Lara/Tacita: da dea infera a ninfa muta. Le donne e il silenzio nel mondo Classico | ArcheoFame
Un’antichissima divinità legata al mondo degli inferi, Lara o Tacita rappresenta originariamente una delle manifestazioni del più oscuro dei triplici aspetti della Grande Madre Ecate, quello ctonio: dell’abisso e delle profondità del sottosuolo.
Questa dea è legata al silenzio, inteso come eterno e quindi come morte. Nel corso degli anni, passando attraverso numerose versioni dello stesso mito è stata declassata al livello di Ninfa e la sua storia è stata usata per giustificare l’imposizione del silenzio come “valore” alle donne. Di solito le divinità ctonie e femminili sono portatrici di riti misterici e iniziatici, delle celebrazioni in onore di questa dea infatti, ci è giunto ben poco. Più nota è invece la versione della storia di Lara del periodo Classico, che vi raccontiamo qui.
Lara in Grecia
Lara, Lala o Larunda era una naiade (ninfa acquatica), figlia del fiume Almone.
Il mito greco “classico” narra che la giovane ebbe l’ardire di mettere in guardia la sorella Giuturna, che era corteggiata da tempo e senza risultati da Zeus/Giove, delle cattive intenzioni del dio. Lara aveva sentito che il re degli dei voleva stuprare l’ignara Giuturna, per poterla finalmente possedere, che lei lo volesse o meno. La ninfa, impaurita, si rifiuta di tacere e informa l’altra delle intenzioni di Zeus. Per questo viene brutalmente punita: le si mozza la lingua e, costretta per sempre al silenzio, viene consegnata a Ermes/Mercurio che avrebbe dovuto riportarla nel regno dei morti.
La storia viene ripresa esattamente identica nel mito romano.
Ora, come se non bastasse, Mercurio si invaghisce della bellissima ninfa e durante il viaggio per gli Inferi la stupra. A seguito di questa violenza, Lara mette al mondo due gemelli a cui verrà dato il nome di Lari, le divinità protettrici dei confini. Sono gli spiriti degli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sulla famiglia e sui possedimenti. Per questo motivo, Lara/Tacita fu venerata anche come madre dei Lari.
Il 21 febbraio, durante le “Feralie” ovvero il giorno conclusivo delle “Parentalie”, le feste in cui si commemoravano i defunti, si compivano riti in onore di Tacita Muta, altro nome di Lara presso i Romani. Si svolgevano una serie di azioni volte ad allontanare maldicenze, le male lingue e le maledizioni; e per imbonire i Manes, gli spiriti dei defunti che in alcune occasioni potevano vagare sulla Terra. Varrone infatti la chiama anche Mania, proprio da Manii, le anime dei morti divenute numi tutelari della famiglia. Ovidio ci racconta nei “Fasti” i riti eseguiti in onore della dea.
Le operazioni rituali erano officiate dalle donne. Una vecchia, circondata da giovani fanciulle sistemava tre grani d’incenso sotto la porta della propria casa, legava con dei fili un fuso e si metteva sette fave nere i bocca. A questo punto si doveva cuocere su con del vino un pesce la cui bocca era stata cucita con un amo di rame. L’olocausto della carne avrebbe protetto i membri della famiglia dalle maledizioni.
La dea Muta o Tacita sarà nella sua ultima versione chiamata Angerona, raffigurata ormai direttamente imbavagliata. A questa dea, onorata nel periodo del Solstizio d’Inverno, è associata la progressiva perdita di luce del sole durante la parte più buia dell’anno, insieme alla paura che la primavera possa non tornare mai più. Angerona, secondo le fonti, tace per ricordare agli uomini che l’unico modo di arrivare a “vedere la luce i fondo al tunnel” è quello di tacere il dolore, combattendo solo nel segreto del nostro intimo l’ansia e la paura. Veniva anche rappresentata con il dito sulle labbra, appunto per invitarci al silenzio. Lara viene anche associata a Acca Larentia, perché è madre dei due Lari di Roma Romolo e Remo e perché lei conosce il nome segreto dell’Urbe, che non rivela mai.
Una precisazione si rende però necessaria: i cambiamenti nel Mito non sono mai casuali. Di solito corrispondono a una nuova abitudine sociale e per tanto servono a giustificarla. Le donne infatti, protagoniste dimenticate di un’epoca arcaica, col passare del tempo vengono messe a margine della società. Esse DEVONO tacere, per virtù. E se Lara si ribella all’imposizione del silenzio e avverte Giuturna che sta per essere stuprata ecco, la punizione deve essere esemplare. Che tutte conoscano le conseguenza dell’opinare sulle decisioni degli uomini. Nonostante il rispetto che le viene comunque riservato in quanto madre dei dei Lari e protettrice contro le maledizioni, e per l’apprezzabilità, da parte di tutti, della sempre più rara dote della riservatezza, la sua storia lascia comunque un punta di amaro in bocca.
Perchè un’antica Dea, custode immortale dei segreti dell’Aldilà, viene ridotta a piccola ninfa pettegola, che quasi non merita altro, se non un’atroce punizione.