“Le 8 montagne”, l’amicizia come una cordata
Alessandro Borghi e Luca Marinelli si rincontrano. E lo fanno sulle montagne. Il loro ultimo film insieme, “Le 8 montagne”, regia di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, è un inno all’amicizia.
Tratto dal romanzo del 2017 di Paolo Cognetti, narra la nascita e la crescita di Bruno e Pietro. Due bambini provenienti da realtà profondamente diverse, scoprono grazie alla montagna di essere più simili di chiunque altro li circondi. In tutta la loro vita, anche durante i lunghi periodi di distaccamento dell’adolescenza, non trovarono mai nessuno in grado di completarli. Nessuno che fosse complementare con loro quanto essi lo erano tra di loro.
La pellicola, ambientata tra le montagne della Valle d’Aosta, tende subito a lanciare alcuni messaggi chiari. La differenza della vita tra i monti e quella tra l’asfalto della città. È chiaro come nei primi minuti non sia casuale il sole e la tranquillità sulle Alpi. Contro lo stress che si vive nelle metropoli, tra traffico, lavoro e caos. Lo stesso padre di Pietro, che sarà un secondo padre anche per Bruno, cambia umore nei pochi giorni che trascorre in vacanza con la famiglia nella casa in montagna.
Ma non è solo un inno ai sentieri, ai pascoli, agli alberi, ai laghi (non “natura”, come afferma il personaggio di Borghi, in quanto concetto astratto definito da chi non vive la montagna). Il film più volte mostra i lati negativi di questa vita. La solitudine che porta ad una chiusura mentale, tale da rifugiarsi in se stessi a costo di abbandonare la famiglia. Vengono perciò evidenziati aspetti positivi e negativi delle due realtà, che grazie alla figura di Pietro trovano una sintesi.
Da un lato il bambino, divenuto poi adulto, che cresce e si emancipa in città a Torino, nonostante il cordone ombelicale che lo lega alla montagna e al suo amico. Quel Bruno che viene visto quasi solo come forza lavoro dalla sua famiglia, in particolare dal padre. Figura che lo trascina via dai monti di Graines per lavorare in cantiere già a 13 anni. Figura che sostituirà negli anni con il padre di Pietro, il quale, invece, non avrà mai questo tipo di rapporto con il padre, arrivando a non parlargli per 10 anni. Una rottura del rapporto dovuta in parte a quando non riuscì ad impedire che Bruno fosse allontanato dalla sua vita.
Ma il rapporto padre-figlio torna in età adulta. Quando i due protagonisti hanno 30 anni e la morte del padre di Pietro (interpretato da Filippo Timi) li ricongiunge. Il sogno del papà continua a legare i due amici. L’acquisto di una casa isolata sui monti che i due ristrutturano con le loro mani e che diventerà il loro rifugio. Ed è qui che la montagna diventa di nuovo protagonista. In grado di unire e dividere. Di ammaliare e uccidere. Di essere inferno e paradiso. Con tutte le sue contraddizioni.
“Le 8 montagne” è questo. Un film che prende il titolo da una vecchia leggenda del Nepal, dove il protagonista e narratore andrà a vivere. Inseguendo il suo sogno e realizzandolo nonostante i tanti fallimenti della sua vita. Ma con una corda che lo tiene ben saldo alla Valle d’Aosta, dove il suo amico Bruno resterà per sempre. Perché “il montanaro rimane in montagna. La moglie del montanaro scende in paese”.
La storia interpretata da Borghi e Marinelli è la storia di una cordata che non si è mai spezzata. Neanche con la morte. Un’amicizia che resiste al tempo. Alla distanza. Alle realtà sociali diverse. Che si sublima in montagna.