“Le assaggiatrici”: la storia di Margot Wölk dal romanzo al film

Nel 2012, a pochi mesi dalla sua morte, Margot Wölk decise di rompere un silenzio lungo quasi settant’anni: rivelò di essere stata una delle quindici giovani donne tedesche costrette ad assaggiare i pasti di Adolf Hitler per scongiurare il rischio di avvelenamento. La sua testimonianza scosse il mondo, riportando alla luce una pagina di storia fino ad allora sconosciuta. Oggi, la sua vita e le sue storie rivivono attraverso la letteratura e il cinema, ispirando il romanzo “Le assaggiatrici” di Rosella Postorino e il recente adattamento cinematografico di Silvio Soldini.
Margot Wölk, berlinese, non si era mai affiliata al partito nazista. Nel 1941, dopo un bombardamento, si rifugiò nella casa della suocera in un villaggio della Prussia Orientale, vicino al quartier generale di Hitler, la famigerata “Tana del Lupo“. Lì, senza preavviso, venne costretta dalle SS a unirsi a un gruppo di donne il cui compito era quello di testare i cibi destinati al Führer. L’ossessione di Hitler per un possibile avvelenamento le condannò a un’esistenza sospesa tra la fame e il terrore. Ogni boccone poteva essere l’ultimo. La Wölk raccontò di pasti abbondanti e raffinati, ma accompagnati da un’angoscia costante.
Il cibo, preparato da cuochi esperti, era privo di carne poiché Hitler era vegetariano. Verdure, pasta fresca, salse e frutta esotica venivano servite quotidianamente su un grande tavolo di legno. Dopo ogni assaggio, le giovani donne dovevano attendere un’ora sotto stretta sorveglianza, nella paura che il veleno potesse manifestare i suoi effetti. “Ogni giorno scoppiavo in lacrime alla fine del pasto“, confessò Margot. Il sollievo di essere sopravvissuta non bastava a dissipare l’orrore della situazione.
Il 20 luglio 1944, un evento segnò una svolta nella sua vita: l’attentato fallito a Hitler orchestrato dal colonnello Claus von Stauffenberg. La repressione che seguì fu brutale. Margot e le altre assaggiatrici vennero trasferite in un edificio scolastico vicino al quartier generale e le loro condizioni peggiorarono drammaticamente. Fu in quel periodo che Margot subì violenze da parte delle SS. Poche settimane dopo, grazie all’aiuto di un ufficiale, riuscì a fuggire e a tornare a Berlino, scampando così al destino tragico delle altre assaggiatrici, uccise dall’Armata Rossa.
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Rosella Postorino, con il suo romanzo “Le assaggiatrici”, ha trasformato la testimonianza di Margot Wölk in una narrazione intensa e struggente. La protagonista, Rosa Sauer, è una donna sola, esiliata dalla sua città e intrappolata in una guerra che la divora dall’interno. La storia si snoda tra le relazioni che instaura con le altre assaggiatrici, l’angoscia quotidiana e una relazione proibita con un ufficiale delle SS, Albert Ziegler. Il romanzo esplora il confine sottile tra vittima e complice, tra sopravvivenza e colpa.
L’adattamento cinematografico di Silvio Soldini porta sul grande schermo questa storia con un taglio differente. Girato in lingua tedesca, il film enfatizza la condizione di prigionia delle assaggiatrici, ponendo l’accento sulla claustrofobia dell’ambiente e sulla tensione tra le protagoniste. Tuttavia, rispetto al romanzo, il film sembra spogliarsi di alcune sfumature emotive essenziali. La Rosa di Soldini è meno tormentata, la sua relazione con Ziegler appare semplificata, quasi priva del conflitto interiore che permea il romanzo. La presenza del marito Gregor, un’ombra costante nella narrazione di Postorino, viene ridotta a una fotografia, privando la protagonista di un tassello fondamentale della sua identità. Se il romanzo concede qualche spiraglio di umanità attraverso i pensieri e i ricordi di Rosa, il film si focalizza su una realtà più cruda, dove ogni gesto è dettato dalla necessità di sopravvivere.
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Al di là delle differenze tra libro e film, entrambe le opere offrono una prospettiva inedita sulla Seconda Guerra Mondiale, mettendo al centro non i soldati o i leader politici, ma le donne. “Le assaggiatrici” racconta una guerra che si combatte nelle cucine, nei refettori, nei corpi di chi è costretto a sacrificarsi per un regime che non ha scelto.
La vicenda di Margot Wölk e delle altre donne coinvolte resta una testimonianza potente di come il conflitto abbia trasformato ogni aspetto della vita quotidiana, rendendo persino un gesto essenziale come mangiare un atto di estrema vulnerabilità. In un’epoca in cui la guerra continua a devastare vite e territori, la loro storia assume una risonanza ancora più attuale, ricordandoci che la violenza dei conflitti si insinua anche nei dettagli più banali dell’esistenza umana.
