occhipinti, Ceo di Lucky Red.