“Le ferite del vento”: Cochi Ponzoni e Matteo Taranto a teatro per mozzarvi il fiato
“Perché vuoi sapere tutte queste cose? Che bisogno hai di conoscere ora tuo padre?”
Dal 16 al 19 marzo il Teatro Sala Umberto di Roma ospiterà il grande successo di Juan Carlos Rubio Le ferite del vento: Alessio Pizzech dirige Cochi Ponzoni e Matteo Taranto in una storia di educazione sentimentale “sospesa”.
Quella scritta nel 1999 dal regista spagnolo è un dramma non convenzionale che affronta i più svariati temi capaci di toccare le corde più profonde di qualsiasi essere umano. Tematiche o meglio esperienze di vita che prima o poi, ognuno in maniera diversa, quasi tutti affrontano o sentono raccontare. Il lutto e la scoperta di una verità sì ben nascosta ma che non si è stati capaci di notare: la rivalutazione di una persona dopo la sua morte, quando questa non può più dirci la sua.
Ancora: il rapporto padre – figlio, un amore extraconiugale e dunque una famiglia che non sembra essere abbastanza. Un amore passionale e così trascinante, quanto in realtà solo astratto – anzi scritto. E dunque l’incomunicabilità: o meglio la difficoltà nell’instaurare un dialogo o la mancata volontà di farlo. Di parlare di un sentimento che sembra indicibile.
Per non parlare dello scontro generazionale e della differenza abissale tra due punti di vista così diversi. Abisso che può essere colmato nel tentativo di ricostruire la vera identità di quella che ormai è solo un’ombra. Dall’unione di due cuori distrutti che si uniscono per affrontare e superare un lutto.
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Sinossi
Il quarantenne Davide (Matteo Taranto), alla morte del padre Raffaele si ritrova a dover sistemare le sue cose. Nel perfetto ordine degli oggetti lasciati dal genitore, uno scrigno chiuso ermeticamente attira la sua attenzione. Dopo aver forzato la serratura, per la quale sembra non esistere nessuna chiave, al suo interno scopre una fitta corrispondenza ingiallita dal tempo.
La lettura di quei fogli, ricevuti e gelosamente conservati, lo porta a conoscenza di un segreto che mai avrebbe potuto immaginare: il padre aveva una relazione con Giovanni (Cochi Ponzoni) , il misterioso mittente di quelle lettere appassionate. Chi è questo sconosciuto che improvvisamente emerge dalle ombre della memoria? Dopo un primo momento di sconcerto, Davide decide di affrontarlo.
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Nel corso di tre intensi confronti che generano un flusso di parole di una potenza deflagrante, si fronteggiano Giovanni, ironico e divertente, capace di strappare un sorriso anche di fronte al dolore della perdita, e Davide, irruento e orgoglioso, che ci rende partecipi della sua legittima smania di sapere. Ne scaturisce un acceso duello teatrale dal quale emergono i tratti di un uomo che Davide stenta sempre più a riconoscere come suo padre.
Ogni battuta svela nuovi elementi che sorprendono e commuovono, costringendo lo spettatore a indossare ora i panni di Giovanni ora quelli di Davide. Al centro domina la presenza-assenza di Raffaele, che non corrisponde a nessuna delle immagini di uomo e padre che
egli ha dato di sé in vita.
Ma quando finalmente le cose sembrerebbero ritrovare un loro senso, le lettere che hanno tenuto le fila di questa relazione tornano ad essere le vere protagoniste del racconto nel momento in cui Giovanni mostra a Davide le risposte che Raffaele gli inviava…
Gli altri protagonisti
“Un racconto” secondo il regista Pizzech “intenso, fatto di emozioni che narrano la bellezza e lo stupore di quando, fuggendo dagli stereotipi, viene rimesso in gioco il significato delle parole padre e figlio.“
I personaggi magistralmente interpretati da Cochi Ponzoni e Matteo Taranto non sono dunque gli unici protagonisti di questo dramma capace di strappare tanti sorrisi quante lacrime. E altrettanti abbassamenti della testa per annuire, una volta portati a galla sentimenti e verità così forti e su così tanti temi profondi.
Prima di tutto la presenza-assenza di Raffaele che man mano si scopre corrispondere sempre meno alle immagini di uomo (avvocato tutto d’un pezzo) e padre di famiglia che egli aveva dato di sé in vita. Un uomo di cui tutto viene rimesso in discussione, una volta che però non c’è più. Soprattutto viene scandagliato il suo modo di amare. O magari di non amare.
Il dramma di Juan Carlos Rubio ci illustra come sia difficile conoscere la vera natura di una persona che abbiamo avuto a fianco o nel nostro cuore per tutto il tempo di una vita. E quando un uomo non c’è più, non ci resta che quello che ha deciso di lasciarci o che in realtà avrebbe voluto continuare a nascondere, chissà. La rivelazione è affidata alle parole: pagine e pagine invecchiate che raccontano l’amore di un uomo. Anzi l’amore per l’uomo Raffaele.
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Di sole parole è fatta la verità, la storia del padre di Davide. Ma ad un figlio che improvvisamente non può più dire ad alta voce “Papà volevo chiederti…” le sole parole scritte (e nemmeno quelle di suo padre) non bastano. Il bisogno di conoscere dal vivo Giovanni, di fare domande, di capire può concretizzarsi solo nel confronto. E solo questo sarà il modo per sopravvivere ad una tale perdita.
Come suggerisce il titolo, ennesimo protagonista dell’opera è il vento. Lasciamo che siano le parole di Giovanni/Cochi a spiegarne il perché:
“Mi è sempre piaciuto ascoltare il suono del vento. Il vento non fa male, non ferisce: ti dondola da una parte all’altra, ti scompiglia i capelli e i vestiti. Ma il vento può diventare anche un uragano che distrugge la tua vita e i tuoi sentimenti se non sei capace di allontanarti in tempo.”